Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio italiano, è volata oggi a Washington per un incontro alla Casa Bianca con Donald Trump. È la prima leader europea a varcare la porta dello Studio Ovale da quando il tycoon è tornato alla presidenza, in un momento segnato da aspri contrasti commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea. La visita – accolta in patria con aspettative febbrili e non poche polemiche – viene descritta da alcuni come un’occasione di riscatto, un tentativo dell’Italia di recuperare autonomia economica e dignità in una politica estera percepita da molti come eccessivamente appiattita sulle direttive di Bruxelles. Ma è davvero così? Meloni riuscirà a trasformare l’abbraccio con Trump in un atto di emancipazione, o rischia di sostituire a un’ubbidienza un’altra sudditanza?
Dalla Casa Bianca traspare entusiasmo per l’incontro. Ufficialmente si tratta di una “visita di lavoro” volta a rafforzare i rapporti bilaterali e discutere di commercio e difesa, ma i toni nella cerchia trumpiana sono informali e calorosi. Trump stesso, noto per badare molto alle forme di rispetto personale, avrebbe lodato la Premier italiana come “una vera scheggia impazzita” e una leader con cui può collaborare “per raddrizzare un po’ il mondo” (theguardian.com). Nei corridoi del potere statunitense si fa notare come Meloni goda di un rapporto amichevole con Trump e diversi membri della sua amministrazione, al punto che “l’Europa non avrebbe potuto scegliere emissaria migliore” per dialogare con il nuovo inquilino della Casa Bianca (politico.eu). Un riferimento, nemmeno troppo velato, al fatto che molti leader UE sono in rapporti gelidi con il presidente americano, mentre Meloni – forte di anni di contatti con l’universo MAGA – appare come il “Trump whisperer” d’Europa.
Non a caso, Trump ha pubblicamente apprezzato il gesto della Premier quando, a gennaio, lei volò in Florida per incontrarlo per poche ore, definendolo una prova di “grande rispetto” nei suoi confronti (repubblica.it). Questo rispetto, però, è una moneta che Trump si aspetta venga coniata in concessioni concrete: ad esempio maggiori acquisti di gas americano e aumenti della spesa militare italiana. Proprio alla vigilia del vertice, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che la strategia migliore per l’Italia è «comprare di più dagli Stati Uniti, penso innanzitutto al gas, e investire di più negli Stati Uniti» (politico.eu) – un’affermazione perfettamente allineata ai desiderata di Trump, che da tempo chiede agli europei di importare più energia made in USA. Insomma, oltre ai sorrisi e alle pacche sulle spalle, Washington si aspetta dall’alleato italiano segnali tangibili di allineamento. E Meloni, dal canto suo, sembra pronta a offrirli, se questo può evitare all’Italia di finire stritolata nella guerra dei dazi tra le due sponde dell’Atlantico.
In Europa, però, l’iniziativa solitaria di Roma non è passata inosservata – né indolore. A Bruxelles la visita di Meloni è stata accolta ufficialmente con cautela favorevole: la Commissione europea, depositaria del mandato a negoziare sui commerci, ha fatto sapere di aver coordinato con Palazzo Chigi una linea comune in vista dell’incontro. Ursula von der Leyen avrebbe discusso con Meloni una strategia condivisa, consapevole che la Premier “dovrà riferire l’esito al suo rientro, perché è la Commissione ad avere il mandato a trattare per l’Unione” (ilglobo.com). L’idea, in sostanza, è che Meloni faccia da “pontiere”: usi il canale privilegiato con Trump per riportare il dialogo UE-USA sui binari giusti, senza però superare i limiti del mandato europeo. Non tutti, tuttavia, si fidano di questo equilibrio. “C’è un rischio, ed è presente fin dall’inizio, perché sappiamo che Donald Trump ha una strategia semplice: dividere gli europei”, ha messo in guardia il ministro francese dell’Industria, Marc Ferracci. “Dobbiamo essere uniti, perché l’Europa è forte solo se è unita” ha aggiunto, ricordando che 450 milioni di consumatori europei uniti fanno molta più forza di un singolo Stato (repubblica.it).
A Parigi si teme insomma la vecchia tattica del divide et impera: Trump che corteggia un Paese alla volta (oggi l’Italia, domani chissà), indebolendo la posizione negoziale del blocco UE. “Se iniziamo con colloqui bilaterali, si rompe lo slancio unitario”, ha avvertito Ferracci in eco alle preoccupazioni diffuse in tutta l’Unione (reuters.com). Roma ha replicato stizzita: “Come mai quando Macron va a Washington va tutto bene, mentre se va Meloni no?* Rispetto e reciprocità, cari amici francesi. Non ci sono nazioni di serie A e di serie B”*, ha tuonato il ministro Tommaso Foti, ribadendo che l’Italia esige pari dignità .
