La medicina ai tempi del “culto climatico” – Una verità scomoda secondo il Dottor Vernon Coleman

L’articolo del Dottor Vernon Coleman, un testo audace e profondamente provocatorio, solleva un velo su quella che egli descrive come una trasformazione inquietante e silente della medicina moderna. Con un tono allarmante ma necessario, Coleman non teme di affrontare quella che vede come la vera minaccia alla salute dei pazienti: l’infiltrazione di un’agenda pseudo-scientifica legata al “riscaldamento globale” che, a suo dire, ha soppiantato gli interessi più elementari della cura. L’autore ci porta a riflettere su come l’establishment medico stia, in modo quasi impercettibile, anteponendo dogmi ideologici al benessere individuale, un fenomeno “mai verificatosi nulla di simile nella storia dell’umanità”.

Coleman ci mette di fronte a una realtà sconcertante:

“L’establishment medico, ossessionato dall’assurdo culto del riscaldamento globale, ha deciso di tagliare le cure ai pazienti. In pratica, ciò significa che meno pazienti riceveranno diagnosi e meno pazienti saranno curati. Le liste d’attesa si allungheranno sempre di più. Sempre più pazienti moriranno prima di essere curati.”

Questa affermazione è un colpo diretto allo stomaco, suggerendo che le morti non siano più incidenti spiacevoli, ma conseguenze dirette di una politica deliberata. È una denuncia forte, che spinge a interrogarsi se la medicina stia davvero tradendo il suo giuramento di Ippocrate per conformarsi a una narrativa esterna. Il Dottor Coleman ci sfida a considerare se le lunghe attese e le diagnosi tardive non siano una casualità, ma un esito “finalizzato a sostenere il programma di spopolamento, ormai evidente da alcuni anni”. Un’idea che, sebbene possa sembrare estrema, merita un’attenta considerazione alla luce dei cambiamenti rapidi e apparentemente inspiegabili che stanno avvenendo.

L’analisi di Coleman è supportata da una serie di punti concreti che, se veri, dipingono un quadro desolante della pratica medica, soprattutto nel Regno Unito, ma con eco in tutto il mondo.

Pensiamo, ad esempio, a quanto viene evidenziato nei punti 1 e 2:

“Ai medici di base è stato permesso di smettere di visitare i pazienti a domicilio. La motivazione era che quando i medici si recavano a casa dei pazienti in auto, utilizzavano benzina o gasolio, contribuendo negativamente al riscaldamento globale… Ancora una volta, problemi che un medico di base avrebbe potuto risolvere in pochi minuti hanno richiesto ore o giorni in un reparto ospedaliero sovraffollato.”

Questo è un chiaro esempio di come una preoccupazione ecologica, sebbene apparentemente nobile, possa avere conseguenze disastrose per la salute dei pazienti. Coleman ci invita a riflettere sull’assurdità di un sistema in cui l’impronta di carbonio di una visita domiciliare viene anteposta alla vita di un individuo, con il risultato di intasare i pronto soccorso e ritardare cure vitali.

E non è tutto. La questione delle visite virtuali, affrontata nel punto 5, è altrettanto critica:

“I medici ora offrono visite virtuali… In una visita virtuale, il medico non può auscultare il torace, non può sentire l’addome, non può guardare in gola, negli occhi o nelle orecchie e non può infilare le dita in quegli orifizi in cui un tempo i medici le infilavano. Le visite virtuali stanno uccidendo persone perché i pazienti vengono diagnosticati male e curati male.”

Coleman espone la fredda, dura verità: la medicina è un’arte basata sul contatto umano e sull’esame fisico. Ridurre una visita a una telefonata è, per Coleman, una “bugia” che mette a rischio la vita dei pazienti. Le sue parole ci costringono a chiederci se la tecnologia stia davvero migliorando la cura o se, al contrario, stia creando una barriera insormontabile tra medico e paziente, con conseguenze fatali. Il suo riferimento sarcastico al tempo di lavoro dei medici di base (“23 ore. Probabilmente meno di un bibliotecario part-time”) è una frecciata mirata a denunciare l’assurdità di un sistema che sacrifica la cura per priorità incomprensibili.

Il punto 11 è forse il più esplosivo, toccando il nervo scoperto della campagna vaccinale:

“I medici di base incalzano regolarmente i loro pazienti… affinché si sottopongano a vaccinazioni come quella contro il COVID-19, che non farà loro alcun bene e che potrebbe ucciderli… Non ho dubbi che il vaccino contro il COVID-19 sia responsabile dell’epidemia di tumori maligni tra i giovani adulti.”

Qui Coleman non si tira indietro, accusando apertamente i vaccini anti-COVID-19 di essere dannosi e i medici di somministrarli per un “compenso enorme”. La sua voce, bandita dai media, si erge come quella di un profeta inascoltato, le cui previsioni si sono rivelate tristemente accurate. Questa è una sfida diretta alla narrativa ufficiale, che spinge a interrogarsi sulla vera natura della spinta vaccinale e se la “scienza” che la sostiene sia davvero incontestabile. La sua affermazione che “I medici che hanno somministrato il vaccino contro il Covid dovrebbero essere in prigione” è un grido di dolore e indignazione che riflette la sua profonda convinzione nella validità delle sue accuse.

Infine, la critica di Coleman si estende a nuovi farmaci come Ozempic (punto 14):

“A mio avviso, il farmaco potrebbe quindi modificare la personalità di chi lo assume e ridurne la libido. Questo effetto garantirà che il farmaco si inserisca perfettamente nel programma di depopolamento, tanto amato dai cospiratori.”

Questa visione distopica di un farmaco che non solo cura, ma manipola la personalità e la libido, rafforza ulteriormente la sua teoria del “programma di depopolamento”. Coleman ci invita a guardare oltre le promesse miracolose dei farmaci e a considerare le implicazioni etiche e sociali di sostanze che potrebbero alterare la nostra stessa essenza.

In chiusura, l’articolo del Dottor Vernon Coleman non è solo una recensione critica del sistema medico; è un appello urgente alla consapevolezza. Egli ci esorta a non accettare passivamente le narrazioni ufficiali, ma a interrogare ogni pratica, ogni politica, specialmente quando sembrano deviare dal principio fondamentale della cura e del benessere del paziente. Le sue parole, sebbene estreme per alcuni, sono un campanello d’allarme che non può essere ignorato, invitandoci a riflettere profondamente su chi detiene il controllo della nostra salute e per quali scopi.