Perché le istituzioni tacciono di fronte a Gaza?
Il potere ha bisogno di conservare narrazioni intoccabili per giustificare sé stesso.
Siamo giunti a un livello di orrore tale – crimini disumani, sofferenze inflitte con sadismo – che ci si aspetterebbe una presa di posizione netta da parte delle istituzioni, almeno sul piano umanitario. E invece, silenzio. Perché?
La risposta, per quanto amara, è semplice: il silenzio serve a consolidare un meccanismo. Un meccanismo che giustifica la violenza quando proviene da un alleato, e che trasforma l’ingiustizia in norma quando rientra nella narrazione dominante. Così, si istituzionalizza l’idea che la risposta israeliana al massacro compiuto da Hamas sia legittima a prescindere. Si istituzionalizza che Israele – e, per estensione, l’ebraismo – agisca sempre per il bene, e quindi debba essere difeso senza condizioni. Ma questo schema non serve solo a Israele: serve a tutti i poteri che vogliono giustificare se stessi, anche quando operano contro le proprie costituzioni e contro i propri popoli.
In questo modo si crea un precedente. Un mondo che si abitua a tollerare violenze sistematiche contro una popolazione finirà per non saper più protestare quando sarà a sua volta oggetto di soprusi. Se oggi si accetta che “la Russia è il male” e quindi “è giusto attaccarla in profondità”, allora domani sarà facile convincere l’opinione pubblica che qualunque azione contro un “nemico” sia legittima – anche se quel nemico non ha fatto ciò che si dice.
In definitiva, il massacro della popolazione palestinese torna utile a molti: ai governi che mentono, ai poteri che agiscono al di fuori dei principi di legalità, a chi ha bisogno di coprire operazioni ambigue e occultare verità scomode. È già successo: in Siria, dove la narrazione pubblica ha spesso rovesciato la realtà dei fatti, e in mille altri scenari in cui ciò che veniva mostrato era l’opposto di ciò che accadeva davvero. È accaduto anche durante la pandemia, quando – sotto il pretesto dell’emergenza – si sono imposte restrizioni che hanno colpito la dignità e i diritti fondamentali delle persone, trasformando la gestione sanitaria in uno strumento di profitto e di controllo sociale su scala mai tentata prima.
Ed è proprio questo il punto: ciò che è stato reso accettabile in quel contesto ha aperto la strada a tutto il resto. Una volta accettato che si possa violare la libertà in nome di un bene superiore imposto dall’alto, sarà possibile replicare lo stesso schema in ogni futura crisi – reale o costruita.
Per questo l’Unione Europea, come Trump o altri leader, non ha alcun interesse a condannare apertamente Israele: se crollasse quella narrazione, se venisse smascherata per quello che è, crollerebbe anche il castello di menzogne su cui si reggono molte altre “verità ufficiali”.
E se oggi si accetta che una strage come quella in corso a Gaza sia una normale operazione militare, allora domani si accetterà che anche un governo occidentale possa agire con la stessa brutalità, nel silenzio generale. Come è accaduto – e ancora non è stato ammesso – con certe politiche adottate durante la pandemia.
Ecco perché diffido delle proteste che oggi si moltiplicano. Non perché Gaza non meriti attenzione, ma perché molte di queste manifestazioni sono politiche, opportunistiche. Protestano per Gaza, ma non per altri drammi analoghi. Non colgono il filo che unisce tutti questi eventi: il disprezzo per la libertà umana, mai difesa per ciò che davvero vale. Mai perseguita come bene assoluto.
E, soprattutto, non si comprende un punto essenziale: per il potere – anche quello apparentemente “buono”, che alterna azioni giuste ad altre discutibili – è fondamentale che esistano ambiti “sacri” e intoccabili. Ambiti in cui il giudizio sia già confezionato, dove non ci sia spazio per la complessità. Che si tratti del Manifesto di Ventotene, dell’antifascismo, del popolo ebraico vittima degli attacchi di Hamas, o dello schema aggressore-aggredito nella guerra in Ucraina, è necessario che sia ben chiaro chi ha ragione e chi ha torto, anche quando la realtà dice altro.
Questo meccanismo viene difeso dai poteri – anche quando, in privato, ne percepiscono i limiti – perché protegge un principio: l’accondiscendenza a un racconto intoccabile. E una volta messo in salvo questo principio, tutto diventa giustificabile: con le leggi, con le delibere, con i tribunali, persino in nome dei diritti umani.
È una nuova forma di fede: non in Dio o nella verità, ma nel potere stesso che si autoassolve e si autocelebra.
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