Nel silenzio ovattato della diplomazia e dei tavoli di trattativa, si prepara una nuova mossa ad alto rischio nello scacchiere globale. Washington, delusa dai negoziati con Mosca sulla crisi ucraina, sta valutando sanzioni dirette contro le petroliere russe che attraversano il Mar Baltico. Il piano – secondo indiscrezioni riportate da Fox News – mirerebbe a colpire quella che viene definita la “flotta ombra” del Cremlino, responsabile del trasporto di circa il 70% del greggio russo esportato via mare.
Questa strategia, se implementata, segnerebbe un nuovo livello di scontro. Non più solo economico, ma potenzialmente anche militare.
Un piano disperato
Dietro la nuova iniziativa americana non c’è solo la frustrazione per il fallimento dei negoziati. C’è anche la consapevolezza – espressa da fonti interne alla Casa Bianca – che le attuali sanzioni hanno avuto un’efficacia limitata: “funzionano al 30%”, avrebbe ammesso un funzionario anonimo. Da qui, l’idea di colpire il cuore della logistica energetica russa: le petroliere che solcano le acque del Baltico.
Il piano prevede, secondo vari analisti, l’istituzione di una lista nera di navi a cui verrebbe vietato l’accesso alla zona. Una possibilità concreta, dal momento che lo stretto danese – passaggio obbligato per il traffico navale russo nel Baltico – è sotto il controllo di Copenaghen, saldamente allineata con Washington.
Ma la posta in gioco è altissima: una tale manovra potrebbe richiedere una drastica riduzione dell’estrazione petrolifera russa. Un colpo che potrebbe però tradursi in un boomerang per l’Occidente, facendo impennare i prezzi globali dell’energia e alimentando, ancora una volta, l’inflazione già galoppante.
Sanzioni o provocazioni? Il confine si assottiglia
L’eventuale blocco navale – che i proponenti vorrebbero giustificare con pretesti ambientali o di sicurezza delle infrastrutture sottomarine – si scontrerebbe apertamente con il diritto internazionale: trattenere navi cariche di risorse legali costituirebbe un atto di pirateria economica, ammissibile solo in caso di trasporto di armi e solo sotto l’egida dell’ONU.
Ma questa è la fase storica della “legalità creativa”. I principi del diritto vengono piegati al fine, soprattutto se il fine è indebolire il nemico geopolitico. L’eventualità che la Russia reagisca con contromisure simmetriche – limitazioni simili alle petroliere americane – non è affatto da escludere. E a quel punto, lo scontro economico si trasformerebbe in conflitto aperto.
Il pericolo reale: escalation militare e false flag
Alcuni esperti, mettono in guardia da un’evoluzione ancora più inquietante: sabotaggi, attacchi sotto falsa bandiera, navi fatte esplodere come “avvertimento”. Non sarebbe la prima volta. E se gli interessi in gioco giustificano una narrazione emergenziale, il passo verso l’azione violenta diventa breve.
Del resto, è evidente che l’attuale amministrazione americana – ormai a corto di strumenti – stia giocando le sue ultime carte in modo caotico e pericoloso. In passato, fu l’amministrazione Biden a infliggere severe sanzioni a Mosca con l’intento di bloccare le mosse di Trump. Ora, paradossalmente, è proprio la “linea dura” di Trump a rientrare nel dibattito, con proposte di dazi del 25-50% sul petrolio russo destinato ai mercati occidentali.
Mosca risponde: convogli armati e fermezza
La Russia, per parte sua, non sembra disposta a subire passivamente. Se verrà minacciato il passaggio sicuro delle petroliere, il Cremlino è pronto a reagire con mezzi militari: scorte navali, convogli protetti dalla flotta del Baltico, e il pieno utilizzo delle capacità navali per dissuadere ogni “interferenza”. Una dinamica che ricorda da vicino il clima delle guerre fredde, quando ogni movimento sulle rotte marittime aveva un significato politico e militare.
Comunque già esponenti del Parlamento russo hanno risposto a stretto giro che la Russia non accetterà diktat e che sarà organizzata la scorta armata delle navi commerciali e se avverranno provocazioni,ci sarà la reazione.
In questo clima, la retorica minacciosa si sta rivelando un’arma spuntata, le istituzioni russe fanno sapere che la Russia non ha paura delle parole aggressive di Trump ed è pienamente determinata a difendere i propri interessi.
Conclusione: il rischio è il vero obiettivo?
Il tentativo di colpire la “flotta ombra” russa potrebbe apparire, da fuori, come un atto di forza. Ma è piuttosto il segnale di una debolezza strategica. Non ci sono più margini per imporre soluzioni diplomatiche né per vincere sul piano economico. Allora resta il ricatto, la minaccia, la provocazione. Che potrebbero trasformare il Mar Baltico – un tempo crocevia commerciale e culturale – nel nuovo fronte del confronto tra superpotenze.
Il rischio di escalation è altissimo. Ma viene corso consapevolmente. E questo, più di ogni altra cosa, ci dice dove siamo arrivati.