Giornalista libanese sotto processo per aver trattato le accuse di abuso sui lavoratori migranti

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Una dimostrazione del 24 luglio contro gli arresti causati da post online in Libano. Foto di Hasan Shaaban, utilizzata con permesso.

Timour Azhari, un giornalista del giornale libanese DailyStar, sta affrontando un processo per aver segnalato il presunto maltrattamento di una lavoratrice migrante etiope per mano dei suoi datori di lavoro in Libano. Azhari ha anche scritto per Global Voices.

A marzo 2018, Lensa Lelisa ha affermato [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] che i suoi datori di lavoro, che gestiscono una società di moda di fascia alta, l’hanno maltrattata. Cercando disperatamente di fuggire, ha saltato dal balcone del secondo piano, rompendosi le gambe. In seguito, ha raccontato la sua esperienza in un video che è stato condiviso ampiamente online.

Quando è stata dimessa dall’ospedale, i suoi datori di lavoro l’hanno riportata a casa loro, nonostante le accuse di maltrattamento. Lelisa ha in seguito fatto un’ apparizione in un programma televisivo dove ha ritrattato la sua storia, dicendo di essere caduta in maniera accidentale.

Lensa (a sinistra) con sua zia Ganneth (a destra). Foto condivisa da amici di Lensa sui social media e utilizzata con permesso.

I collaboratori domestici migranti sono costretti a lavorare e vivere in condizioni difficili, sotto il famigerato sistema “kafala” (di sponsor) libanese. Il sistema concede degli sponsor (per società o privati cittadini) cioè “un insieme di misure legali” per controllare i lavoratori e renderli vulnerabili ai maltrattamenti. Senza il permesso degli sponsor, i lavoratori non possono cambiare o lasciare il lavoro o lasciare il paese. L’ Organizzazione Internazionale del Lavoro ILO, un’organizzazione delle Nazioni Unite, afferma che il sistema lascia i lavoratori vulnerabili al lavoro forzato.

Dopo aver raccontato la storia di Lelisa, Azhari è stato accusato di diffamazione a causa di un articolo pubblicato nell’edizione online e in quella stampata del DailyStar il 28 Marzo, che racconta le accuse di Lelisa contro i suoi datori di lavoro. Il caso contro Azhari inoltre include i tweet giornalistici, pubblicatI mentre partecipava ad una protesta di fronte alla casa e posto di lavoro dei datori di lavoro per il suo giornale.

Sotto pressione da parte delle autorità, il giornale ha eliminato il suo articolo dal suo sito web, tuttavia è rimasto disponibile sul blog di Azhari. Un altro articolo riguardo la protesta è ancora disponibile sul sito del DailyStar.

Azhari rischia una multa per la sua denuncia. Foto: Profilo Twitter del giornalista.

Azhari è stato interrogato a giugno dal tristemente famoso Ufficio per i Crimini Informatici libanese. Quando ho parlato con Azhari dell’accaduto, lui ha raccontato come un investigatore lo avesse accusato di “essersi schierato” nella storia. Le autorità gli hanno chiesto di rimuovere i suoi tweet relativi al caso Lelisa, spiegando che un’indagine della polizia aveva provato l’innocenza dei suoi datori di lavoro. Inoltre la polizia aveva sequestrato informazioni personali dal suo cellulare.

Between my questioning and time spent waiting in the interrogation room, I was at the Bureau for 8 hours. My phone was searched, confidential information on an anonymous source was seized from it, and I was made to delete my tweets.

Tra il mio interrogatorio e il tempo trascorso nella stanza in cui mi hanno interrogato, sono rimasto all’Ufficio per 8 ore. Il mio telefono è stato perquisito, informazioni confidenziali su fonti anonime sequestrate e sono stato costretto a cancellare i miei tweet.

Gli investigatori inoltre, gli hanno chiesto di firmare un documento impegnandosi a non parlare di nuovo riguardo al caso, ma si è rifiutato di farlo.

Istituito nel 2006 per rafforzare le capacità di sicurezza online dello stato libanese nell’era digitale, l’Ufficio per i Crimini Informatici è la via attraverso la quale la maggior parte degli interrogatori dei giornalisti, degli attivisti e dei blogger riguardo le loro pubblicazioni online ha luogo.

Sebbene la legge libanese contempli protezioni per la libertà di espressione e la libertà di stampa, insultare il presidente, l’esercito libanese, la religione o la bandiera può costare fino a tre anni di prigione e delle multe salate. Le leggi su diffamazione, calunnia e maldicenze sono state sempre più utilizzate da politici, rappresentanti di grandi imprese e privati per interrogare e perseguire attivisti e reprimere le discussioni online importanti.

Dal 1° agosto scorso, Social Media Exchange, una ONG locale che lavora sulla policy di internet, ha documentato almeno 16 casi di persone citate per essere interrogate sui loro post online nel 2018.

Il processo di Azhari è cominciato il 27 novembre scorso, al tribunale delle pubblicazioni nella città di Baada, ma il giornalista ha raccontato che era stato rinviato il 26 febbraio, dopo che il querelante e il loro avvocato non si sono presentati in tribunale. Se condannato, sarà costretto a pagare una multa.

Mentre il processo va avanti, Azhari continuerà a fare il suo lavoro e a raccontare le storie che sono importanti. ”Se non altro [il processo] mi ha motivato a continuare ad occuparmi di questioni di giustizia sociale, comprese le storie connesse ai maltrattamenti dei lavoratori migranti in Libano,” ha affermato.

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Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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