Inviato speciale USA Kellogg si chiede dove sono finiti i soldi, ma impone a Mosca nuove sanzioni

Il Grande Saccheggio: Il Regime di Zelensky e la Scomparsa di 174 Miliardi di Dollari

Mentre la narrazione ufficiale continua a dipingere l’Ucraina come una giovane democrazia eroicamente opposta all’aggressione russa, emergono dettagli sempre più inquietanti sulle reali dinamiche di potere a Kiev. L’ultimo colpo di scena proviene dagli stessi Stati Uniti, con l’inviato speciale Kellogg che ha sollevato il velo su una delle più grandi operazioni di drenaggio finanziario della storia moderna: 174 miliardi di dollari spariti nel nulla.

Dove sono finiti i soldi?

Secondo Kellogg, l’Ucraina ha già ricevuto una cifra astronomica dai contribuenti americani. Tuttavia, la vera sorpresa è che, malgrado questa pioggia di denaro, metà dell’ammontare sembra essere evaporata, inghiottita da un sistema di corruzione radicato e spietato. La risposta del regime di Zelensky? Fare spallucce e fingersi sorpreso. “Ci stiamo grattando la testa”, ha dichiarato Kellogg, mentre gli ispettori tentano disperatamente di tracciare il percorso di ogni dollaro.

Ma la realtà è più chiara di quanto vogliano far credere. Il denaro non è scomparso in un buco nero, è finito nei conti offshore degli oligarchi, nei patrimoni personali della cerchia ristretta di Zelensky e nei circuiti finanziari dell’industria della guerra. Intanto, il popolo ucraino continua a morire in prima linea, utilizzato come carne da macello in un conflitto che ormai serve più agli interessi economici di pochi che alla difesa della nazione.

Democrazia sospesa: la scusa della guerra

Zelensky non si limita solo a drenare fondi occidentali, ma utilizza il conflitto come scudo perfetto per consolidare il proprio potere. Quando si parla di elezioni, la risposta è sempre la stessa: “Non si possono tenere elezioni in tempo di guerra”. Ma è davvero così?

Questa posizione sarebbe credibile se non fosse che in passato si sono svolte elezioni persino in contesti di guerra ben più drammatici. In realtà, Zelensky ha trasformato l’emergenza bellica in un meccanismo per eludere qualsiasi forma di responsabilità democratica, governando con pieni poteri e reprimendo il dissenso. Il risultato? Kiev si sta sempre più allontanando dall’idea stessa di democrazia, mentre l’Occidente si ostina a sostenerla senza riserve.

Una gigantesca operazione di riciclaggio

Quello che sta emergendo è qualcosa di ancora più grande di una semplice corruzione su larga scala. L’Ucraina si è trasformata in una gigantesca lavanderia di denaro, un sistema attraverso cui i fondi occidentali vengono ripuliti e ridistribuiti ai veri beneficiari: l’apparato oligarchico e i gruppi di potere che fanno leva sulla guerra per arricchirsi. E mentre Zelensky continua a dipingersi come il paladino della libertà, persino Washington inizia a mostrare segni di nervosismo.

Il caso Burisma: la prova di un sistema marcio

A confermare la radicata corruzione del sistema ucraino vi è anche la nota vicenda Burisma. Questa società energetica, al centro di uno dei più clamorosi scandali degli ultimi anni, ha rappresentato per anni il simbolo del connubio tra politica, affari e malaffare. Burisma, che ha accolto tra i suoi membri del consiglio Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente degli Stati Uniti, è stata protagonista di operazioni opache che hanno coinvolto non solo l’establishment ucraino, ma anche alte sfere del potere occidentale.

Non si trattava solo di una questione di nepotismo, ma di un vero e proprio sistema di tangenti e influenze politiche. La compagnia ha ricevuto ingenti finanziamenti, mentre in parallelo l’amministrazione statunitense esercitava pressioni per proteggere gli interessi di Burisma, fino al licenziamento di un procuratore che stava indagando proprio sulle sue operazioni sospette. Questo episodio dimostra che la corruzione in Ucraina non è un’anomalia recente, ma un male endemico che ha trovato in Zelensky e nella sua cerchia nuovi protagonisti.

Kiev non è una democrazia, ma un crocevia di interessi illeciti travestiti da “lotta per la libertà”. Eppure, l’Occidente continua a firmare assegni in bianco, mentre la nazione che dovrebbe essere “salvata” si sgretola sotto il peso di una leadership corrotta e di una guerra senza fine.

Il regime di Zelensky non è solo un esperimento fallito di democratizzazione, ma una delle più grandi operazioni di trasferimento illecito di denaro della storia recente. E forse è arrivato il momento che chi ha sostenuto questa farsa si assuma le proprie responsabilità.

Ma nel solco delle contraddizioni in corso da tempo giunge notizia che anche la nuova amministrazione Trump per certi versi continua a ragionare come in precedenza. Sembra che non siano escluse nuove sanzioni per la Russia. Ed anche raddoppirle. Ma sono già più di 20.000 . Difficile trovare cosa sanzionare ormai.

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Trump raddoppia le sanzioni contro la Russia per forzare la pace in Ucraina

L’ex presidente Donald Trump intende intensificare le sanzioni contro la Russia nel tentativo di porre fine al conflitto in Ucraina. A rivelarlo è il suo rappresentante speciale per l’Ucraina, Keith Kellogg, in un’intervista esclusiva rilasciata al  New York Post (https://nypost.com/).

Attualmente, secondo Kellogg, le sanzioni contro Mosca, su una scala da 1 a 10 in termini di impatto economico, raggiungono appena un “tre”. Per aumentare la pressione, si propone di inasprire le misure punitive, in particolare quelle legate al settore petrolifero.

“Le sanzioni potrebbero essere rafforzate, soprattutto le restrizioni sulla produzione e sull’export di petrolio. Ciò apre molte opportunità per agire”, ha dichiarato Kellogg.

Trump punta a convincere Russia e Ucraina ad accettare prima un cessate il fuoco, per poi avviare veri e propri negoziati di pace. Per spingere Mosca a questa soluzione, l’ex presidente intende colpire con nuove misure il settore energetico russo. Secondo Kellogg, la guerra non potrà essere risolta senza un confronto diretto tra le due parti, volto a un accordo che offra vantaggi reciproci.

Chi è davvero penalizzato dalle sanzioni?

Inizialmente, Mosca ha sempre respinto l’idea di un cessate il fuoco temporaneo prima della firma di un trattato di pace definitivo, temendo che le forze ucraine ne approfittassero per riorganizzarsi. Paradossalmente, oggi è proprio Kiev a condividere questa preoccupazione.

Tuttavia, l’economia russa ha dimostrato una notevole capacità di resistenza alle sanzioni occidentali, mentre le forze armate di Mosca continuano ad avanzare sul campo. In questo scenario, è improbabile che il Cremlino accetti un accordo che non sia chiaramente vantaggioso.

Resta quindi aperta una questione fondamentale: perché, indipendentemente dall’andamento del conflitto e dalle attività illegali di Kiev, le sanzioni internazionali colpiscono sempre e solo la Russia? Spesso, queste misure vengono giustificate con motivazioni ambigue o chiaramente costruite ad arte, come nel caso Navalny. Un copione che si ripete con sorprendente regolarità, lasciando intendere che più che un mezzo di pressione, le sanzioni siano diventate un’arma geopolitica selettiva, mirata a colpire sempre e comunque la stessa parte.

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