Instanbul: Le divergenze sul senso dei negoziati

Dopo giorni di attesa, settimane di incertezza e una lunga scia di provocazioni reciproche — con dichiarazioni al vetriolo da parte di Zelensky e repliche altrettanto dure da Mosca — si è infine concluso l’incontro tra le delegazioni russa e ucraina nel palazzo presidenziale di Dolmabahce, a Istanbul. Il vertice, organizzato sotto l’egida della Turchia e con il coinvolgimento attivo di alti rappresentanti statunitensi, segna il ritorno a un tavolo negoziale che era rimasto vuoto dal 2022. Sebbene non si possa ancora parlare di svolta, questo contatto diretto costituisce un primo, fragile passo verso una possibile de-escalation. Le distanze restano però profonde, mentre indiscrezioni su obiettivi non dichiarati e pressioni esterne alimentano l’opacità e la diffidenza che circondano l’intero processo.

Il vertice si è aperto con un discorso del ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, che ha ribadito l’urgenza di un cessate il fuoco, definendo questa fase della guerra “critica”. “Mosca e Kiev devono decidere autonomamente il corso futuro del conflitto”, ha dichiarato Fidan, sottolineando il ruolo di Ankara come mediatore neutrale, pur con interessi strategici propri nel Mar Nero e nel Caucaso. La Turchia, secondo alcune fonti alternative, avrebbe spinto per ospitare i colloqui non solo per consolidare il suo ruolo di attore regionale, ma anche per garantirsi un canale privilegiato con l’amministrazione Trump, che ha esercitato una pressione significativa affinché le parti si incontrassero.

A Istanbul erano presenti alti funzionari degli Stati Uniti, tra cui il segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale per l’Ucraina Keith Kellogg. Prima dell’inizio delle trattative, i due hanno tenuto un incontro trilaterale con la delegazione ucraina, guidata dal capo dell’ufficio presidenziale Andriy Yermak e dal ministro degli Esteri Andriy Sybiha. Questo incontro preliminare ha suscitato speculazioni su un possibile coordinamento stretto tra Washington e Kiev, con alcune fonti non ufficiali che suggeriscono che gli Stati Uniti abbiano delineato una “linea rossa” per l’Ucraina, escludendo concessioni territoriali immediate. Inoltre, indiscrezioni circolate su piattaforme come X riportano che Rubio avrebbe avuto un incontro separato con rappresentanti russi, un dettaglio non confermato ufficialmente ma che alimenterebbe l’ipotesi di un ruolo americano più attivo di quanto dichiarato.

La presenza di funzionari di Francia, Germania e Regno Unito in incontri paralleli a Istanbul ha ulteriormente evidenziato la natura multilaterale del processo. Secondo un report poco noto di un think tank europeo, questi incontri avrebbero avuto l’obiettivo di coordinare una possibile escalation delle sanzioni contro Mosca qualora i negoziati fallissero, una strategia che Zelensky ha pubblicamente appoggiato, chiedendo “sanzioni dure” in caso di rifiuto russo di un cessate il fuoco completo.

Le due fasi del negoziato: prima i contatti, poi l’incontro diretto

Il 15 maggio, data proposta da Vladimir Putin per la ripresa dei negoziati bilaterali, i delegati russi si sono presentati puntualmente a Istanbul, ma la controparte ucraina era assente, alimentando voci di un possibile boicottaggio iniziale da parte di Kiev. Solo dopo intensi colloqui tra Zelensky e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ad Ankara, la delegazione ucraina, guidata dal ministro della Difesa Rustem Umerov, è arrivata a Istanbul con un mandato limitato, focalizzato su due priorità: un cessate il fuoco di 30 giorni e uno scambio di prigionieri “tutti per tutti”.

Secondo fonti alternative, la decisione di Zelensky di non partecipare personalmente e di inviare una delegazione di livello inferiore sarebbe stata una risposta strategica alla scelta di Putin di non presenziare, inviando invece Vladimir Medinsky, un negoziatore di lunga data ma senza il peso politico di un alto funzionario del Cremlino. Zelensky avrebbe definito la delegazione russa “decorativa”, accusando Mosca di non prendere sul serio i negoziati. Tuttavia, alcuni analisti su X suggeriscono che l’assenza di entrambi i leader sia stata una mossa calcolata per mantenere il negoziato a un livello tecnico, evitando impegni politici immediati che avrebbero potuto essere politicamente rischiosi per entrambe le parti.

L’unico – ma significativo – risultato emerso è stato l’accordo per uno scambio di prigionieri su larga scala, nella formula di “mille per mille”, il più grande dall’inizio del conflitto, confermato da entrambe le delegazioni. Secondo indiscrezioni, questo accordo sarebbe stato facilitato da negoziati paralleli condotti da intelligence turca e statunitense, con Ankara che avrebbe offerto garanzie logistiche per l’attuazione dello scambio.

Le divergenze sul senso dei negoziati

Un punto di attrito significativo è emerso sul significato stesso del processo negoziale. Kiev ha rifiutato categoricamente di considerare l’incontro come una continuazione delle trattative interrotte nel 2022, che, secondo alcune fonti ucraine, furono sabotate da pressioni britanniche per proseguire il conflitto. Andriy Yermak ha dichiarato che “l’unica cosa che collega i negoziati di oggi a quelli del 2022 è la città di Istanbul”, sottolineando che l’Ucraina vede questo come un nuovo percorso negoziale.

