Sembra incredibile ma AVVENIRE, giornale della CEI accusa coloro che difendono la famiglia naturale di “perseverazione“, termine clinicamente impiegato per indicare una patologia psicologica, insinuando così che le loro posizioni siano frutto di una testarda, cieca ideologia, e non invece di un ragionamento fondato sul senso comune e sulla fede cristiana (qui l’articolo).
L’articolo di Luciano Moia su Avvenire rappresenta un tipico esempio di come certa stampa cattolica progressista affronti temi delicati come l’omogenitorialità e l’educazione all’affettività, adottando una narrazione che, pur ammantandosi di ragionevolezza e apertura, a mio avviso, veicola un’agenda ideologica ben precisa, distante dalla comune percezione e dalle fondamenta della famiglia tradizionale.
Innanzitutto, l’articolo accoglie con un plauso quasi acritico la decisione della Cassazione di sostituire “padre” e “madre” con il termine neutro “genitori” sui documenti dei minori in casi di adozione da parte di coppie dello stesso sesso. L’argomentazione principale è che ciò rappresenterebbe un atto di realismo di fronte a una “diversificazione dei modelli familiari”. Ora, nessuno nega che esistano diverse forme di convivenza, ma equipararle ontologicamente alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, aperta alla procreazione, è un salto logico e antropologico significativo. La Cassazione prende atto di situazioni particolari, ma generalizzare questa “presa d’atto” fino a modificare la terminologia fondamentale che descrive i ruoli genitoriali rischia di sminuire la specificità e l’importanza della figura paterna e materna nello sviluppo del bambino. Si parla di “realismo”, ma non si considera il potenziale disorientamento identitario che una tale neutralizzazione può generare nei minori, privandoli di riferimenti chiari e distinti.
L’articolo insiste poi sulla necessità dell’educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole, presentandola come un “antidoto potente” contro la violenza di genere e i femminicidi. Chi potrebbe essere contrario a un’educazione al rispetto e alla non violenza? Tuttavia, il problema sorge quando si specifica il contenuto di tale educazione. L’articolo suggerisce che essa debba necessariamente affrontare “questioni come il genere, l’orientamento, l’identità di genere”. È qui che si insinua l’ideologia gender, presentata come una chiave di lettura obbligata della realtà affettiva e sessuale. La paura, espressa da molti genitori, è che questa “educazione” diventi indottrinamento, imponendo una visione fluida e decostruita dell’identità sessuale, in contrasto con la naturale comprensione dei ruoli maschile e femminile e con i valori familiari tradizionali.
Moia sul giornale dei Vescovi critica aspramente chi si oppone a questa visione, definendo tali resistenze come “perseverazione psicotica” e “rifiuto della realtà”. Questa etichetta denigratoria non favorisce un dialogo costruttivo e ignora le legittime preoccupazioni di chi vede nell’ideologia gender una minaccia alla naturale complementarietà tra uomo e donna e al ruolo insostituibile dei genitori biologici. La “realtà” che l’articolo presenta come incontrovertibile – l’esistenza di diverse “persone che amano persone dello stesso sesso, persone che non si riconoscono nel proprio sesso biologico” – viene utilizzata per giustificare una revisione radicale del concetto di famiglia e genitorialità, senza considerare le implicazioni psicologiche e sociali a lungo termine, soprattutto per i più giovani.
L’appello a Amoris Laetitia di Papa Francesco, citando il rispetto dovuto a ogni persona “indipendentemente dal proprio orientamento sessuale”, viene strumentalizzato per avallare la decisione della Cassazione. È sacrosanto il rispetto per ogni individuo, ma ciò non implica necessariamente la cancellazione delle distinzioni fondamentali tra padre e madre o l’adozione acritica di categorie ideologiche controverse. Il Magistero della Chiesa, letto nella sua integralità, sottolinea l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.
Infine, l’articolo dipinge chi si oppone all’educazione all’affettività “gender-sensitive” come portatore di “pesanti strumentalizzazioni”. Al contrario, ritengo che la vera strumentalizzazione sia quella di utilizzare casi particolari e sentenze giudiziarie per promuovere una visione ideologica che mina le fondamenta della famiglia come la conosciamo e che rischia di confondere le nuove generazioni. La “comune ragionevolezza” ci dice che un bambino ha bisogno, idealmente, di una madre e di un padre, figure distinte e complementari che contribuiscono in modo unico al suo sviluppo. Riconoscere questa realtà non è un atto di discriminazione, ma di sano realismo antropologico.
In definitiva, l’articolo di Avvenire, pur presentandosi come un’apertura al “realismo” e al rispetto, a mio avviso, si fa portavoce di un’agenda ideologica che relativizza la famiglia tradizionale e promuove una visione fluida della genitorialità e dell’identità sessuale. La fretta di “spiegare con serenità” ai ragazzi questa nuova realtà, senza un’adeguata riflessione sulle sue implicazioni, rischia di privarli di punti di riferimento stabili e di confondere la loro naturale comprensione del mondo. La vera educazione all’affettività dovrebbe partire dal riconoscimento della bellezza e della ricchezza della differenza tra uomo e donna, fondamento della famiglia e della società.
Una domanda semplice per chi ha a cuore i nostri figli
A questo punto la domanda è semplice, e dovrebbe toccare il cuore di chiunque abbia a cuore i bambini, la famiglia, il compito educativo dei genitori: com’è possibile che proprio Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, accolga con favore una decisione che cancella le parole “padre” e “madre” dai documenti d’identità?
E non si tratta solo di una linea editoriale discutibile. In questo caso, l’autore dell’articolo arriva persino a criticare con toni duri chi solleva dubbi o esprime dissenso, accusando queste persone – genitori, educatori, credenti – di essere ostinate, ideologiche, quasi malate di fissazione. È un attacco sorprendente, ingiusto e francamente inaccettabile.
Chi difende la realtà – fatta di un padre e una madre, di una relazione che dà origine alla vita e la accompagna con amore – non è un fanatico. È semplicemente una persona di buon senso.
Per questo, chi sente il peso di questa forzatura, è invitato a scrivere direttamente alla redazione di Avvenire. Non per insultare, non per fare polemica, ma per manifestare con rispetto e chiarezza il proprio disappunto. Perché se anche la Chiesa comincia a confondere ciò che è chiaro, allora è nostro dovere, da laici e da credenti, ricordarle la verità.