Il debito africano: tra assistenza sterile e sviluppo produttivo

di Vietato Parlare

“I sistemi economici devono essere al servizio delle persone, non il contrario.” – Mons. Ettore Balestrero

Nel cuore del dibattito internazionale sulla giustizia economica, le parole del rappresentante vaticano all’ONU a Ginevra hanno riportato alla luce una realtà spesso taciuta: milioni di persone vivono in Paesi che spendono più per ripagare il debito estero che per garantire istruzione e salute ai propri cittadini.

Ma da dove nasce questo debito? E, soprattutto, è tutto lo stesso debito?

La risposta è no. Il debito che oggi soffoca molti Paesi africani non è tutto uguale. C’è un debito ereditato da decenni passati, spesso con finalità assistenziali o geopolitiche. E c’è un debito più recente, contratto soprattutto con la Cina, pensato per finanziare infrastrutture produttive e generare sviluppo economico.

La differenza tra i due modelli è profonda. Comprenderla è essenziale per poter proporre soluzioni reali e non ideologiche.

Caratteristica Debiti “occidentali” storici (anni ‘70–’90) Prestiti cinesi contemporanei (dal 2000 in poi)
Origine Istituzioni occidentali (FMI, BM), governi coloniali, banche private Banche pubbliche cinesi (China Exim Bank, China Development Bank)
Finalità dichiarata Assistenza umanitaria, stabilizzazione, lotta alla povertà Costruzione di infrastrutture strategiche: porti, ferrovie, dighe, zone industriali
Settori finanziati Sanità, educazione, agricoltura, emergenze alimentari Trasporti, energia, logistica, sviluppo urbano
Condizionalità Riforme strutturali, privatizzazioni, deregolamentazione Nessuna condizionalità politica, ma spesso clausole di riservatezza
Risultati prevalenti Debiti impiegati senza ritorno economico reale; crescita stagnante Progetti infrastrutturali tangibili; possibilità di generare reddito locale
Trasparenza Più controlli, ma imposte condizioni restrittive Maggiore flessibilità, ma minore trasparenza nei contratti
Capacità di generare reddito Limitata o nulla: assistenza senza impatto diretto sull’economia reale Alta, se i progetti sono ben gestiti: tariffe, trasporti, commercio

 

La trappola del debito antico

Molti Stati africani portano ancora sulle spalle il peso di vecchi prestiti concessi durante la Guerra Fredda, spesso elargiti senza trasparenza, con tassi elevati, e usati da regimi corrotti per interessi non produttivi.

Questi debiti sono stati in parte ristrutturati, ma mai completamente cancellati. Anzi, sono serviti come base per nuovi indebitamenti con il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, in un ciclo continuo in cui i nuovi prestiti servivano a ripagare quelli vecchi, senza mai liberare risorse per lo sviluppo interno.

L’effetto è devastante. Oggi oltre 30 Paesi africani destinano più risorse al servizio del debito che alla sanità o all’educazione. Alcuni, come Ghana, Zambia, Etiopia, stanno ricorrendo a nuovi prestiti solo per garantire la sopravvivenza dello Stato.


L’effetto Cina: sviluppo, sì, ma a che prezzo?

A partire dagli anni 2000, l’ingresso della Cina ha modificato radicalmente il panorama. I prestiti cinesi non hanno cercato di riformare la società africana, ma di finanziare lo sviluppo delle infrastrutture, spesso lasciate incompiute da altri donatori.

Progetti come la ferrovia Addis Abeba–Gibuti, il porto di Mombasa, o la diga sul fiume Zambezi in Zambia hanno dato ai Paesi africani strumenti reali per accedere ai mercati, migliorare la logistica e generare flussi economici sostenibili.

Ovviamente, questi prestiti non sono gratuiti. Alcuni includono clausole vincolanti (come il deposito di aliquote di ricavi in conti cinesi), e mancano di trasparenza pubblica, rendendo difficile valutarne la reale sostenibilità.

Inoltre, se mal gestiti a livello nazionale, anche i migliori progetti possono trasformarsi in zavorre. La crescita economica non è automatica: richiede pianificazione, competenza e vigilanza democratica.

Un problema multilivello

Il debito africano oggi è un problema composito: c’è una base storica (occidentale, multilaterale, privata), su cui si sono innestati nuovi prestiti cinesi e di mercati finanziari privati.

Fonte del debito Quota media sul debito totale africano Criticità principali
Creditori privati occidentali 35–40% Tassi elevati, assenza di flessibilità, interessi speculativi
Cina 12–15% Opacità contrattuale, rischio di garanzie su risorse strategiche
FMI e Banca Mondiale 20–25% Condizionalità politiche, riforme imposte
Altri Paesi OCSE 10–15% Burocrazia, aiuti frammentati, scarso impatto infrastrutturale


Per una giustizia del debito

L’errore non è nei prestiti in sé, ma nel sistema che li gestisce e li perpetua senza criteri etici e realistici.

Se un prestito serve a costruire un ospedale, una rete elettrica o un porto che moltiplica il commercio, allora può essere sostenibile. Ma se è solo l’ennesimo “prestito di sopravvivenza” per pagare interessi su vecchi debiti, è una trappola moralmente inaccettabile.

Serve urgentemente:

– Una moratoria globale per i Paesi in crisi
– La cancellazione selettiva dei debiti odiosi o improduttivi
– Un nuovo modello trasparente di cooperazione economica, orientato allo sviluppo reale


Conclusione – Una coscienza che cambia

Il debito non è solo una questione finanziaria. È una questione di giustizia globale.

Il futuro dell’Africa non può essere ostaggio delle banche e dei creditori. È tempo di ripensare radicalmente il sistema del debito, affinché non sia più strumento di oppressione, ma leva di sviluppo autentico e condiviso.

Come ricorda la Santa Sede, il Giubileo è il tempo per restituire libertà ai popoli schiacciati. Anche il debito deve conoscere la sua liberazione.