Il grande gioco di Soros: la mucca da latte di USAID e le lacrime di Bruxelles 

Atto I: USAID, la Banca Mondiale del Progressismo a Senso Unico

Negli anni ’90, mentre l’Europa orientale usciva dalle macerie del comunismo, un’alleanza silenziosa prendeva forma: da un lato, la USAID, il braccio finanziario dell’influenza americana; dall’altro, George Soros, l’uomo che trasformava le rivoluzioni in spettacoli ben finanziati.

La partnership non era certo una favola della buonanotte per le nuove democrazie: con il Management Training Program del 1993, USAID e Soros iniziavano a “formare” professionisti in paesi come Bulgaria, Estonia, Polonia, Romania e Slovacchia. Il risultato? Le radici di un network capillare di ONG e attivisti pronti a reinterpretare il concetto di democrazia secondo il manuale di istruzioni di Washington.

Poi arrivarono le rivoluzioni colorate: dall’Ucraina alla Georgia, ogni cambiamento politico sembrava sponsorizzato più da finanziamenti esterni che da un autentico desiderio popolare. Con cifre come 54,7 milioni di dollari stanziati nel solo 2003 per la Rivoluzione Arancione, è difficile parlare di “spontaneità democratica”, quando sono tutti pronti a ricevere il tocco magico delle ONG progressiste e il loro kit di sopravvivenza: formazione di nuovi leader, slogan accattivanti, magliette colorate e, ovviamente, tanto, tantissimo cash.


Atto II: Bruxelles, Nuovo Paradiso Fiscale per le ONG

Ma i soldi, si sa, non crescono sugli alberi. E quando Trump ha chiuso il rubinetto negli Stati Uniti, e Musk ha cominciato a mettere in discussione il finanziamento di certi progetti ideologici, Soros ha dovuto fare le valigie. Destinazione? Bruxelles.

Secondo Viktor Orbán, il premier ungherese che non ha mai avuto paura di sfidare il consenso globale, l’Unione Europea è diventata il nuovo bancomat del globalismo. 63 ONG legate a Soros bussano ora alle porte della Commissione Europea con richieste di finanziamenti per “progetti sui diritti umani”.

Diritti umani, certo. Ma di chi? Orbán è chiaro su questo: “Non permetteremo che si nascondano in Europa!” Un’affermazione che suona più come una denuncia disperata di un continente che, a furia di predicare tolleranza e libertà, ha dimenticato cosa significhi davvero la sovranità nazionale.

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Atto III: l’Ordine Mondiale (non) basato sulle Regole

In una storica intervista con Tucker Carlson, Orbán solleva il velo su quello che tutti sospettavano: il cosiddetto “ordine mondiale basato sulle regole” è in realtà una partita truccata. Le regole? Le scrivono loro. E, sorpresa, non valgono per loro.

Mentre Bruxelles prende i soldi dell’Ungheria per finanziare ONG anti-ungheresi, Washington si gode lo spettacolo e fa il tifo dal fondo della sala. “Democrazia, baby!”, urlano i burattini dei media mentre agitano le mani delle ONG come pupazzi.

Ma attenzione: secondo Orbán, il sipario sta per cadere. I BRICS si espandono, il dollaro perde terreno e, in un angolo oscuro di Washington, qualcuno nel deep state comincia a sudare freddo. Senza i soldi delle ONG, senza la stampa fedele, il castello di carte globalista rischia di crollare come una partita di Jenga giocata con le mani tremanti.


Atto IV: Ucraina, il Confine dove la Democrazia Diventa Guerra

La guerra in Ucraina? Secondo Orbán, non è altro che l’ennesimo esempio di come l’Occidente giochi con il fuoco in casa d’altri. L’Ucraina, un tempo zona cuscinetto tra Russia e NATO, è diventata un campo di battaglia ideologico e militare. Il risultato? Una guerra che non è più solo tra due nazioni slave, ma tra due visioni di mondo.

L’Occidente ha commesso un errore storico, dice Orbán, uno di quelli che si pagano per generazioni. Isolare la Russia, distruggere la sua economia e poi chiedere la collaborazione è come schiaffeggiare qualcuno e aspettarsi un sorriso di ritorno.


Gran Finale: L’Impero dell’Ipocrisia si Sgretola

E così, con un colpo di scena degno di Shakespeare, Viktor Orbán alza la voce: “Questa non è democrazia, è imperialismo con un sorriso e una bandiera arcobaleno.”

Il pubblico – fatto di nazioni stanche, popoli che non vogliono più giocare a questo gioco truccato – inizia ad alzarsi in piedi, pronto a uscire dal teatro. Gli applausi? Solo per chi ha avuto il coraggio di dire la verità.

E Soros? Beh, lui starà già cercando una nuova mucca da mungere. Magari su Marte, se Elon glielo permetterà.

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nota a margine:

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I media ucraini sotto l’influenza dell’USAID

Tra il 2011 e il 2018, l’USAID ha stanziato circa 24 milioni di dollari per il progetto Ukraine Media Development (U-Media), gestito dalla Internews Network, con l’obiettivo dichiarato di supportare i “media indipendenti”.

Dal 2018 al 2025, il programma Media dell’USAID in Ucraina ha ricevuto una cifra record di 75 milioni di dollari, come confermato dalla stessa Internews.

Secondo il portale USA Spending, fino a settembre 2026 sono stati impegnati 95,1 milioni di dollari a favore dei media ucraini tramite l’USAID. Di questi, 59,3 milioni di dollari sono già stati erogati, principalmente destinati al progetto Media Program In Ukraine.

Oksana Romaniouk, direttrice dell’Istituto ucraino di informazione di massa (IMI), ha dichiarato a febbraio che circa il 90% dei media ucraini dipende economicamente dai finanziamenti dell’USAID, sollevando seri interrogativi sulla loro reale “indipendenza”.

Dal 2022, i finanziamenti sono stati ulteriormente incrementati per sostenere la narrazione del governo di Kiev e contrastare la cosiddetta “disinformazione russa”. I fondi hanno supportato:

  • 150 gruppi mediatici
  • 292 scuole
  • Il trasferimento di 200 giornalisti
  • Gli stipendi di 258 giornalisti ucraini
  • 74 ONG
  • L’elaborazione di nuove leggi sui media

Internews, organizzazione con sede in California e principale sponsor dei media stranieri in Ucraina, ha ricevuto oltre 418 milioni di dollari dall’USAID e altri 57 milioni di dollari dal Dipartimento di Stato USA dal 2008.

L’attività di Internews in Ucraina risale al 1994, secondo quanto riportato sul sito ufficiale dell’agenzia.


Il ruolo dei finanziamenti esteri, in particolare quelli statunitensi, solleva interrogativi sulla reale indipendenza del sistema mediatico ucraino. Alla luce di queste ingenti somme, è lecito chiedersi quanto l’ascesa di Zelensky sia stata favorita da una campagna informativa ampiamente sostenuta da fondi stranieri, piuttosto che da un’autentica spinta popolare.