Istituzioni EU pagavano per imporre il Green Deal: una crisi istituzionale e morale

Il caso: un sistema di controllo mascherato da progresso

Secondo l’inchiesta del quotidiano olandese De Telegraaf, l’ex commissario europeo Frans Timmermans avrebbe stipulato contratti segreti per centinaia di migliaia di euro con associazioni ambientaliste, con lo scopo di influenzare i parlamentari europei e spingere le politiche del Green Deal. Tra i contratti citati emerge un accordo da 700mila euro, destinato a “orientare il dibattito sull’agricoltura”.

L’indagine ha portato alla luce un sistema che appare come una vera e propria “lobby ombra”, finanziata dalla Commissione Europea con fondi multimiliardari e composta da 185 associazioni ambientaliste. Queste organizzazioni avevano compiti precisi, come sostenere la controversa Nature Restoration Law, e dovevano rendicontare i risultati ottenuti.

L’eurodeputato Dirk Gotink ha inoltre confermato l’esistenza di liste contenenti i nomi dei parlamentari europei da influenzare, lasciando aperto il dubbio che pratiche simili possano essere utilizzate in altri ambiti, come quello migratorio. Il punto critico non sta tanto nel diritto delle associazioni a fare lobbying, quanto nell’uso improprio delle risorse pubbliche per alimentare una narrazione artificiale, costruita per annullare il dissenso.

La deriva autoritaria delle istituzioni europee

Ciò che è stato svelato si inserisce in un quadro più ampio, che mostra come le istituzioni europee pratichino l’illegalità come una prassi, distante dal loro mandato originario che rimane solo nella dichiarazione di intenti per ottenere legittimazione. L’Unione Europea, concepita per promuovere la cooperazione tra i popoli europei e mantenere la pace e promuovere la prosperità, sembra oggi agire come un’entità che impone dall’alto agende precostituite, senza reale considerazione delle peculiarità sociali, culturali ed economiche degli Stati membri.

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è più volte posta come figura al di sopra delle regole, una postura che riflette la tendenza delle istituzioni europee a spingere i popoli verso un’obbedienza acritica a politiche stabilite in nome di un “bene superiore” che spesso tradisce la realtà. Questo atteggiamento si riflette anche nel sostegno incondizionato alla guerra in Ucraina, un conflitto alimentato da ingenti finanziamenti e da una narrazione che oscura la possibilità di soluzioni negoziali, perpetuando instabilità e sofferenze.

Il “format” dell’imposizione e la tentazione di lasciar perdere tutto

L’approccio adottato ricorda molto da vicino quello visto durante la gestione della pandemia: la combinazione di fondi pubblici, campagne di persuasione martellanti e strategie di controllo sociale. È un meccanismo che si ripete, volto a legittimare decisioni calate dall’alto e a far apparire ogni dissenso come irrazionale o antisociale. In questo “format”, l’individuo viene sempre più spinto a conformarsi, mentre ogni spazio di dialogo autentico viene soffocato.

Di fronte a questo stato di cose – istituzioni che sembrano legiferare più per proteggersi dai cittadini che per servirli, e un sistema che scoraggia ogni cambiamento reale – il rischio più grande è quello di sentirsi impotenti. Lo capisco bene: quante volte anch’io ho provato un senso di scoraggiamento, la sensazione che ogni sforzo sia inutile. Si cade facilmente nella rassegnazione, nell’indifferenza. “Tanto, cosa posso fare io?” È una domanda che mi sono posto anch’io più volte, e sono sicuro che in tanti di voi l’abbiano sentita risuonare dentro.

vertita

Il dolore e il disagio che proviamo sono reali, non li voglio minimizzare. Si aggiungono alle difficoltà quotidiane di ognuno di noi, a quella fatica di vivere che a volte sembra già abbastanza pesante senza doverci preoccupare di cambiare il mondo. Però, e lo dico con tutta la semplicità possibile, c’è una cosa che sto imparando, ed è che il primo passo verso un cambiamento non parte mai da grandi rivoluzioni esterne. Parte da un’adesione personale al Bene, dal modo in cui viviamo e guardiamo la realtà.

Aleksandr Solženicyn, che ha vissuto l’oppressione vera, scriveva: Non vivete secondo la menzogna. Non è necessario gridare la verità in piazza, basta non partecipare alla falsità. Ecco, penso che questo sia il primo punto: scegliere, ogni giorno, di non cedere alla menzogna, di non fare il gioco di chi vorrebbe renderci apatici o arrabbiati. La prima resistenza, quella che davvero può fare la differenza, è dentro di noi. È scegliere di non accettare passivamente ciò che ci viene imposto come inevitabile, ma di coltivare uno spirito critico, uno sguardo libero, capace di abbracciare la realtà nella sua interezza.

Non sto parlando di ribellioni cieche o di distruggere qualcosa per il gusto di farlo. Al contrario, sto parlando di qualcosa che forse è più difficile: costruire. E costruire inizia dal recuperare ciò che siamo davvero, dal riscoprire quel desiderio di verità e giustizia che ci portiamo dentro e che nessuna ideologia potrà mai soffocare. San Giovanni Paolo II diceva: “L’uomo non può vivere senza verità su se stesso. Deve sapere chi è e perché esiste. Non è filosofia astratta: è la base per non lasciarci ingannare e per vivere con consapevolezza e libertà.

So che può sembrare un discorso già sentito, ma è vero: il nostro ambito è quello fondamentale. Non serve fare gesti eclatanti per cambiare le cose. Il piccolo passo è la continua costruzione del nostro ‘io’, della nostra coscienza, l’alimentare il nostro spirito: leggere con attenzione, confrontarsi con chi ci sta vicino, fare amicizia con chi condivide il nostro desiderio di verità, vivere con cura anche i dettagli più semplici della quotidianità, non è lontano da questo. Antoine de Saint-Exupéry lo spiegava con una frase che amo molto: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere legna e distribuire compiti, ma insegna loro a desiderare l’infinito del mare.”

Il cambiamento non parte dalla rabbia verso ciò che non funziona, ma dal desiderio di costruire qualcosa di diverso. È un lavoro paziente, umile, che trasforma le cose dall’interno. Ed è proprio questo il motivo per cui scrivo, per cui continuo a condividere con voi queste riflessioni. Perché, senza questa prospettiva – senza il desiderio di costruire qualcosa che valga davvero la pena – non sarei qui. E, credetemi, il motivo per cui insisto su questo è che ne sento profondamente la necessità, prima di tutto per me stesso. Non è un discorso che voglio fare “agli altri”, è un appello che faccio a tutti noi, insieme.