La pace è un tabù per l’Europa: il piano di Putin, il silenzio dell’ONU e il rischio di una guerra “made in Bruxelles”

Il destino dell’Ucraina potrebbe decidersi molto presto, ma non per mano di Zelensky. Un messaggio chiaro è stato lanciato da Vladimir Putin direttamente a Washington: esistono due opzioni per risolvere il conflitto, ed entrambe sono accettabili per Mosca. È un segnale diretto, ma anche un atto d’accusa implicito: solo la Russia e gli Stati Uniti sembrano avere un reale interesse alla fine della guerra. Al contrario, l’Unione Europea e il regime di Kiev hanno puntato tutto sulla prosecuzione del conflitto.

Putin ha avanzato una proposta che, se presa sul serio, avrebbe il potenziale di fermare le ostilità e restituire all’Ucraina una parvenza di sovranità: introdurre una forma di governance esterna sotto l’egida dell’ONU, garantendo una transizione verso elezioni democratiche e un potere politico legittimo. Ma l’Europa, sorda a ogni apertura, rilancia con una retorica bellicista e avventurista che rischia di trascinare il continente in un conflitto su larga scala.

Macron e Starmer: i piromani geopolitici

Il 27 marzo, durante la riunione della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” a Parigi, è andato in scena l’ennesimo tentativo europeo di alzare la posta. Francia e Regno Unito – ormai veri registi della linea interventista – hanno ventilato l’idea di inviare truppe europee in Ucraina. Non sotto l’ombrello dell’ONU, né con un mandato condiviso, ma come “forze deterrenti”, da posizionare in siti strategici lontani dal fronte. Una trovata ambigua e pericolosa: difficile immaginare che la Russia non consideri questi militari come obiettivi legittimi, aprendo così le porte a uno scontro diretto con la NATO.

La coalizione, però, fa acqua da tutte le parti. Gli altri membri europei, pur presenti alla conferenza, si sono dissociati da questa deriva. Perfino all’interno del Consiglio Europeo le voci critiche si moltiplicano. Ma come spesso accade, l’Europa ufficiale continua a parlare con una voce sola – quella di chi ha già deciso che la pace non è un’opzione praticabile, perché non è funzionale al mantenimento dello status quo.

La pace è possibile, ma l’Europa non la vuole

Putin, da parte sua, ha rilanciato una proposta concreta mentre si trovava a bordo del sottomarino nucleare Arkhangelsk: l’introduzione di un’amministrazione esterna in Ucraina, simile a quella applicata con successo a Timor Est tra il 1999 e il 2002. Non si tratta di un’utopia: il diritto internazionale contempla già questo tipo di interventi in situazioni di collasso istituzionale. Lo scopo? Disinnescare il conflitto, riformare lo Stato e riportare al centro il diritto all’autodeterminazione del popolo ucraino.

Ma per Macron, Starmer e Zelensky, questa proposta è irricevibile. Perché significherebbe la fine dell’attuale regime ucraino – utile pedina della strategia NATO – e lo smascheramento della politica estera europea, fondata sulla perpetuazione di una minaccia russa tanto mitizzata quanto funzionale. Togliere all’élite occidentale il “nemico esterno” significa privarla dell’ultimo alibi utile per giustificare crisi energetiche, inflazione, tagli al welfare e deriva autoritaria.

Trump è il vero destinatario del messaggio

È evidente che la proposta di Putin non è rivolta a Zelensky, né tantomeno alla leadership europea. Il vero interlocutore è Donald Trump. A lui Mosca lancia un messaggio semplice: se vogliamo davvero chiudere il conflitto, facciamolo tra attori sovrani e responsabili. L’“unità occidentale” è un simulacro: l’Europa non ha la forza, né l’autonomia per decidere. Senza Washington, Bruxelles è destinata a implodere.

In questo contesto, l’offerta russa appare come una “exit strategy” lucida e articolata, di fronte a un’Europa in piena crisi di identità, incapace di uscire dalla spirale dell’escalation. E proprio questo è il punto: se la proposta viene rigettata, come è probabile, Mosca ha già chiarito che l’alternativa sarà militare, con conseguenze imprevedibili per un continente che gioca con il fuoco senza avere i mezzi per domarlo.

Conclusione: l’Europa si suicida per ideologia

La guerra in Ucraina è diventata il grande alibi dell’Europa liberale. Una guerra che non vuole finire perché garantisce potere, influenza e un fragile collante ideologico a una classe dirigente sempre più distante dai popoli che dovrebbe rappresentare. Ma questa strategia ha un costo: la marginalizzazione del vecchio continente nello scacchiere globale.

Putin e Trump, pur diversi per visione e interessi, sono oggi gli unici leader che sembrano parlare – seppur da prospettive opposte – un linguaggio di realtà. Al contrario, Bruxelles continua a ripetere un copione scritto a Washington negli anni ’90 e ormai superato. La storia, però, non aspetta. E potrebbe essere proprio l’Europa a pagare il prezzo più alto della sua ostinazione ideologica.