Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta dirompente, intitolata “Key Takeaways From America’s Secret Military Partnership With Ukraine“, che getta una luce impietosa sul reale coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto tra Russia e Ucraina. Altro che supporto “esterno” a una nazione aggredita: i dettagli emersi mostrano una complicità profonda, strutturata e operativa, che ridefinisce completamente il ruolo di Washington. Siamo di fronte, senza mezzi termini, a una cobelligeranza mascherata.
In altre parole, l’inchiesta — che conferma quanto già emerso in un precedente articolo del NYT del 2024 dedicato all’intelligence — dimostra che gli Stati Uniti stanno combattendo direttamente contro la Russia. Non solo fornendo armi, ma prendendo parte attiva all’identificazione in tempo reale di truppe, infrastrutture e navi da colpire. Le operazioni coinvolgono CIA e Pentagono, e includono perfino la presenza di squadre furtive sul terreno.
Quella che emerge è la storia di una coalizione guidata da Washington, intricatamente coinvolta nella pianificazione e realizzazione degli attacchi, con un ruolo chiave nel fornire non solo le munizioni ma anche l’intelligence che li rende possibili. Uno dei passaggi più inquietanti dell’inchiesta riguarda un momento nel 2023, quando gli Stati Uniti avrebbero stimato che la probabilità che Mosca ricorresse all’uso di armi nucleari tattiche fosse passata dal 5% al 50%.
Secondo il NYT, l’amministrazione Biden non si è limitata a fornire armamenti, ma ha partecipato alla selezione degli obiettivi militari, anche all’interno del territorio russo, in operazioni condotte con i sistemi HIMARS. Gli obiettivi ucraini venivano infatti sottoposti all’approvazione americana prima di essere colpiti: un livello di coordinamento che supera di gran lunga la semplice consulenza militare.
Non solo. La CIA ha autorizzato l’uso di droni ucraini per colpire obiettivi in Russia, in particolare nel sud del Paese, segnando un’escalation significativa. È evidente che non siamo più nel campo dell’assistenza indiretta, ma in quello di una partecipazione attiva a operazioni offensive, che rende gli Stati Uniti — seppur senza dichiarazione formale — una parte belligerante.
L’inchiesta conferma inoltre l’esistenza di una rete di basi segrete e strutture di intelligence sviluppate a partire dal 2014, subito dopo Maidan, lungo il confine con la Russia. Queste infrastrutture, costruite con supervisione americana, sono il segno di una lunga preparazione pre-bellica, che smentisce radicalmente la narrazione dominante di una “guerra improvvisa e non provocata”.
Ma c’è di più. L’inchiesta parla anche di operazioni coperte di sabotaggio e omicidi mirati, realizzati da forze ucraine con il supporto della CIA, e in alcuni casi andati oltre i limiti concordati con Washington. Nonostante le tensioni interne, gli Stati Uniti non hanno mai interrotto il sostegno, rendendosi di fatto complici anche delle operazioni più controverse, purché rientrassero nella strategia di logoramento russo.
Le implicazioni sono enormi. L’ipocrisia occidentale, che si ammanta della retorica sulla libertà e sulla sovranità, viene così smascherata. Dietro le dichiarazioni pubbliche si muove una macchina da guerra parallela, accuratamente nascosta all’opinione pubblica, che non lascia alcuno spazio a spiragli di compromesso. Una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto diretto tra potenze nucleari.
Come osserva lo stesso NYT, la capacità dell’Ucraina di continuare a combattere dipende totalmente dall’ombrello strategico americano. E nel caso in cui il Congresso dovesse tagliare i finanziamenti, si teme un crollo repentino simile al ritiro statunitense dall’Afghanistan.
Ma un aspetto cruciale è il tempismo e la natura della pubblicazione. Non è affatto scontato che questa rivelazione sia uscita in maniera “innocente”. Il New York Times, notoriamente allineato con le posizioni interventiste e a favore della prosecuzione del conflitto, potrebbe aver deliberatamente reso pubblico ciò che era già noto ai servizi russi, ma che non era stato mai ammesso ufficialmente.
Infatti, se da un lato è evidente che Mosca conoscesse già questi dettagli tramite la propria intelligence, la conferma pubblica complica fortemente il quadro diplomatico. La pubblica opinione russa percepisce ora come evidente la regia americana del conflitto, mentre la leadership del Cremlino può sfruttare questo elemento per giustificare nuove escalation. Parallelamente, l’amministrazione Biden si scredita agli occhi di eventuali mediatori: la fiducia reciproca, già ai minimi, ne esce ulteriormente minata. In altre parole, una guerra sotterranea è ora apertamente rivendicata, e ciò non può che peggiorare il clima diplomatico. Tutto questo mentre gli USA continuano a fornire armi, intelligence, supporto satellitare e missioni di ricognizione a favore di Kiev.
Ciò che emerge, dunque, è l’immagine di una guerra che ha due volti: quello pubblico, fatto di diplomazia e dichiarazioni ufficiali, e quello reale, dove operano agenti sotto copertura, basi segrete, sabotatori e droni armati. In questo scenario, gli Stati Uniti non sono più meri alleati: sono cobelligeranti a tutti gli effetti.
E mentre Washington orchestra l’intervento, l’Europa si mostra ogni giorno più cieca e bellicista, incapace di difendere un proprio ruolo autonomo, intenta a ripetere slogan e giustificare un’escalation permanente. La guerra non solo continua, ma viene artificialmente alimentata, trascinando il continente in un vortice geopolitico che non prevede uscite onorevoli.
La domanda, a questo punto, non è più se gli Stati Uniti siano coinvolti, ma quanto a lungo continueremo a ignorare l’evidenza per mantenere una narrazione comoda e ideologica. La verità – ora nero su bianco sulle pagine del New York Times – impone un radicale ripensamento della postura occidentale, e del concetto stesso di responsabilità in questo conflitto che sembra ormai essere sfuggito di mano.
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