Gli USA non possono aprire nuovi fronti senza chiudere la partita in Ucraina

Gli Stati Uniti stringono la morsa su Cina e Iran

Il Dipartimento di Stato americano ha annunciato oggi una nuova tornata di sanzioni contro la Cina, colpendo direttamente il terminal petrolchimico Huaying Huizhou Daya Bay, accusato di aver acquistato e immagazzinato petrolio greggio iraniano. Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro ha imposto sanzioni anche alla raffineria Shandong Shouguang Luqing Petrochemical Co., Ltd., situata nella regione di Teapot, per attività simili.

Nel mirino ci sono anche dodici entità cinesi, un individuo e otto navi, accusati di aver trasportato petrolio iraniano verso la Cina, utilizzando una vera e propria “flotta ombra” organizzata da Teheran per aggirare le restrizioni internazionali. Secondo stime, il greggio iraniano costituirebbe oggi tra il 10% e il 15% delle importazioni totali cinesi: una quota significativa, difficile da ignorare nei calcoli geopolitici.

Questo nuovo giro di vite non arriva a caso. Il 24 febbraio Donald Trump ha pubblicato il Memorandum presidenziale sulla sicurezza nazionale (NSPM-2), interamente dedicato alla minaccia iraniana. Il documento ribadisce che Teheran è il principale sponsor del terrorismo globale, con legami diretti con Hezbollah, Hamas, gli Houthi, i talebani, al-Qaeda e altre reti. Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) è a sua volta classificato come organizzazione terroristica straniera.

Nel memorandum si denuncia anche l’utilizzo da parte dell’Iran di strumenti cibernetici e agenti sotto copertura per pianificare e realizzare attacchi, rapimenti e persino omicidi di cittadini americani, sia sul territorio nazionale che all’estero. Il programma nucleare iraniano, compresa la capacità di arricchire uranio e sviluppare missili a lungo raggio, viene descritto come una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti e per l’intero mondo civilizzato.

Trump sottolinea l’urgenza di impedire che il regime iraniano acquisisca capacità nucleari, e di porre fine al “ricatto” esercitato da Teheran attraverso la minaccia atomica. Le notizie recenti su presunte simulazioni informatiche iraniane collegate allo sviluppo di armi nucleari vengono definite “immediatamente allarmanti”.

Ma ciò che non si dice è che è stata Washington, non Teheran, a mandare in frantumi il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) durante il primo mandato di Trump. L’Iran, da parte sua, ha rispettato gli impegni, come confermato dall’AIEA. Ma gli Stati Uniti non hanno mai tollerato un Iran davvero indipendente: così hanno distrutto l’accordo, imposto sanzioni durissime che hanno ridotto alla fame la popolazione iraniana, e oggi, con spavalderia, pretendono che Teheran torni a negoziare al tavolo che loro stessi hanno capovolto.

Adesso Trump, di nuovo alla Casa Bianca e affiancato da Rubio, tenta di presentarsi come un nuovo uomo di pace. Attraverso emissari degli Emirati Arabi Uniti, invia messaggi all’Ayatollah Khamenei, chiedendo colloqui mentre al contempo minaccia la Repubblica Islamica di distruzione.

Secondo Axios, l’ex presidente avrebbe inviato una lettera alla Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, proponendo un nuovo accordo sul nucleare entro due mesi. Ma la lettera sarebbe stata ignorata. C’è da meravigliarsi!?

Non dovrebbe sorprendere allora che Stati Uniti appaiano oggi desiderosi di risolvere rapidamente la crisi ucraina. Probailmente lo fanno anche per liberare risorse diplomatiche e strategiche da indirizzare verso la questione iraniana. Dopo una conversazione con Putin, Trump ha dichiarato che “lavoreremo rapidamente”, e un terzo del comunicato della Casa Bianca pubblicato a valle dell’incontro era dedicato proprio all’Iran.

La posta in gioco è alta. Se gli Stati Uniti dovessero avviare un’operazione di pressione reale contro Teheran — andando oltre i raid mirati in Yemen — allora l’assenza di una revoca delle sanzioni sul petrolio russo potrebbe far schizzare il prezzo del barile oltre i 100 dollari. Una dinamica che metterebbe seriamente a rischio i piani di rilancio economico promossi da Trump.

In parallelo, un rallentamento forzato delle forniture cinesi, già sotto pressione, potrebbe spingere l’intera economia globale verso una nuova fase recessiva.

In questo scenario complesso, il fronte energetico si conferma ancora una volta il vero campo di battaglia geopolitico, dove sanzioni, diplomazia e minacce si intrecciano in una partita che va ben oltre l’apparente cronaca dei fatti.