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Home Post vari

Il punto sugli effetti dell’intervento russo in Siria nell’intervista a Sputnik

by Patrizio Ricci
30 Settembre 2018
in Post vari
0
La Polizia Militare russa ad Aleppo

Source

di Tatiana Santi

I primi profughi tornano a casa, una patria martoriata dalla guerra il cui destino sembrava già segnato. A parte l’ultima roccaforte jihadista di Idlib, zona ancora in mano ai terroristi, la Siria finalmente è liberata dal Califfato e ora è in atto la fase post-Daesh, l’inizio della ricostruzione

La Siria, un tempo eccellente esempio di convivenza fra diverse etnie e religioni, è stata massacrata per quasi otto anni da una guerra internazionale, è stata colpita dalle sanzioni occidentali e presa sotto ostaggio dai terroristi. Un Paese che ha rischiato di finire frammentato in pezzi e lasciato in balia dei tagliagole, oggi unito inizia la risalita verso una nuova vita.

A tre anni dal suo intervento nel 2015, qual è stato il ruolo della Russia nella lotta al terrorismo islamico e nella liberazione della Siria? Che peso hanno avuto l’Europa e l’Occidente sullo scacchiere siriano? Sputnik Italia ne ha parlato con Patrizio Ricci, cofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, membro del direttivo dell’Osservatorio sulle comunità cristiane del Medioriente, autore per Sussidiario.net.

— Patrizio Ricci, qual è stato il ruolo della Russia in Siria nella lotta al terrorismo e qual è il suo ruolo oggi per il Paese?

— Il ruolo che ha avuto la Russia in Siria è stato provvidenziale: ha evitato una catastrofe ed ha preservato uno stato laico che ha sempre difeso le minoranze. Anziché dare il paese in mano ad una pluralità di sigle di estremisti islamici finanziati dall’estero, la Russia è intervenuta recidendo il cordone ombelicale dei traffici petroliferi dell’ISIS ed in seguito ha permesso la liberazione di tutto il paese, a cominciare da Aleppo in mano ad al Qaeda.
ntendiamoci; non è essere di parte dire che gli Stati Uniti erano disposti a favorire lo Stato Islamico (conosciuto anche con l’acronimo ISIS o Daesh), lo avevano detto chiaramente in un documento desecretato in cui si diceva che la soluzione di favorire un principato islamico poteva riuscire utile per abbattere il ‘regime di Assad’ e istituire un governo più favorevole agli interessi americani nell’area.

— Che cos’è successo quando è intervenuta la Russia?

— Quando la Russia è intervenuta in Siria nel 2015, il destino ella Siria sembrava ormai segnato. Da Mosul a Palmira si era evidenziato come l’occidente pur di realizzare il ‘regime change’ era disposta addirittura a favorire lo Stato Islamico. In tal senso è fortemente indicativo che le banche di Mosul potevano operare tranquillamente transazioni con i proventi del petrolio che Daesh commerciava impunemente, mentre i raid aerei della coalizione a guida USA erano minimi e in alcuni casi, hanno favorito addirittura Daesh bombardando l’esercito siriano anziché l’ISIS. Inoltre sappiamo che molti dei transfughi dell’Isis che appartenevano alle tribù locali a nord della Siria con l’arrivo delle milizie filo-americane curde Syrian Democratic Force (SDF) sono passate in massa dalla parte di SDF. È in questo modo che alcune sacche dell’ISIS si sono volatilizzate. Il merito della Russia non è stato solo in campo militare, ma ha agito a livello diplomatico da freno alla road map occidentale che prevedeva lo smembramento della Siria in entità più piccole a base etnico-religiosa a tutto vantaggio dei sauditi e di Israele ma non del popolo siriano.

— Che cosa possiamo dire invece delle politiche occidentali, che ruolo ha avuto l’Europa in Siria?

