Gli stereotipi dell’informazione e i passaggi di potere dettati dallo strapotere finanziario globale.

autore: Patrizio Ricci fonte: wikinews

Dopo aver assistito alle immagini scioccanti dei giorni scorsi a Piazza Tahrir in Egitto, continuare a chiamare gli eventi di protesta e agitazione nel Medio Oriente e nel Nord Africa “primavera araba” (con improbabili distinzioni) rappresenta una semplificazione eccessiva della realtà, una menzogna, una forma di violenza. È essenziale nominare le cose per quello che sono, spiegare e approfondire ciò che vediamo, e non distorcere la realtà per convenienza del momento. La verità di ciò che accade non può essere alterata a piacimento. Costruire qualsiasi cambiamento sulla menzogna e sulla mistificazione è, in ogni caso, un atto di violenza, che si verifichi nelle dinamiche quotidiane o nei rapporti tra stati o tra popoli, sia essi di natura sociale o economica. Distorcere la realtà per perseguire un fine non dichiarato è sempre un abuso, una violenza. E anche se la violenza può sembrare vantaggiosa nel breve termine, nel lungo periodo genera solo ingiustizia e oppressione, e non conduce mai al bene comune.

Questo comportamento non è comunemente percepito in questi termini, perché troppo spesso si proiettano le proprie idee di umanitarismo per giustificare azioni volte a mantenere lo status quo, senza mai approfondire o interrogarsi se l’approccio adottato sia l’unico possibile o semplicemente quello proposto da chi ha contribuito a creare il problema. Come affermava Einstein, un problema non può essere risolto con la stessa mentalità di chi lo ha creato.

Oggi il pensiero è contaminato da una mentalità che vede ogni cosa attraverso il prisma economico, come se questa fosse l’ultima frontiera della libertà umana. Per raggiungere questo obietivo, i governi occidentali chiedono sacrifici ai propri cittadini, impoverendoli e legandoli alla paura di non avere più mezzi di sussistenza, per renderli più conformi alla costruzione di un enorme stato-azienda.

L’economia globale ora domina il mondo, usata spesso in modo autoritario e antidemocratico in Europa per accelerare l’unificazione politica in termini puramente finanziari. Questo processo si accompagna alla perdita progressiva della sovranità nazionale, giustificata da situazioni di emergenza e rinforzata dall’uso di strumenti di pressione finanziaria che possono portare al fallimento di un paese, a prescindere dai suoi fondamentali economici.

Invece di emendarsi dalla crisi economica optando per un distacco da un sistema strutturalmente inefficiente e ingiusto, si sta rafforzando tale sistema a scapito dei popoli, in un tentativo di emulare e competere con la Cina.

Per mantenere questo stato di cose, è necessaria un’opinione pubblica anestetizzata, delusa dalla politica e privata della volontà di partecipare, distratta verso interessi più superficiali. In questo scenario, tutto deve accadere in modo confuso, rendendo lecito qualsiasi approccio che favorisca il progetto di unificazione europea, sostenuto dalla finanza globale fin dalla firma del Trattato di Maastricht, che ha sancito l’indipendenza totale della BCE dal potere politico.

In un’era di sovranità sospesa, in cui le borse e gli spread indicano la direzione del paese, le notizie vengono selezionate per rafforzare un certo punto di vista, semplificando le descrizioni di situazioni che nascono dal malcontento reale ma sono pilotate da tavolino. Così si decide di agire indipendentemente dalla realtà, giudicando le azioni in base alla loro utilità per un progetto unitario.

L’informazione, ormai in linea con i poteri forti, è diventata principalmente intrattenimento, senza responsabilità e focalizzata sul consenso, come dimostra il trattamento mediatico degli “indignados”, un movimento di protesta in Spagna originato da una profonda insoddisfazione sociale. Eppure, questo termine, adeguato in quel contesto, è stato poi impropriamente adottato per descrivere qualsiasi forma di protesta, anche quando le circostanze erano completamente diverse, trasformando i dimostranti da vittime a nemici, delegittimandoli e facendo quasi sparire i movimenti pacifisti.

Questi movimenti sono stati legittimati acriticamente in Medio Oriente, come nel caso della rivolta in Tunisia, guidata da manovre esterne che sfruttavano il disagio reale della popolazione. Questi eventi hanno spesso portato a cambiamenti di governo imposti dall’esterno per favorire gli interessi delle multinazionali e i piani di liberalizzazione graditi agli investitori esteri, come abbiamo visto in modo ancora più cruento in Libia.

In Egitto, la deposizione di Mubarak ha rivelato le vere intenzioni di chi ha alimentato la rivolta, anticipando un regime forse più oppressivo di quello che si pensava fosse stato superato. Questo dimostra che “democrazia” non significa solo elezioni libere. I nostri media principali hanno etichettato tutto questo come “rinnovamento” e “primavera”, senza condurre indagini serie, parlando del popolo in termini astratti e ideologici, come se la piazza dovesse necessariamente generare più libertà.

È ideologico trattare le masse, il popolo, i “civili”, l’interesse “comune”, senza mai considerare l’individuo e i suoi bisogni reali. E così continuiamo a importare mode e tendenze senza comprendere le storie dietro di esse, rappresentando il mondo alla maniera di “United Colors” di Benetton, senza conoscere le tradizioni, dimenticando le nostre, ma quante “colori”…

In conclusione, non usiamo la nostra conoscenza per interpretare ciò che vediamo, lasciando che altri ci istruiscano. È così che si può immaginare una “primavera” nei paesi a maggioranza islamica? Nonostante una grande stima per le persone indipendentemente dal loro credo religioso, fondare una società democratica sull’Islam, così come concepito dall’Occidente, è estremamente complicato. Non è possibile ignorare il contesto culturale e religioso in cui gli eventi si svolgono, ma spesso ciò accade, dimostrando una superficialità notevole.

Questo atteggiamento negativo si riflette nei suoi frutti, come ogni cosa. È tempo di smettere di essere ipocriti e dire la verità. Tuttavia, abbiamo scelto un’altra strada, quella che conviene di più a certe tasche. E dovrebbero essere contenti solo i proprietari di quelle tasche, ma invece tutti sembrano rallegrarsi.

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