Giorgia Meloni al CPAC 2025: tra retorica di unità e forti contraddizioni politiche

Il discorso di Giorgia Meloni al CPAC 2025 è stato accolto con entusiasmo dall’ala conservatrice americana, posizionandola come una figura di riferimento per il movimento sovranista globale. La Premier italiana ha ribadito i legami storici tra Italia e Stati Uniti, invocando l’unità dell’Occidente nella difesa dei valori tradizionali come la libertà, la sovranità nazionale e l’identità culturale.

Tuttavia, dietro la retorica di collaborazione e solidarietà tra Europa e Stati Uniti, emergono diverse contraddizioni tra le dichiarazioni di principio di Meloni e la reale linea politica seguita dal suo governo, soprattutto su questioni cruciali come la guerra in Ucraina e i rapporti con le amministrazioni americane, in particolare quella di Joe Biden.


L’unità tra Europa e Stati Uniti: una promessa vaga?

Uno dei temi centrali del discorso di Meloni è stata la difesa di una forte collaborazione tra Europa e Stati Uniti, sostenendo che l’Occidente, per sopravvivere, ha bisogno di un’unità solida tra le due sponde dell’Atlantico. La Premier ha sottolineato come le radici comuni – filosofia greca, diritto romano e valori cristiani – debbano costituire il fondamento di una rinnovata alleanza globale tra conservatori.

Tuttavia, queste dichiarazioni risultano vaghe e prive di un reale impatto politico. L’Europa, di fatto, ha da tempo abbandonato quelle radici culturali che Meloni dice di voler difendere, e la stessa Premier, nei fatti, non ha mai espresso con forza questa difesa, né a livello di linguaggio né attraverso azioni concrete nel contesto europeo alleandosi fattivamente con chi effettivamente difende questi principi come l’Ungheria di Orban.

Dietro queste intenzioni mai pienamente tradotte in pratica, non emergono scelte politiche concrete che sostengano davvero questa visione. Il governo Meloni, pur presentandosi come fautore di un’Europa forte e autonoma, non ha mai preso le distanze dalle politiche portate avanti dall’Unione Europea, la quale, attraverso la Commissione Europea, esercita una pressione crescente a favore di un’agenda progressista, fino a subordinare denaro elergito con i vari progetti comeall’adozione delle sue agende.

In particolare, le direttive promosse nell’ambito dell’Agenda 2030 – come l’ideologia gender, il pensiero woke e le politiche migratorie – sono imposte con forza ai Paesi membri, anche attraverso strumenti di pressione finanziaria, come la minaccia di ridurre o sospendere l’erogazione di fondi europei o i benefici del PNRR per chi non si allinea a tali politiche.

In questo contesto, la Meloni non ha mai fermato o contrastato, nemmeno nelle scuole, la diffusione di queste ideologie globaliste. Anzi, il suo governo non ha mostrato alcun segnale di distacco dall’influenza “progressista” degli Stati Uniti sotto la presidenza di Joe Biden. Le decisioni italiane in politica estera finora sono apparse perfettamente in linea con le direttive di Washington, senza alcun tentativo di affermare una reale autonomia strategica a favore degli interessi italiani.


Il nodo della guerra in Ucraina: tra ambiguità e alleanze politiche

Un chiaro esempio di queste contraddizioni riguarda la posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina. Nel suo discorso al CPAC, Meloni ha parlato di difesa della libertà, elogiando la resistenza del popolo ucraino e ribadendo l’appoggio incondizionato del suo governo a Volodymyr Zelensky. La Premier ha confermato l’impegno a sostenere Kiev “fino alla fine”, senza mai menzionare la possibilità di promuovere sforzi diplomatici o iniziative di mediazione per porre fine al conflitto.

Più precisamente, al CPAC 2025, Meloni ha menzionato l’Ucraina in modo indiretto, senza mai citare esplicitamente Volodymyr Zelensky per nome. Tuttavia, ha fatto riferimento al conflitto in corso e alla posizione dell’Italia a sostegno dell’Ucraina.

Ecco i passaggi rilevanti:

  1. Sostegno alla libertà dell’Ucraina:

“Gli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo fiero combatte per la propria libertà contro una brutale aggressione, dimostrano che dobbiamo continuare a lavorare insieme per una pace giusta e duratura.”

In questa frase, Meloni riconosce la lotta del popolo ucraino contro l’aggressione (riferendosi chiaramente alla Russia) e sottolinea l’impegno per una pace giusta e duratura, senza però parlare di negoziati o dialogo diretto.

