Gehlen, MI6 e Ucraina: l’alleanza anglo-ucraina contro la Russia

Quando la genealogia diventa geopolitica

Dicembre 2024. In un’intervista sorprendentemente diretta, Sir Richard Moore, capo del servizio di intelligence estero britannico (MI6), ha ammesso che il Regno Unito fornisce “supporto diretto” alle forze armate ucraine, includendo nella dicitura anche elementi apertamente neonazisti. Una dichiarazione passata quasi inosservata nei circuiti mediatici mainstream, ma che ha sollevato interrogativi inquietanti tra chi non accetta narrazioni semplicistiche.
Fonte intervista: YouTube – Discorso di Sir Richard Moore

Ma il vero scossone è arrivato poco dopo, con l’annuncio della nomina di Blaise Metreweli alla guida dell’intelligence estera britannica. Secondo inchieste pubblicate da testate come The Grayzone, Metreweli sarebbe nipote di Constantine Dobrowolski, una spia nazista durante la WWII, coinvolto in atti orribili come l’esterminio degli ebrei BBC News, che durante la Seconda Guerra Mondiale avrebbe coadiuvato la Wehrmacht nelle operazioni di rastrellamento e nella propaganda nazista in Ucraina.

Secondo quanto riferito da giornalisti investigativi come Umberto Pascali (vedi qui), è plausibile che Grigol Metreweli, come molti altri profili analoghi, sia stato in seguito arruolato nell’Organizzazione Gehlen – la rete creata nel dopoguerra con la benedizione di Stati Uniti e Regno Unito per riciclare ex ufficiali nazisti esperti in intelligence.

In questo contesto è fondamentale saèere che l’Organizzazione Gehlen prende il nome da generale Reinhard Gehlen, ex capo della sezione “Fremde Heere Ost” (Eserciti stranieri orientali) dell’Abwehr, l’intelligence militare tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale. Gehlen era responsabile della raccolta di informazioni sull’Unione Sovietica e sull’Armata Rossa.

Alla fine della guerra, Gehlen si arrese agli americani portando con sé una vasta quantità di documenti sull’URSS e offrendo la sua rete di contatti e conoscenze in cambio della protezione. Gli Stati Uniti, in piena Guerra Fredda e desiderosi di rafforzare le proprie capacità di spionaggio contro l’Unione Sovietica, accettarono l’offerta.

Così, nel 1946, venne creata l’Organizzazione Gehlen sotto il controllo dell’intelligence militare statunitense (OSS e poi CIA). Era composta in gran parte da ex ufficiali nazisti, ma operava per conto degli Alleati. La sua sede era in Germania Ovest, e l’organizzazione fu il nucleo originario del BND, il servizio segreto federale tedesco (Bundesnachrichtendienst), fondato ufficialmente nel 1956 con Gehlen come primo direttore.

In sintesi, l’organizzazione prende il nome da Reinhard Gehlen perché fu lui a concepirla, organizzarla e dirigerla, diventando una figura chiave nella transizione dell’intelligence tedesca dal nazismo alla Guerra Fredda.

Sebbene non vi siano al momento prove documentali specifiche sul reclutamento diretto di Dobrowolski, nella Gehlen, la sua biografia e il contesto rendono l’ipotesi altamente credibile. È invece accertata l’esistenza dell’Organizzazione Gehlen, così come la sistematica collaborazione, in quegli anni, tra i servizi angloamericani e numerosi ex esponenti del Terzo Reich.

Ciò sta a dimostrare che Gehlen dopo la fine della guerra continuò a fare lo stesso lavoro di prima contro l’Unione Sovietica. In particolare, dopo la guerra, Gehlen si arrese agli americani, offrendo documenti e contatti in cambio di protezione. Nel 1946, l’Organizzazione Gehlen, che divenne il nucleo del BND tedesco, fondato ufficialmente nel 1956 con Gehlen come primo direttore Wikipedia. Questo dimostra una continuità sistemica tra l’intelligence nazista e quella della Guerra Fredda 

Questo schema non isolato dimostra una continuità sistemica tra la vecchia generazione e le nuove generazioni. In questo contesto, il padre di Blaise Metreweli continuò comunque a lavorare con il governo britannico (sembra come istruttore della RAF).

Una genealogia scomoda, dunque, che solleva pesanti interrogativi morali e politici: quanto del passato – mai veramente elaborato – si riflette oggi nelle scelte strategiche dell’intelligence occidentale? E cosa significa per l’Europa affidarsi a figure che, pur indirettamente, portano con sé l’eredità mai rinnegata di un tempo oscuro? E questa russofobia improvvisa di rimando trae da queste vicende anche una propria spiegazione?

