Infatti, se le comunità accademiche russe e iraniane non avevano fino ad ora aperto importanti canali di comunicazione, il clero accademico occidentale aveva invece sin da subito indagato la nuova collaborazione russo-iraniana, indagine che però si risolveva spesso nel ritenere che tale collaborazione fosse essenzialmente dovuta a reciproche simpatie dittatoriali, desideri di potenza e comuni interessi a indebolire l’ordine mondiale liberale. Con la presente pubblicazione i due Paesi hanno rotto il silenzio e aperto un canale di dialogo e di confronto, ponendo il primo mattone per una futura e più approfondita discussione strategica anche a livello accademico.

Per via della complessità della situazione siriana e della vastità degli interessi e degli attori in gioco, lo studio dibatte solo celermente i punti ritenuti i più essenziali, ma è molto succoso. I principali punti di accordo riguardano il comune sostegno alla multipolarità, il contrasto al terrorismo e la generale sicurezza e stabilità della regione. Entrambi i Paesi, infatti, sono d’accordo sulla necessità di collaborare coi vari attori internazionali per prevenire un ulteriore intensificarsi della guerra. In particolare, entrambi condividono l’idea di dialogare approfonditamente con la Turchia attraverso il Processo di Astana, in particolar modo per quanto concerne la regione di Idlib. Sono inoltre d’accordo sul bisogno di contrastare il terrorismo ed una eventuale risorgenza dell’ISIS o di altre organizzazioni terroristiche. Entrambi sostengono la necessità di contribuire al processo di ricostruzione della Siria, anche se in tempi diversi.

Vi sono però anche molti temi spinosi. Se la Russia ritiene che alla ricostruzione della Siria debbano partecipare anche gli Stati arabi del Golfo, l’Iran pensa invece che una troppo eccessiva presenza in Siria delle monarchie del petrolio risulterebbe in una minaccia alla propria sicurezza nazionale. Inoltre, Russia e Iran sono in disaccordo riguardo al possibile futuro di Bashar al-Assad. L’Iran ritiene che al-Assad sia una figura in grado di garantire la stabilità della Siria, la Russia pensa invece che egli sia compromesso agli occhi di troppi attori internazionali e nazionali e che perciò un’altra figura sarebbe preferibile.

Per quanto concerne gli Stati Uniti, entrambi i Paesi denunciano il ruolo che essi hanno giocato nello scoppio dei conflitti in Siria e nella macroregione vicino-orientale. Inoltre, gli esperti russi ritengono che gli Stati Uniti non siano interessati a trovare una soluzione a tali conflitti, come dimostrato dalla permanenza delle truppe statunitensi nella zona e dal sostegno statunitense ai Curdi e alle Forze Democratiche Siriane. La reticenza statunitense potrebbe addirittura causare l’arenamento di ogni tentativo di stabilizzazione regionale. Dal canto loro, gli esperti iraniani ritengono che la politica di massima pressione statunitense esercitata ai danni dell’Iran, insieme agli omicidi mirati, sia attuata nell’ottica di trascinare l’Iran in un destabilizzante conflitto su larga scala. Inoltre, ritengono che le sanzioni poste anche ai danni della Siria e degli ufficiali siriani sia un chiaro indicatore che gli Stati Uniti vogliano rallentare o addirittura impedire il processo di ricostruzione siriano.

È particolarmente significativa l’intenzione espressa dagli esperti iraniani di invitare la Cina a una prossima conferenza sulla ricostruzione della Siria. Proposta ignorata dai russi, che invece propongono di aprire ai capitali arabi ed europei. Ciò è forse dovuto ad un generale timore russo di non essere in grado di gestire un flusso di capitali cinesi in Siria, laddove invece quelli arabi ed europei sarebbero più facili da “gestire/supervisionare indirettamente”.

La ferma intenzione russa di gestire i flussi di capitali in entrata, avanzata nell’ottica di tradurre il proprio impegno militare in benefici economici, è d’altronde espressa molto chiaramente quando gli esperti russi lamentano “l’inflessibilità” di Damasco nei confronti di alcune richieste care a Mosca (cosa che fa crescere l’interesse russo verso un’eventuale capo di Stato che non sia al-Assad) e l’intenzione di “raccogliere i benefici economici” che possono derivare dalla protezione militare offerta dalla Russia. Dal canto suo, l’Iran è invece interessato a potenziare la propria presenza militare e non economica in Siria.

Ma il più spinoso punto di disaccordo è la relazione russo-israeliana. Per la precisione, l’Iran “considera che il problema di Israele sia l’unico [vero] problema nelle relazioni irano-russe in Siria”. Infatti, gli esperti iraniani notano come il sistema missilistico S-300 dato dalla Russia alla Siria nel 2018 in diverse occasioni non si sia attivato quando l’aviazione israeliana bombardava le postazioni iraniane in Siria. Eventi che, uniti alla generale cortesia diplomatica tra Mosca e Tel Aviv,  “fanno fare certe congetture nella comunità degli esperti iraniana”. Gli strateghi russi non danno rassicurazioni a riguardo, specificando semplicemente che l’intenzione della Russia è quella di caratterizzarsi nei termini di un “onesto mediatore” tra le varie fazioni nel Vicino Oriente. Fazioni che possono comprendere anche Iran e Turchia da una parte e Stati Uniti e Israele dall’altra.

L’asse tra Iran, Russia e Cina

Le relazioni russo-iraniane in Siria e nel Vicino Oriente in generale sono certamente complesse e risentono di numerosi tasti dolenti. Tuttavia, Russia e Iran hanno dato prova di essere in grado sia di agire autonomamente sia di coordinarsi in una delle zone più problematiche del mondo, dando prova di una collaborazione che in effetti ha prodotto una generale stabilizzazione della zona vicino-orientale e una parziale estromissione della potenza statunitense. Tanto che si potrebbe dire che in futuro, questione israeliana a parte, ci sono le potenzialità affinché i due attori riescano a trovare un funzionale compromesso tra le reciproche aspirazioni e interessi.

La cooperazione che è nata tra i due Paesi non ha dato vita a una alleanza (e un’alleanza non è in vista), ma certamente costituisce uno dei più significativi fattori che stanno dando forma non solo al Vicino Oriente, ma anche alla bilancia di potenza internazionale. Non è infatti da dimenticare che persino un attento ed influente consigliere per la sicurezza statunitense come Zbigniew Brzezinski riteneva che la formazione di un asse Mosca-Teheran-Pechino (e Pechino è sempre più vicino sia a Mosca che a Teheran) avrebbe costituito la peggiore minaccia al dominio statunitense. Per questa ragione, non c’è da sorprendersi se è stato l’insieme di azioni russo-iraniane ad aver causato una netta diminuzione dell’influenza statunitense nella zona vicino-orientale.

Che i più alti livelli delle comunità accademiche di Russia e Iran abbiano discusso con tanta franchezza il ruolo dei propri Paesi, i reciproci interessi e i vari tasti dolenti in una zona significativa e sensibile come quella siriana è un evento significativo non tanto per le rilevazioni che si traggono dallo studio in sé, quanto perché così facendo i vertici delle due comunità accademiche hanno infranto il silenzio concernente la collaborazione che tra i due Paesi sta prendendo forma da ormai un quinquennio. In questo modo le due comunità accademiche hanno aperto un importante canale di dialogo in vista – come affermato da entrambe le parti nell’introduzione – di un significativo miglioramento della collaborazione strategica ed intellettuale tra le due potenze.

di Marco Ghisetti

Pubblicato in Osservatorio Globalizzazione