Israele-Iran: dietro le quinte, l’ombra lunga della NATO

Intelligence, tracciamenti e guerra elettronica: così l’Alleanza Atlantica ha preparato il terreno all’attacco israeliano

Nel vortice di notizie sul conflitto Israele-Iran, mentre l’attenzione dei media si concentra sulle esplosioni, sugli attacchi missilistici e sulle dichiarazioni roboanti, passa sotto silenzio il vero elemento di rottura geopolitica: il coinvolgimento indiretto ma determinante della NATO nell’operazione israeliana. Non è un’ipotesi ideologica né una lettura dietrologica, ma una ricostruzione basata su dati d’intelligence, analisi satellitari e conferme incrociate da più fonti indipendenti.

Non è la prima volta che Israele agisce con l’avallo o la copertura tacita degli Stati Uniti. Ma questa volta, gli indizi portano a un coinvolgimento operativo dell’Alleanza Atlantica nella raccolta e trasmissione di dati strategici sui sistemi di difesa iraniani, che ha reso possibile un attacco chirurgico, pianificato nei minimi dettagli.


Mappatura preventiva: il puzzle si compone

Già a fine maggio, canali come Rybar – osservatorio militare russo con accesso a fonti d’intelligence – segnalavano un’anomalia: l’intensificazione di voli di ricognizione NATO e un boom nella raccolta di immagini satellitari su obiettivi militari iraniani, soprattutto nella zona di Semnan, dove si trovano poligoni missilistici e radar strategici.

Il primo segnale forte arriva con lo schieramento, da parte della NATO, di un AWACS E-3A (Airborne Warning and Control System) presso la base turca di Konya, in funzione attiva sul confine iracheno-iraniano. Questo velivolo, dotato di radar a lungo raggio, ha sorvolato per giorni la regione trasmettendo dati in tempo reale.

A questo si è aggiunta un’attività costante di droni turchi Bayraktar e Aksungur, che hanno sorvolato l’area occidentale dell’Iran 24 ore su 24, contribuendo a quella che appare ormai come una mappatura sistemica delle difese aeree iraniane. Non esercitazioni, ma una vera e propria campagna di preparazione tattica.


Obiettivi colpiti: coincidenze troppo precise

Quando Israele ha sferrato l’attacco, gli obiettivi colpiti sono risultati perfettamente sovrapponibili a quelli oggetto di tracciamento e sorveglianza nelle settimane precedenti.

Tra i bersagli:

  • Il Sobashi Radar Center ad Hamadan (fondamentale per l’allerta precoce iraniana),

  • La base missilistica interrata di Kermanshah,

  • Il centro di comando e comunicazione del sistema di difesa aerea iraniano,

  • Il sito di arricchimento dell’uranio di Natanz.

Fonti statunitensi e turche, tra cui Harici, UnderstandingWar.org e analisi OSINT, confermano che l’efficacia dei raid è stata superiore alla media proprio grazie alla disabilitazione preventiva dei nodi radar. Alcuni analisti hanno parlato di una “cecità temporanea” delle difese iraniane, causata da interferenze e neutralizzazioni mirate. Il risultato: una penetrazione profonda dell’aviazione israeliana senza perdite significative.


Il ruolo USA/NATO: silenzio assordante, ma trame evidenti

Ufficialmente, gli Stati Uniti non hanno partecipato all’operazione. Ma Trump ha ammesso di essere stato avvertito in anticipo da Israele, e le fonti confermano che Washington ha fornito copertura diplomatica e probabilmente intelligence satellitare e SIGINT (intercettazioni elettroniche).

Il comando NATO, da parte sua, non ha smentito né confermato la missione dell’AWACS in Turchia. Ma la sua presenza nella regione durante la settimana precedente l’attacco, unita alla sorveglianza elettronica costante e alla diffusione selettiva di immagini satellitari, configura un coinvolgimento operativo, non meramente osservativo.

Le analisi più approfondite (tra cui quelle rilanciate da Moon of Alabama e The Cradle) suggeriscono che la NATO abbia agito come sensore avanzato, lasciando a Israele la fase cinetica. In altre parole, un uso integrato della rete NATO come piattaforma di guerra elettronica e sorveglianza, senza assumersi formalmente la responsabilità dell’attacco.


Implicazioni strategiche: NATO da alleanza difensiva a facilitatore offensivo?

Il fatto che un’alleanza nata per la difesa collettiva europea venga oggi impiegata – seppur informalmente – per agevolare un attacco militare fuori area, cambia profondamente il paradigma. Se confermato, il coinvolgimento della NATO infrange la narrazione ufficiale del “non intervento” e pone seri interrogativi sullo stato del diritto internazionale e sul futuro delle relazioni globali.

Questo scenario espone l’Alleanza a:

  • una crisi diplomatica con l’Iran e i paesi vicini,

  • un conflitto diretto con Russia e Cina, che osservano con crescente allarme l’uso espansivo dello strumento NATO,

  • una delegittimazione interna, soprattutto nei paesi europei dove cresce la disillusione verso il ruolo dell’Alleanza come promotrice di stabilità.


Conclusione: l’escalation non è solo militare, è sistemica

Siamo al secondo giorno di guerra, e mentre l’attenzione resta puntata su droni e sirene d’allarme, la realtà più pericolosa si muove nell’ombra: la complicità strategica e tecnologica tra Israele e NATO, che ha permesso un attacco devastante nella forma e nella precisione.

Ciò che ieri sembrava “supporto passivo”, oggi appare per quello che è: un’architettura condivisa di guerra ibrida, fondata sull’intelligence condivisa e la disattivazione selettiva dei sistemi nemici. La NATO, senza sparare un colpo, si trova così coinvolta in una guerra che rischia di allargarsi, trascinando con sé l’intero equilibrio globale.


Fonti: Rybar Telegram, Moon of Alabama, Harici.com.tr, UnderstandingWar.org, Times of Israel, The Cradle, Report NATO E-3A, Trump Axios interview, Reuters.

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