  1. Leadership di Donald Trump e la critica implicita alla gestione Biden:

“E so che, con Donald Trump a guidare gli Stati Uniti, non vedremo mai più disastri come quello che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa.”

Qui Meloni non parla direttamente di Ucraina, ma implica che con Trump alla guida degli Stati Uniti, la gestione dei conflitti (come quello in Ucraina) potrebbe essere diversa rispetto all’approccio dell’amministrazione Biden.

  1. Sicurezza come valore fondamentale:

“Sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale: se non sei sicuro, non sei libero.”

In questo contesto più ampio, Meloni include anche il conflitto in Ucraina come una questione di sicurezza globale, pur senza esprimere una posizione dettagliata sulle strategie diplomatiche o sui negoziati di pace. E’ rilevante inoltre che gli Stati Uniti al momento del discorso della Meloni si erano opposti al citare la Russia come ‘aggressore’ in una risoluzione che sarà presentata all’ONU dai paesi Europei. E’ anche da notare che ‘una pace giusta’ sono proprio le testuali parole usate come slogan da Zelensky che comprende la cessione di tutti iterritori ritenuti come ‘temporaneamente occupati’ dalla Russia ed il ritorno alla situazione del 1991.


La retorica anti-globalista e il conformismo internazionale

Ricapitolando: la Presidente del Consiglio italiano, nel suo discorso, ha ribadito il sostegno all’Ucraina nella sua lotta per la libertà, ma non ha mai menzionato Zelensky direttamente né ha fatto riferimento a possibili negoziati di pace. La sua posizione rimane quindi coerente con l’allineamento all’attuale linea occidentale e della NATO identificata con la posizione di Rutte, senza accennare a mediazioni o compromessi, in contrasto con le dichiarazioni di Donald Trump, che ha invece criticato apertamente Zelensky.

Questa posizione si scontra direttamente con quella di Donald Trump, leader di riferimento per molti conservatori globali e figura centrale dello stesso CPAC. Trump ha più volte definito Zelensky come “un dittatore” e “un modesto comico”, suggerendo un approccio più pragmatico e meno interventista rispetto alla linea ufficiale della NATO.

Il disallineamento tra Meloni e Trump su questo tema chiave mette in discussione la reale volontà della Premier italiana di costruire un’alleanza strategica con le forze conservatrici internazionali, evidenziando invece un allineamento più stretto con le politiche promosse dall’amministrazione Biden e con la retorica ufficiale europea sul conflitto in Ucraina.

Il pieno sostegno all’invio di armi all’Ucraina, l’allineamento alle sanzioni contro la Russia e la totale adesione alla narrativa occidentale sulle minacce globali sembrano contraddire l’immagine di una leader autonoma e sovranista, pronta a difendere realmente gli interessi nazionali italiani. La Meloni, nei fatti, non ha preso le distanze dall’agenda internazionale imposta dall’élite progressista americana di cui l’Unione Europea ne è la sua continuazione, mantenendo un profilo conforme alle aspettative dei DEM e della von der Leyen.


Tra retorica e realtà politica

Il discorso di Giorgia Meloni al CPAC 2025 ha evidenziato le ambizioni di una leader che mira a posizionarsi come figura di riferimento per il conservatorismo globale. Tuttavia, ha anche messo in luce le profonde contraddizioni tra le sue dichiarazioni e le politiche effettivamente adottate dal suo governo.

Allo stato attuale, nonostante il clima di entusiasmo e celebrazione durante l’evento, molti osservatori hanno preferito assecondare un’alleata che, in futuro, potrebbe essere chiamata a rispondere di una subordinazione eccessiva alle direttive di Bruxelles. Un atteggiamento che contrasta con la promessa di perseguire un’indipendenza strategica volta a tutelare realmente gli interessi nazionali italiani.

La vera sfida per Meloni sarà dimostrare se la sua retorica potrà tradursi in azioni concrete, capaci di difendere la sovranità e i valori tradizionali dell’Italia. In caso contrario, rischierà di restare intrappolata in un difficile equilibrio tra:

  • Le aspettative di un elettorato conservatore sempre più esigente;
  • Le pressioni geopolitiche internazionali che rischiano di svuotare di significato il suo messaggio politico;
  • E il suo evidente tentativo di continuare a capitalizzare sul marchio del “sovranismo” che proclama, senza però intraprendere azioni tangibili a sostegno di tale visione.

In definitiva, le parole da sole non basteranno più: il vero banco di prova sarà la capacità di trasformare le dichiarazioni di principio in politiche reali e incisive, che in verità sono tutti requisiti che sono fuori tempo massimo, a mio avviso.