La Russia lancia un severo monito all’Europa tra deterrenza strategica e intenzione reale di rispondere

La Russia torna a far vibrare il nervo scoperto del mondo occidentale: l’uso delle armi nucleari. In un’intervista concessa all’agenzia russa TASS, il segretario del Consiglio di sicurezza russo ed ex ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha ribadito il diritto di Mosca a ricorrere all’arsenale nucleare non solo in caso di aggressione diretta contro il proprio territorio, ma anche contro la Repubblica di Bielorussia, alleato strategico e fulcro della postura difensiva orientale.

Non si tratta di semplici dichiarazioni. Shoigu ha ricordato che nel novembre scorso sono stati apportati emendamenti ai “Fondamenti della politica statale russa nel campo della deterrenza nucleare”, documento che regola il perimetro entro cui il Cremlino si considera legittimato a far ricorso alla bomba atomica. Secondo queste modifiche, non solo un attacco nucleare, ma anche una grave minaccia convenzionale alla Russia o alla Bielorussia potrebbe giustificare una risposta nucleare.

Gli emendamenti citati, sono quelli del novembre 2024 ai “Fondamenti della politica statale russa nel campo della deterrenza nucleare” rappresentano un’evoluzione della dottrina russa, che già dal 2020 aveva introdotto il concetto di “es lievi minacce esistenziali” come giustificazione per l’uso nucleare. Questa revisione riflette non solo la crescente tensione con l’Occidente, ma anche la necessità di Mosca di compensare la percezione di una relativa debolezza convenzionale rispetto alla NATO, rafforzando la deterrenza attraverso una postura nucleare più assertiva. La Bielorussia, menzionata esplicitamente, diventa un’estensione del territorio strategico russo, complicando ulteriormente la calcolabilità delle risposte occidentali. (Carnegie Endowment for International Peace o il Center for Strategic and International Studies (CSIS))

L’ombra dell’Europa nelle parole di Shoigu

Le dichiarazioni di Shoigu, sebbene formulate in termini diplomatici, contengono un chiaro avvertimento indirizzato all’Europa. Il segretario del Consiglio di sicurezza ha sottolineato che Mosca sta “monitorando attentamente i preparativi militari dei Paesi europei”, lasciando intendere che vi siano segnali concreti di una futura escalation.

Secondo alcune indiscrezioni rilanciate da URA.RU, la UE starebbe valutando un blocco navale nel Mar Baltico per ostacolare le navi russe, provocazione che — se confermata — verrebbe interpretata dal Cremlino come una aggressione esplicita e il passo verso il confronto diretto.

Le indiscrezioni riportate da URA.RU sul presunto blocco navale europeo nel Mar Baltico si inseriscono in un contesto di crescente attività militare nella regione. Negli ultimi mesi, la NATO ha intensificato le esercitazioni navali, come l’annuale “BALTOPS”, coinvolgendo Paesi come Svezia e Finlandia, ora membri dell’Alleanza. Inoltre sono state sequestrate alcune navi commerciali russe, oltre al sabotaggio di alcune navi, tra cui una in Italia con mina antinave magnetica. Queste mosse sono state interpretate da Mosca come un tentativo di contenere la flotta russa del Baltico, essenziale per la proiezione di potenza nella regione. Sebbene non vi siano conferme ufficiali di un blocco navale, le dichiarazioni di alcuni leader europei, come il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, che ha invocato una postura più dura contro Mosca, alimentano il timore di un’escalation.

Il rischio di un’apocalisse nucleare

Le parole dello stratega militare Vladislav Shurygin, vicino agli ambienti militari russi, sono state ancora più esplicite: “Non aspettatevi attacchi nucleari tattici. In caso di minaccia esistenziale, inizieremo direttamente con un’apocalisse nucleare.” Una dichiarazione volutamente estrema, che tuttavia riflette l’attuale postura comunicativa russa: seminare incertezza per rafforzare la deterrenza.