Il governo Meloni assicura di non voler fare fughe in avanti: “L’Unione Europea è ben contenta che l’Italia vada a sostenere le posizioni europee”, ha garantito il vicepremier Tajani . Parole distensive, a sottolineare che Roma non intende tradire Bruxelles – almeno non apertamente. E infatti, di fronte alle rimostranze francesi, l’Eliseo stesso ha subito moderato i toni: “Nessuna inquietudine”, ha dichiarato un portavoce di Macron, confidando nel fatto che Meloni resterà solidale con l’UE e anzi mostrerà quella compattezza indispensabile di fronte agli Stati Uniti (repubblica.it). Dietro le quinte, però, l’ansia europea resta: Trump vuole dividere e conquistare l’Europa, Meloni glielo permetterà?.
Anche sul fronte mediatico e politico interno l’incontro Meloni-Trump ha scatenato reazioni contrastanti, spesso al calor bianco. Molti osservatori mainstream, in Italia e all’estero, dipingono la Premier quasi come una scolara convocata dal preside Trump per prendere ordini. I quotidiani progressisti sottolineano il rischio di uno snaturamento della linea italiana: “Prima Trump ci definisce parassiti, e il governo Meloni fa orecchie da mercante abbassando la testa. Poi Meloni annuncia trionfante che sarà ricevuta alla corte di Trump” attacca la segretaria PD Elly Schlein, denunciando che i sedicenti patrioti italiani stiano in realtà umiliando il Paese (repubblica.it).
Le parole di Trump, che avrebbe apostrofato gli europei in modo ingiurioso durante la recente disputa commerciale, bruciano ancora a sinistra: “A questo punto mi chiedo con quale spirito Meloni andrà a Washington” ha dichiarato il senatore dem Francesco Boccia, “forse invece di andarci col cappello in mano per piccole prebende, farebbe meglio a lavorare con l’UE per reagire con più forza e dignità alla follia trumpiana” (repubblica.it).
Il leitmotiv è chiaro: presentarsi da Trump supplicante sarebbe una macchia sulla credibilità internazionale dell’Italia. L’ex premier Matteo Renzi è stato ancora più caustico, ricordando un recente proclama volgare di Trump: “Trump dice che alcuni leader si mettono in fila per andare da lui a baciargli… una parte del corpo. Questa è la fine che fanno i sovranisti nostrani”, ha twittato, “promettono di pensare all’Italia e finiscono nell’elenco dei baciatori”
repubblica.it – Renzi però in questo caso ha ripreso una fake news, questa notizia è assolutamente inventata.
La frase originale in inglese pronunciata da Donald Trump durante il discorso al National Republican Congressional Committee (NRCC) dinner l’8 aprile 2025 è: “These countries are calling us up, kissing my ass.” traduzione italiana citata da Matteo Renzi e ripresa da Repubblica, “tutti in fila per baciarmi il culo,” si differenzia dall’originale in alcuni aspetti:
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In inglese, “kissing my ass” è un’espressione figurata che indica sottomissione, adulazione o disperazione nel cercare favori. Trump la usa per enfatizzare il suo potere negoziale sui dazi, suggerendo che i leader stranieri siano in una posizione di debolezza. La traduzione italiana amplifica il tono, rendendolo più sarcastico e derisorio con l’aggiunta di “tutti in fila,” che può sembrare un’interpretazione più caustica.
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La frase italiana, nel contesto del tweet di Renzi, sembra voler ridicolizzare i “sovranisti nostrani” (riferendosi probabilmente a politici italiani come Salvini o Meloni), mentre l’originale di Trump si concentra sul suo successo personale nelle trattative commerciali.
Insomma, secondo i critici, Meloni rischia di fare la figuraccia della suddita ossequiosa: altro che patriota, verrebbe arruolata come pedina del sovranista americano. Non manca chi, come Giuseppe Conte del M5S, teme imposizioni onerose dagli USA: “Confido che non torni con impegni di acquisto di armi e gas americani. Mai farsi vedere succubi”, ha avvertito l’ex premier, invocando piuttosto unità europea e minacce di contro-dazi per tenere testa a Washington (repubblica.it).