Germania, la nuova inquisizione democratica – La persecuzione sistematica dell’AfD

Il volto repressivo della democrazia europea

In un’epoca in cui la parola “democrazia” è brandita come un mantra, la Germania si trova ad essere l’emblema di una sua inquietante deformazione: l’uso delle istituzioni per schiacciare l’opposizione legittima. Alternative für Deutschland (AfD), seconda forza del Paese, è oggi bersaglio di una strategia sistematica di delegittimazione e marginalizzazione. La sua sola esistenza rappresenta, per l’establishment, una minaccia alla continuità di un ordine ideologico fondato su globalismo, dirigismo progressista e allineamento incondizionato all’agenda euroatlantica.

La guerra politica contro l’AfD è condotta a tutto campo, con un’alleanza informale ma compatta di partiti, media, apparati di sicurezza e movimenti attivisti. Non si tratta di un confronto di idee, ma di un’operazione di isolamento, criminalizzazione e censura. Sotto l’etichetta rassicurante di “difesa della democrazia”, si nasconde una nuova forma di autoritarismo.

Il cordone sanitario come strumento di regime

Il Parlamento tedesco ha recentemente offerto un esempio lampante di questa nuova “medicina” politica. Gerold Otten, deputato dell’AfD, è stato respinto per ben tre volte nella candidatura alla vicepresidenza del Bundestag. Non per mancanze personali, ma per principio: l’AfD, semplicemente, non deve esistere — figuriamoci occupare ruoli istituzionali. È come dire: puoi partecipare al gioco, ma solo se perdi sempre.

Nel frattempo, una mozione bipartisan — sostenuta con entusiasmo da CDU, SPD, Verdi e Die Linke, ormai più simili a un club esclusivo che a un Parlamento pluralista — propone di vietare direttamente il partito. Il motivo ufficiale? “Incompatibilità con l’ordine democratico.” Il motivo reale? Incompatibilità con l’ordine che piace a loro.

Sempre in Germania, si cerca ora di esercitare pressioni sull’Ufficio per la protezione della Costituzione (BfV) affinché classifichi l’AfD come “organizzazione estremista”. Una simile etichetta spalancherebbe le porte a un divieto formale, eludendo il confronto democratico in favore di una scorciatoia repressiva.

Anche altrove si osserva lo stesso schema. In Italia, Fratelli d’Italia — al governo dal 2022 — continua a essere etichettato come una minaccia “neofascista” da un Partito Democratico che si considera l’unico legittimo custode della democrazia (assieme al Manifesto di Ventotene), sostenuto da una certa stampa e da ONG finanziate dall’UE. E questo nonostante l’operato del governo rientri pienamente nel quadro costituzionale.

In Austria, il Partito della Libertà (FPÖ), pur avendo vinto le elezioni del 2024, è stato escluso dal governo grazie a un’alleanza di partiti tradizionali, pronti a evocare il consueto spauracchio dell’“estrema destra” pur di neutralizzare l’avversario.

Ciò che emerge è una “eccezione democratica” sempre più pervasiva: un sistema che tollera il dissenso solo se inoffensivo, e che trasforma la difesa della democrazia in un autoritarismo soft, legittimato da nobili intenzioni ma pericoloso nelle sue conseguenze.

Il clima di intimidazione: censura, minacce, esclusione

La campagna contro l’AfD non si limita al piano istituzionale. Si tratta di una pressione a tutto campo:

– Uso del passato come arma morale: la memoria del nazismo – nonostante AFD abbia continuamente ribadito che quel passato non fa parte del proprio DNA – viene strumentalizzata per associare il dissenso a un ritorno dell’orrore. Ogni simpatia per l’AfD viene trattata come un atto di revisionismo storico, suscitando sensi di colpa e inducendo molti cittadini al silenzio per timore di isolamento sociale o ripercussioni professionali.

– Demonizzazione mediatica sistematica: i media mainstream distorcono regolarmente il messaggio del partito, concentrandosi su frasi controverse decontestualizzate, ignorando le proposte più concrete. L’obiettivo è impedire qualsiasi discussione razionale, sostituendola con l’indignazione prefabbricata.

– Pressioni economiche e lavorative: membri e simpatizzanti dell’AfD sono vittime di discriminazioni sul lavoro, boicottaggi, licenziamenti. Questa dimensione sotterranea è forse la più insidiosa: un dissidente politico non viene arrestato, ma semplicemente privato della possibilità di lavorare o partecipare alla vita pubblica.

– “Antifascismo” come pretesto per la violenza: gruppi attivisti, con la benevola complicità di partiti e istituzioni, organizzano sistematicamente proteste contro eventi pubblici dell’AfD. Talvolta, queste azioni degenerano in aggressioni fisiche, sabotaggi, minacce. La co-leader Alice Weidel è stata costretta ad annullare diversi incontri per motivi di sicurezza. Questa violenza non solo non viene condannata, ma spesso è giustificata come “resistenza civile”.

– Controllo amministrativo e bancario: l’AfD incontra difficoltà crescenti nell’apertura di conti bancari, nella gestione delle sue finanze, nella stampa dei materiali elettorali. Il tutto sotto pretesti burocratici che, messi in fila, configurano un vero e proprio sabotaggio legalizzato.

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Il paradosso europeo: libertà condizionata

Questa deriva non è un’anomalia tedesca, ma parte di una tendenza continentale. Ovunque crescano forze politiche non allineate all’agenda di Bruxelles, si attiva la stessa sequenza: esclusione, demonizzazione, repressione. In Austria il FPÖ è stato escluso da ogni possibile coalizione nonostante i risultati elettorali; in Italia, Fratelli d’Italia è sotto costante sorveglianza mediatica e ONG.

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è la massima espressione di questo nuovo dogma: globalismo, interventismo militare, transizione ideologica sotto etichetta verde. Chi devia, va estromesso. Persino il Parlamento Europeo ha tentato di escludere interi gruppi – come Identità e Democrazia – da ruoli politici, con la scusa che sarebbero “incompatibili con i valori dell’Unione”.

L’effetto boomerang: cresce ciò che si reprime

L’aspetto più grottesco di questa strategia è la sua inefficacia: mentre il sistema cerca di eliminare l’AfD, il partito cresce. I sondaggi lo attestano intorno al 23,5%, mentre i partiti “responsabili” perdono terreno. In Francia, il Rassemblement National ha raggiunto quasi il 30% dei consensi. Il dissenso represso non scompare: fermenta e si rafforza.

Il rischio sistemico è evidente: cittadini sempre più numerosi non si sentono più rappresentati, ma perseguitati. Il sistema che si proclama “inclusivo” diventa, in realtà, un meccanismo di esclusione brutale e ipocrita.

Un sistema che ha paura del popolo

Il caso AfD rivela una verità scomoda: le élite politiche, incapaci di rispondere alle domande su identità, sicurezza, lavoro, scelgono la scorciatoia della censura. Ma così facendo, si rivelano per ciò che sono: una classe dirigente scollegata dalla realtà, pronta ad allearsi trasversalmente pur di conservare il potere e schiacciare ogni alternativa.

In questo contesto, la Germania si sta trasformando in un laboratorio per una nuova forma di post-democrazia repressiva, in cui il consenso viene gestito, non rispettato. E l’Unione Europea non solo tace, ma applaude.

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