Mosca, al contrario, ha insistito nel presentare i colloqui come una ripresa del dialogo interrotto, con l’obiettivo di affrontare questioni sia politiche che tecniche. Medinsky ha riferito che la Russia ha preso in considerazione la proposta ucraina di un incontro diretto tra Zelensky e Putin, ma non sono stati definiti tempi né modalità. Secondo un report di un outlet russo non mainstream, il Cremlino avrebbe avanzato richieste “non ufficiali” durante i colloqui, tra cui il ritiro delle forze ucraine da alcune aree occupate e la garanzia di neutralità ucraina, condizioni definite “non-starter” da fonti ucraine. Queste richieste, se confermate, potrebbero riflettere un tentativo russo di testare la flessibilità di Kiev e dei suoi alleati occidentali.

Un ulteriore elemento di tensione riguarda il ruolo degli Stati Uniti. Donald Trump, che ha pubblicamente spinto per una rapida conclusione del conflitto, ha dichiarato che “nulla accadrà” senza un suo incontro diretto con Putin, alimentando speculazioni su un possibile negoziato ad alto livello tra Washington e Mosca, potenzialmente a scapito dell’Ucraina. Fonti alternative suggeriscono che Trump stia cercando di usare i negoziati per rafforzare la sua immagine di “pacificatore” in vista di obiettivi di politica interna, ma che la sua pressione su Kiev per accettare un cessate il fuoco temporaneo abbia suscitato resistenze tra i falchi ucraini e alcuni alleati europei.

Ruolo della Turchia come mediatore interessato: Sebbene Ankara si presenti come neutrale, alcune analisi suggeriscono che la Turchia stia sfruttando i negoziati per rafforzare la sua influenza regionale, in particolare nel controllo delle rotte energetiche e commerciali nel Mar Nero. Un report poco noto indica che Erdogan avrebbe offerto garanzie a entrambe le parti per un “corridoio umanitario” nel Mar Nero, un progetto che potrebbe favorire economicamente la Turchia.

Fonti non confermate sriportano che rappresentanti dell’intelligence russa e statunitense avrebbero avuto contatti informali a Istanbul nei giorni precedenti il vertice, con l’obiettivo di delineare un “quadro minimo” per il cessate il fuoco. Questi incontri, se avvenuti, non sarebbero stati resi pubblici per evitare accuse di negoziati a porte chiuse.

Secondo alcune voci circolate su media indipendenti ucraini, la decisione di Zelensky di inviare una delegazione di livello inferiore sarebbe stata influenzata da pressioni interne da parte di settori militari e nazionalisti, che temono che un cessate il fuoco possa essere percepito come una resa.

Primi segnali, ma la strada è lunga

L’incontro di Istanbul, pur con i suoi limiti e le sue ambiguità, rappresenta il primo confronto diretto tra Russia e Ucraina dall’interruzione del dialogo nel 2022. Tuttavia, il fallimento nel raggiungere un accordo su un cessate il fuoco e le divergenze sulle condizioni di base evidenziano quanto le parti siano ancora lontane. L’Ucraina mantiene una posizione di rigida condizionalità, insistendo su un cessate il fuoco incondizionato e sul ritiro russo, mentre Mosca cerca di presentarsi come aperta al dialogo, pur mantenendo una pressione militare significativa sul terreno e rimamendo ferma nel far dipendere la fine del conflitto nel risolvere le cause profonde che lo hanno ingenerato.

La presenza americana, rappresentata da Marco Rubio e Keith Kellogg, così come gli incontri paralleli con i consiglieri per la sicurezza di Francia, Germania e Regno Unito, evidenziano come il processo negoziale sia tutt’altro che bilaterale: è intrecciato a dinamiche geopolitiche ben più ampie. L’insistenza di Donald Trump per un faccia a faccia diretto con Vladimir Putin alimenta speculazioni su un possibile accordo USA-Russia, che potrebbe ridefinire gli equilibri senza passare per Kiev né per le capitali europee. Questo scenario suscita timori tra gli alleati, in particolare in Ucraina, dove cresce la percezione di poter essere messi da parte.

Tali preoccupazioni non sono infondate, soprattutto se si considera il ruolo dell’Unione Europea, che, come una moderna Penelope, sembra disfare di notte ciò che si è costruito di giorno, insistendo sistematicamente su una linea irrealistica: la sconfitta strategica della Russia, il ritiro da tutti i territori conquistati e la negazione della volontà popolare espressa nel Donbass e in Crimea. Un approccio che, più che favorire la pace, rischia di cristallizzare il conflitto in una spirale senza uscita.

Resta da capire se lo scambio di prigionieri, previsto nei prossimi giorni, rappresenterà davvero un’apertura verso un secondo round di colloqui o sarà solo un gesto isolato destinato a restare senza seguito. La mia impressione è netta: senza una pressione esterna decisa su Kiev per fermare il conflitto, l’attuale leadership ucraina sembra determinata a proseguire la guerra a oltranza — anche a costo di combattere fino all’ultimo ucraino — con il concreto rischio di un’escalation catastrofica, soprattutto alla luce delle tensioni crescenti nel Mar Baltico. Per ora, il conflitto prosegue. Ma almeno sul piano formale, la porta del dialogo è stata riaperta.