La verità come atto di ribellione: il caso Snowden e la sfida di Tulsi Gabbard al potere

L’udienza per la conferma di Tulsi Gabbard come Direttore dell’Intelligence Nazionale, nominata dall’ex presidente Donald Trump, non si è concentrata sulla sicurezza nazionale. Piuttosto, ciò che ha scatenato l’irritazione di senatori come Mark Warner è stato qualcosa di più profondo: la messa in discussione del controllo narrativo che sostiene il sistema di potere.

Nel corso della discussione, Gabbard ha citato un nome ancora scomodo per Washington: Edward Snowden. Ancora più audace, lo ha definito per ciò che realmente è, un informatore coraggioso anziché un traditore. Questo è stato il detonatore di un’ondata di indignazione nei circoli del potere.

Ma chi è stato davvero il traditore? Snowden ha portato alla luce il programma di sorveglianza illegale e incostituzionale della National Security Agency (NSA), che spiava indiscriminatamente milioni di cittadini, violando i loro diritti fondamentali. Non ha compromesso la sicurezza nazionale, ma ha messo a rischio il potere di coloro che, dietro la facciata della sicurezza, esercitano un controllo autoritario sulla società.

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La risposta di Snowden: un colpo al cuore del sistema

Alla reazione mediatica seguita all’udienza, Snowden ha risposto con estrema chiarezza:

“Se sei più arrabbiato per il whistleblower che per la violazione della legge che ha rivelato, non sei nella posizione di mettere in discussione il giudizio di nessuno.”

Questa frase smaschera l’ipocrisia dell’apparato politico e mediatico occidentale. Né Snowden né Julian Assange sono il problema. Il vero problema è il contenuto delle loro rivelazioni. La verità che hanno svelato minaccia di rendere insostenibile la rete di menzogne su cui si basa il sistema di potere.

Un impero in crisi di fronte alla verità

I regimi autoritari hanno sempre bisogno di un nemico per giustificare le proprie derive repressive. Quando non possono puntare il dito contro uno stato straniero, un’organizzazione terroristica o un’emergenza sanitaria, allora il nemico diventa il cittadino stesso. Specialmente se quel cittadino è informato, pensante e difficilmente manipolabile. Peggio ancora, se quel cittadino ha il coraggio di rivelare la verità.

Snowden è stato dipinto come una minaccia solo perché ha esposto la più grande violazione dei diritti costituzionali nella storia moderna degli Stati Uniti. La rabbia nei suoi confronti e verso chiunque lo difenda dimostra che il vero timore dell’élite di potere non riguarda nemici esterni, ma il dissenso interno.

Mark Warner: il volto della propaganda

Il senatore Mark Warner non si indigna per la violazione della legge o per lo spionaggio di massa perpetrato contro i cittadini. Il suo problema è che queste verità siano venute alla luce. La sua priorità non è la sicurezza nazionale, ma la salvaguardia dell’apparato che si regge sulla menzogna.

Tulsi Gabbard, menzionando Snowden, ha infranto un tabù e scosso il sistema. L’isteria di Warner e di altri esponenti del cosiddetto “Stato profondo” è la prova di quanto fragile sia il loro castello di carte. Per loro, la verità è un pericolo troppo grande.

Il vero scandalo

Il problema non è la fuga di informazioni. Il vero scandalo è ciò che tali informazioni hanno rivelato: un sistema corrotto e oppressivo. Non è il whistleblower il colpevole, ma l’indifferenza di un governo che rifugge ogni responsabilità.

Se Snowden avesse divulgato fatti irrilevanti, sarebbe stato ignorato. Se Assange avesse pubblicato documenti innocui, sarebbe considerato un giornalista rispettabile. Ma poiché entrambi hanno esposto verità scomode, sono stati trasformati in nemici dello Stato.

La storia ricorderà i coraggiosi, non i codardi

Mark Warner e il suo finto sdegno saranno dimenticati. La storia ricorderà invece i whistleblower, coloro che hanno sfidato il potere rischiando tutto per difendere la verità.

Edward Snowden non è un traditore, ma un testimone del suo tempo, in cui la menzogna è la norma e la verità è vista come un atto sovversivo. Tulsi Gabbard, con il suo rifiuto di piegarsi alla narrazione dominante, ha mostrato perché la sua nomina spaventa così tanto il sistema.

Il nome di Snowden non verrà dimenticato, perché in un’epoca di oppressione, dire la verità è il gesto di ribellione più potente.

Ma il sistema resiste: l’incarico della Gabbard che è centrale per Trump , è in bilico.

Il senatore repubblicano Todd Young (Indiana) potrebbe votare contro la nomina di Tulsi Gabbard, candidata di Trump, alla presidenza della Camera nel voto della Commissione Intelligence del Senato, mettendo a rischio l’autorizzazione del suo incarico, dato il margine ristretto (9-8). Anche la senatrice Susan Collins (Maine) potrebbe ostacolarla, esprimendo preoccupazioni sulla sua posizione contraria alla Sezione 702 del FISA, che consente lo spionaggio senza mandato su obiettivi stranieri. Gabbard aveva infatti proposto di abrogare questa norma, ritenendola abusata per sorvegliare cittadini americani. Alcuni repubblicani sono inoltre critici sulle sue dichiarazioni riguardo al whistleblower Edward Snowden, che nel 2014 ottenne asilo in Russia dopo aver rivelato operazioni di sorveglianza della NSA sugli americani.