Il giornalista saudita Khashoggi assassinato dai sauditi. Trump promette ‘pene severe’. Che succede!?

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Khasoggi avrebbe compiuto 60 anni questo fine settimana ed è considerato come un eminente editorialista del Washington Post. “Era in esilio auto-imposto dall’Arabia Saudita ed era residente permanente negli Stati Uniti, con una residenza in Virginia dal 2008″. Secondo un editoriale della sua fidanzata sul Wshington Post , “stava cercando di diventare un cittadino statunitense”. Politicamente “era un critico del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman , che si discostava dalle politiche saudite sulla guerra del paese in Yemen, dal suo approccio all’Iran, e contro la repressione contro i critici e la sua profonda opposizione agli islamisti politici.

Sappiamo anche che Khasoggi  viene da una ricca famiglia saudita. Che suo nonno era medico personale del re Saud. Che è il nipote di Adnan Khashoggi, un multi-miliardario, il più grande trafficante d’armi illegale del mondo, che è stato coinvolto nello scandalo IranContras . E’  anche il cugino di Dodi Fayed, che usciva con la principessa Diana quando furono entrambi uccisi in un incidente automobilistico a Parigi.

Senza dubbio un uomo di rilievo e di potere. Tuttavia, la maggior parte di noi non lo avrebbe mai conosciuto senza ultime vicissitudini: nel 2016 viene espulso dall’Arabia Saudita e si rifugia negli USA. Dal settembre del 2017 è stato assunto dal Washington Post. Poi improvvisamente pur sapendo dei rischi, va in Turchia ed il  2 ottobre entra nell’ambasciata saudita e non è più uscito , pare ucciso e fatto a pezzi dai servizi segreti sauditi.

Le prove sarebbero  schiaccianti. Gli indizi delle accuse di omicidio e della scomparsa di Khashoggi con annesse le accuse all’Arabia Saudita sono partite da un uomo di nome Khaled Saffuri, un amico di Khashoggi, residente negli Stati Uniti che  ha riferito che il giornalista gli aveva detto “… ,di aver ricevuto una chiamata da un consigliere alla corte reale saudita verso la fine di maggio o l’inizio di giugno, che lo invitava a tornare in patria”. Alla domanda se avesse intenzione di accettare Khashoggi rispose: ‘Sei pazzo? Non mi fido di lui assolutamente. ‘

L’evento sta a mettendo in crisi il rapporto di Ryad con gli USA. Trump è stato costretto ad alzare i toni dopo che un gruppo di 20 senatori , mercoledì lo hanno costretto ad aprire un’indagine sul destino di Khasoggi, fino a minacciare  minacciare «punizioni severe» se sarà accertato che  Khasoggi sia stato ucciso per ordine della casa regnante saudita.

Insomma gli Stati Uniti si sarebbero accorti che l’Arabia Saudità è un regime sanguinario e per questo lo stesso, Trump ha minacciato gravi conseguenze se la vicenda sarà confermata.

Solo Trump sembra non sapere che il paese suo alleato – che  come ha detto lui stesso recentemente  “cadrebbe senza la protezione USA in sole  due settimane” –  non ha alcuna legge che tuteli i propri cittadini e non ha nemmeno una Costituzione. Per giunta ha un dossier aperto sulla sua implicazione nel sostegno del terrorismo nel mondo, compreso un ruolo nell’attacco dell’11 settembre.

In ogni modo pare che questa volta i sauditi abbiano passato il limite e che questo sospetto assassinio mini l’intesa tra Washington e Ryad.

Tuttavia è evidente che siamo al centro di uan vicenda poco chiara: se certamente ci sono gravi indizi  non sempre tutto ciò che riluce è oro.  Soprattutto non va bene che si sta dipingendo il giornalista saudita Khashoggi come un liberale, un democratico schierato contro la dittatura saudita. Khashoggi non è  un ”buono”: ha sostenuto apertamente le decapitazioni  dei soldati siriani da parte dei terroristi dell’ISIS  definendole come “tattiche militari efficaci”.


Allo stesso modo  – realtivamente al dossier siriano – Khashoggi era un accanito sostenitore della linea saudita secondo la quale “Assad deve andarsene”  ed ha sostenuto la lotta dei “ribelli siriani” per rovesciare il governo siriano.a

Inoltre negli anni 80′ aveva una linea di contiguità con i Mujaheddin di Bin Laden, come ex spia saudita era stata inviata in Afghanistan per rappresentare il governo saudita e finanziare i mujahideen a fianco della CIA. Attualmente lavorava con il Whashington Post ma più di tutto era noto leader de facto dei Fratelli musulmani, ramo saudita.
Khashoggi ha formato un nuovo partito politico nel 2018 (immagino mentre lavorava per il Washington Post) chiamato Democracy for the Arab World Now, diventando la più grande minaccia politica al principe ereditario Mohammed. 

In definitiva , è  improprio  definire Khashoggi semplicemente ‘giornalista’ , quando in realtà la sua principale caratteristica è quella di essere stato  il leader dei Fratelli Musulmani in Arabia Saudita (due milioni di follower su tweeter) , e per questo  beniamino dei progressisti in Gran Bretagna e negli USA ( https://www.spectator.co.uk/2018/10/death-of-a-dissident-saudi-arabia-and-the-rise-of-the-mobster-state/ )

Insomma ‘la persona merita’ le nostre doglianze per la sua orrenda sorte ma certo non era un semplice giornalista nell’accezione del termine come noi la intendiamo…

Invece gli stretti legami con la Turchia, con il Qatar e la fratellanza musulmana nel corso degli anni potrebbero dire molto sul motivo per cui è stato assassinato.

È difficile sapere esattamente cosa è successo. È probabile che i sauditi lo abbiano ucciso. Potrebbe essere anche che Khashoggi possa essere andato dentro l’ambasciata sapendo che stava per morire in ogni caso e si è sacrificato in modo che la Turchia potesse creare il caso. Da li a poche ore infatti è stato rilasciato il pastore americano e sono usciti una infinità di indizi, ma davvero tanti.

Quindi vediamo gli sviluppi ma andiamo cauti…

Vietato Parlare

Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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