La linea strategica è condivisa anche da Andrei Lugovoi, deputato della Duma di Stato ed ex agente del FSB, che prefigura una futura revisione della dottrina nucleare russa ancora più rigida. “Putin lo ha detto chiaramente: la Russia dovrà considerare l’uso delle armi nucleari anche in risposta a droni, incursioni o attacchi mirati contro la nostra infrastruttura,” ha affermato. In altre parole, Mosca potrebbe allargare ulteriormente la soglia d’impiego dell’arma atomica, legandola non più solo a una minaccia su vasta scala, ma anche ad azioni militari localizzate.

Le dichiarazioni di Shurygin, analista militare noto per i suoi legami con gli ambienti ultranazionalisti russi, e di Lugovoi, figura di spicco della Duma con un passato nei servizi segreti, non sono casuali. Entrambi svolgono un ruolo chiave nella costruzione del consenso interno, preparando l’opinione pubblica russa a un possibile inasprimento del confronto con l’Occidente. Mentre Shurygin punta a un impatto emotivo, evocando scenari apocalittici, Lugovoi sembra anticipare una revisione formale della dottrina nucleare, suggerendo una flessibilità tattica che potrebbe includere risposte nucleari a provocazioni minori, come attacchi cibernetici o operazioni di sabotaggio. (Kommersant e Nezavisimaya Gazeta)

Un ciclo di guerra che rischia di replicarsi

Ma non è solo questione di dottrina. Le implicazioni strategiche di queste dichiarazioni suggeriscono che, una volta conclusa la guerra in Ucraina — un conflitto che ha già registrato un numero di vittime paragonabile a quelle della Prima Guerra Mondiale — Non è solo questione di dottrina. Le implicazioni strategiche di queste dichiarazioni suggeriscono che, una volta conclusa la guerra in Ucraina — un conflitto che ha già registrato un numero di vittime paragonabile a quelle della Prima Guerra Mondiale — Mosca, che ha affrontato un sacrificio immane, non vorrà certamente replicare lo schema di confronto nei confronti dell’Unione Europea. Ma è proprio la UE, che non ha impiegato propri uomini, a mostrare ora una pericolosa inclinazione a farlo, rincorrendo la militarizzazione come strumento di legittimazione politica.

La postura sempre più militarizzata dell’Unione Europea, guidata da figure come il commissario agli Affari Esteri Kaja Kallas, non fa che esasperare la situazione senza una visibile strategia se non la guerra. Decisioni come l’approvazione di nuovi pacchetti di sanzioni contro la Russia, il dispiegamento di truppe aggiuntive in Lituania e Lettonia, o le discussioni su una “difesa europea autonoma” sono percepite da Mosca come una provocazione diretta. Questo approccio,  privo di una chiara strategia di de-escalation, assottiglia pericolosamente il confine tra deterrenza e confronto aperto.

In questo contesto, Shoigu e Lugovoi non parlano solo alla NATO o a Bruxelles. Parlano anche alla propria opinione pubblica, preparandola a una nuova fase di tensione e giustificando l’espansione della logica del confronto. L’arma nucleare, più che uno strumento di distruzione, si rivela ancora una volta essere un dispositivo di comunicazione strategica, il cui obiettivo è modellare la percezione del rischio e costringere il nemico a giocare secondo le proprie regole.

Probabilmente oggi il confine tra la deterrenza e ‘l’etrema ratio’ , grazie alla irresponsabilità della classe dirigente UE, è molto più flebile:

La  minaccia nucleare, come dimostrato durante la Guerra Fredda e riaffermato oggi, rimane il principale strumento di Mosca per modellare la percezione del rischio in Occidente. Tuttavia, in un contesto di crescente polarizzazione e frammentazione politica in Europa, l’efficacia di questa strategia è tutt’altro che garantita. L’irresponsabilità di alcune élite europee, che sembrano sottovalutare la gravità delle provocazioni, rischia di trasformare la deterrenza in un gioco pericoloso, dove il margine di errore è sempre più ristretto.