— L’Europa è stata praticamente assente ed ha seguito pedissequamente le politiche degli Stati Uniti. Ciò che si è cercato di replicare è il format libico, con tutta la sua sequela di menzogne e di pretesti. L’atto più iniquo — ancora in corso — è stato sicuramente quello delle sanzioni che hanno colpito specialmente il popolo siriano. Tutto ciò è stato messo in atto in sintonia con i ribelli che già dal 2011 hanno colpito non solo i punti nevralgici del governo ma anche la parte più produttiva del paese. Ricordiamo infatti che in tal senso da Aleppo sono state distrutte più di mille fabbriche, i cui macchinari sono statiti rivenduti in Turchia.

Ma anche sul piano diplomatico l’Europa non ha cessato di esercitare il vecchio ruolo di moderazione che esercitava prima dell’unificazione. È anche per questo motivo — che sebbene la popolazione europea non è molta attenta alla politica estera — lentamente si sta ribellando allo snaturamento dei valori europei mentre le elite finanziarie che hanno il potere assoluto, accusano di ‘populismo’.

— Come giudica il poco spazio riservato dai media italiani ai cristiani perseguitati in Siria?

— Per l’appunto una delle armi decisive nel conflitto siriano sono stati i media. Essi in una società che formalmente si basa sullo stato di diritto danno la giustificazione per intervenire ‘per motivi umanitari’ che del resto è l’unico varco consentito nella nostra legislazione e nelle costituzioni per aggredire altri stati. E’ la famosa ‘responsability to protect’ usata impropriamente in Iraq, contro la Serbia e contro la Libia. Non è strano quindi che ci si basi sulla dissimulazione, sulla disinformazione per legittimare certe scelte che vengono prese a priori.

Per i mezzi di informazione oggi dire certe cose rispetto ad altre è più remunerativo. All’uopo sono state ingaggiate per questo compito agenzie di PR dai governi. Basta solo pensare che tutte le notizie ancora oggi sono distribuite a reti unificate facendo riferimento ad un’unica fonte, quella dell’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede in Gran Bretagna e finanziato dal ministero degli esteri inglese.
In questo contesto, anche i media cattolici in Italia, salvo alcune testate minori, si sono allineati al coro che in realtà ha ripetuto la narrativa governativa di Assad ‘spietato dittatore’. È singolare che mentre tutti i responsabili religiosi siriani hanno detto sempre la verità sulla natura del conflitto siriano, la Chiesa ha sempre auspicato la pace ma è stata sempre poco chiara su ciò che effettivamente si andava verificando in Siria. Come se stesse accadendo un terremoto o una pubblica calamità, dove si piange per i morti e si auspica la fine delle scosse ma senza alcuna responsabilità da parte di nessuno. Ovviamente sappiamo invece che solo la verità sgretola il potere nel senso biblico del termine.

— Come immagina il futuro della Siria nel post Daesh? Quanto è importante la cooperazione internazionale in questo senso?

— Il futuro della Siria è già in atto, la Russia sta favorendo la ricostruzione ed il ritorno dei siriani collaborando alla riconciliazione ed al ritorno dei profughi rifugiati all’estero. E nonostante le sanzioni che l’occidente commina a lei stessa bisogna dar atto che sta cercando con ogni mezzo di aiutare il popolo siriano. Dubito purtroppo che la collaborazione internazionale si possa oggi realizzare con l’occidente che ancora non ha rinnegato certi paradigmi per cui solo l’ultra liberismo è l’unilateralismo è la chiave della politica estera. Spero soltanto che avendo davanti agli occhi il fallimento di certe politiche, dalla tradizione cristiana si sappia trarre una forza di rinnovamento. Allo stesso modo di come fece San Benedetto dopo le invasioni barbariche che diede vita ad un cambiamento che non può innanzitutto iniziare se non dalla coscienza.

 

fonte:https://it.sputniknews.com/opinioni/201809286557834-ruolo-Russia-liberazione-Siria/

Patrizio Ricci

Associato alla Freelance International Press (FLIP), Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Cofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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