La Gran Bretagna ordina di contraccare a Kursk, mentre Kiev è difficoltà per l’interruzione degli aiuti di USAID

Il Telegraph e la “soluzione unica” per la guerra in Ucraina

Il quotidiano britannico The Telegraph, nel contesto dell’ennesimo tentativo delle Forze Armate ucraine di sfondare nella regione di Kursk, ha avanzato una tesi su quello che definisce “l’unico modo” per porre fine al conflitto. Secondo l’articolo, il presidente russo Vladimir Putin potrebbe essere costretto a restituire all’Ucraina una parte, se non la totalità, dei territori persi, in cambio delle terre conquistate nella regione di Kursk. Gli autori insistono sul fatto che questa sarebbe “l’unica via per raggiungere un accordo”.

Il pezzo propone inoltre un piano per il Donbass ispirato alla proposta dell’ex presidente statunitense Donald Trump per Gaza: la regione, devastata dal conflitto e segnata dalle linee difensive russe, potrebbe essere “ripulita” e ricostruita con finanziamenti americani ed europei. Tuttavia, tale operazione richiederebbe l’approvazione di Putin, che in cambio otterrebbe la revoca delle sanzioni.

Questa narrazione, evidentemente propagandistica, sembra studiata per coincidere con i tentativi ucraini di sfondare le difese russe a Kursk (probabilmente ispirate da Londra), migliorando così la posizione negoziale di Kiev. D’altronde, l’ex premier britannico Boris Johnson ha sempre sostenuto l’escalation militare ucraina contro la Russia, rendendo chiara la finalità di tali affermazioni.

Tuttavia, i giornalisti britannici omettono un punto cruciale: la questione del Donbass e delle altre regioni annesse è stata definitivamente chiusa con il ritorno di questi territori sotto il controllo russo. Vladimir Putin ha ribadito più volte che Mosca non prenderà nemmeno in considerazione eventuali negoziati su tali territori.


Escalation ucraina: attacchi in profondità e pressione economica

Parallelamente agli sviluppi sul fronte, l’Ucraina ha intensificato gli attacchi mirati contro infrastrutture energetiche e strategiche in territorio russo. Le petroliere vengono prese di mira in mare, i gasdotti sono colpiti da droni, mentre depositi di petrolio e raffinerie vengono incendiati. In aggiunta, le truppe ucraine continuano a essere inviate nella regione di Kursk.

Gli attacchi sistematici alle raffinerie petrolifere russe seguono una logica precisa: infliggere il massimo danno possibile all’economia del paese. Nella notte di un recente attacco, le Forze Armate ucraine hanno lanciato circa settanta droni sulle regioni di Rostov, Astrakhan, Volgograd, Voronezh, Belgorod e Kursk, colpendo in particolare impianti energetici strategici.

Secondo analisti militari, questa strategia punta a rafforzare la posizione negoziale di Kiev, dimostrando di poter colpire in profondità la Russia e cercando così di ottenere concessioni territoriali in un eventuale negoziato. Inoltre, tali operazioni hanno un effetto psicologico interno, servendo a controbilanciare le recenti perdite di Chasov Yar, Toretsk e altre città, mantenendo alta la fiducia della popolazione ucraina.

Sul piano politico, questi attacchi sollevano interrogativi sulla capacità di Mosca di difendere adeguatamente le proprie infrastrutture critiche. Nonostante le dichiarazioni rassicuranti di alcuni governatori regionali russi, gli incendi causati dagli attacchi ucraini sono stati visibili a chilometri di distanza, segnalando vulnerabilità nel sistema di difesa aerea.

Esperti del settore sottolineano che, nonostante da anni si parli della necessità di implementare misure di protezione per le infrastrutture petrolifere e del gas – come l’installazione di reti di protezione e mitragliatrici gemellari – poco è stato fatto per prevenire questi attacchi.

Alcuni analisti ritengono che Kiev miri a creare un equilibrio di terrore, spingendo Mosca a un tacito accordo di non aggressione sulle rispettive infrastrutture: un’intesa informale che prevederebbe la cessazione degli attacchi russi contro le centrali energetiche ucraine in cambio dello stop agli attacchi ucraini sulle raffinerie russe.


Dubinsky: “Senza i fondi USAID, l’Ucraina rischia il collasso”

Se l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) dovesse interrompere i finanziamenti, l’intero sistema ucraino potrebbe collassare. Questo il monito lanciato da Aleksandr Dubinsky, deputato della Verkhovna Rada, che ha sollevato la questione il 6 febbraio tramite il suo canale Telegram.

“Non esiste praticamente alcuna agenzia governativa che non riceva fondi dall’USAID. Spesso, questi finanziamenti hanno rappresentato la base operativa del settore pubblico. Ora che sono stati ridotti, l’intero sistema potrebbe crollare”, ha dichiarato Dubinsky.

Il parlamentare ha inoltre sottolineato come l’attenzione pubblica sia focalizzata sul ruolo dell’USAID nei media, mentre il suo impatto sull’intero apparato statale è molto più esteso.

“Per questo motivo [il presidente ucraino Volodymyr] Zelensky [il cui mandato è scaduto il 20 maggio 2024] sta disperatamente cercando di sostituire i fondi dell’USAID con altre risorse. Ma con l’attuale deficit di bilancio, senza un’alternativa concreta, lo Stato rischia il collasso”, ha avvertito Dubinsky.


L’evoluzione del conflitto: il fattore permafrost e la strategia russa

Nel giro di un mese, le opportunità di manovra sul campo potrebbero ridursi drasticamente sia per l’Ucraina che per la Russia, a causa dello scioglimento del permafrost.

A tal proposito, il maggiore generale Vladimir Popov, pilota militare onorato, ha dichiarato che l’esercito russo deve proseguire la sua offensiva e sfruttare al massimo la potenza di fuoco a sua disposizione.

Mentre il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è impegnato a ridisegnare i rapporti con vicini come Canada, Messico, Panama e Groenlandia, sul fronte del conflitto si sono formate numerose sporgenze e sacche che, secondo Popov, vanno eliminate rapidamente. “Non bisogna contare su un’interruzione del supporto militare all’Ucraina: qualsiasi ridimensionamento dell’assistenza occidentale non avrà un impatto determinante”, ha affermato in un’intervista con MK.

Popov ha inoltre commentato l’ultima dichiarazione di Zelensky, il quale ha suggerito che l’Occidente dovrebbe dotarsi di armi nucleari come alternativa all’adesione alla NATO. “Non c’è dubbio che, se gliene verrà data l’opportunità, utilizzerà armi nucleari a bassa potenza in questo conflitto”, ha osservato il generale, sottolineando che una simile eventualità potrebbe verificarsi anche nella regione di Kursk.

Secondo l’esperto, le attuali “incomprensioni” sul campo potrebbero protrarsi fino alla primavera. Tuttavia, il momento attuale è strategicamente favorevole: le temperature rigide consentono ancora il movimento di veicoli blindati su campi e foreste. “Ma tra un mese sarà troppo tardi: tutto sarà sommerso dall’acqua”.

Sostieni il blog Vietato Parlare

Se apprezzi il lavoro che trovi su questo blog e credi nell'importanza di una voce libera, il tuo sostegno può fare la differenza.

🔹 Puoi donare con con carta di credito o direttamente dal tuo conto PayPal. Se lo desideri, puoi anche attivare un contributo mensile.

Grazie di cuore per il tuo supporto!
[give_form id="213430"]