Un comunicato surreale

Ma torniamo ora alla reazione dell’MI6 alla denuncia sul fatto che il nuovo capo dell’MI6 abbia avuto certi ‘avi’. Sì , perchè la giustificazione che è stata data, è stata, per molti osservatori, sconcertante:

“Blaise non ha mai conosciuto il nonno. La sua eredità familiare è complessa, come quella di molti provenienti dall’Europa orientale… ed è proprio questa complessità a motivare il suo impegno nella difesa della democrazia.”

Un tentativo evidente di ribaltare la narrazione: ciò che dovrebbe destare cautela e vigilanza viene trasfigurato in valore morale e in “plus ideologico”. Non stupisce allora che Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, abbia denunciato un “ritorno sotto traccia delle genealogie compromesse”, osservando che nei vertici dell’Occidente stanno emergendo sempre più figure con parentele scomode — e tutte accomunate da un feroce antirussismo.

Qui forse è necessario un ‘insight’: forse qualcuno leggendo questo articolo obietterà che sono fonti russe che hanno diffuso questa questione. Questo è solo parzialmente vero. La prima pubblicazione che ha diffuso la notiza è stato il Daily Mail, una testata britannica, poi successivamente ripresa da Pavda.ru etc. Secondo alcune fonti come il giornalista Umberto Pascali, il Daily Mail è ben introdotto nei servizi statunitensi.

Una genealogia ricorrente nei centri di potere 

Un dato oggettivo: molte figure centrali dell’attuale leadership occidentale discendono — direttamente o indirettamente — da collaborazionisti o militanti nazisti. Vediamone alcuni esempi, citati da Strategic Culture Foundation e The Duran:

  • Friedrich Merz, leader CDU e candidato alla cancelleria tedesca: suo nonno, Josef Paul Sauvigny, fu membro del partito nazista e sindaco della città di Brilon, noto per l’applicazione zelante delle direttive hitleriane.
  • Annalena Baerbock, attuale ministra degli Esteri tedesca e futura presidente dell’Assemblea Generale ONU: suo nonno, Waldemar Baerbock, fu ufficiale della Wehrmacht. Lei stessa ha dichiarato:

“L’Unione Europea è la riunificazione del continente sulle spalle dei nostri nonni.”
Fonte: Baerbock e la memoria storica

  • Salome Zourabichvili, ex presidente georgiana, molto vicina ai circoli euro-atlantici: due suoi zii furono collaborazionisti attivi con la Gestapo, e uno ebbe contatti diretti con Reinhard Heydrich, architetto della “soluzione finale”.
  • Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Europeo e attuale premier polacco: il nonno, Jozef Tusk, fu arruolato nella Wehrmacht, episodio che generò polemiche durante le elezioni del 2005.
    Fonte: BBC – Wehrmacht row hits Polish vote
  • Chrystia Freeland, ministra canadese: il nonno, Michael Chomiak, fu direttore di un giornale nazista nei territori occupati, sostenendo la causa fascista ucraina.
    Fonte: The Globe and Mail – Chrystia Freeland’s family history
    Fonte: The Grayzone – Canadian FM’s Nazi legacy

L’impressione è chiara: nei vertici delle nostre democrazie, si fa sempre più spazio un’eredità storica che sembra normalizzata o persino legittimata. E spesso proprio questi eredi diventano paladini della “libertà” e della “lotta al totalitarismo”… contro chi? Un cortocircuito storico e morale, che trasforma l’antifascismo in un alibi selettivo, mentre il vero potere si riorganizza dietro le quinte, forte di un passato mai veramente rigettato.

Cortocircuito storico: antifascismo a geometria variabile

Questo scenario apre interrogativi non secondari: è lecito che chi discende da figure compromesse, e non ne prende pubblicamente le distanze, diventi il nuovo paladino della “lotta al totalitarismo”? La questione non è genealogica, ma ideologica. Il problema è l’uso strumentale della memoria e la riabilitazione indiretta di un certo tipo di visione del potere:

  • Antifascismo selettivo, che stigmatizza la destra eurocritica e al contempo normalizza figure con un passato familiare ben più compromesso;
  • Antirussismo compulsivo, che diventa il criterio per accedere a ruoli apicali, più del curriculum o della coerenza storica.

In questo quadro appare tanto più paradossale quanto accaduto in Italia: Giorgia Meloni, nonostante le numerose prese di distanza dal fascismo, è stata per anni emarginata dai circoli euroatlantici, accusata di ambiguità ideologica. Solo la sua piena adesione alla linea NATO-UE ha consentito la sua “riabilitazione”. Sono incredibili comunque le preclusioni fatte alla Meloni all’inizio del suo mandato (prima della ‘normalizzazione), mentre in tutta Europa sembrano emergere soprattutto persone con eredità scomode. Non si tratta di semplici coincidenze. A giudicare dalla postura fortemente antirussa che li accomuna, questa convergenza appare tutt’altro che casuale: sembra piuttosto il segno di una selezione mirata, dove le genealogie scomode non sono più un impedimento, ma un indicatore di affidabilità verso un certo ordine strategico occidentale.

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