Il reato contestato è della stessa natura: l’uso improprio di fondi pubblici europei, destinati all’attività parlamentare a Bruxelles, per finanziare invece l’organizzazione interna dei partiti sul territorio nazionale. Si tratta comunque di attività politica, seppur svolta in contesti diversi – una in seno al Parlamento Europeo, l’altra sul suolo francese – ma non si parla certo di arricchimento personale o di usi privati come vacanze o spese fittizie.
È proprio su questa base che Marine Le Pen è stata recentemente condannata, in una sentenza che appare particolarmente esemplare, se si considera che in Francia persino un pregiudicato può votare, e che la Le Pen è l’unica candidata con reali possibilità di contendere l’Eliseo a Macron nelle prossime presidenziali.
Eppure, confrontando questo caso con altri episodi simili, emerge chiaramente l’esistenza di una giustizia a due velocità.
Secondo quando riferisce Jurist News, nel 2023, il tribunale penale di Parigi ha assolto François Bayrou, leader del MoDem ed ex ministro della Giustizia, in un’inchiesta che verteva su undici contratti sospetti stipulati tra il 2005 e il 2017, per un totale di 293.000 euro. Quei fondi, destinati formalmente al lavoro parlamentare europeo, sarebbero stati utilizzati dal MoDem e, in precedenza, dall’UDF per pagare assistenti che in realtà lavoravano per il partito in Francia.
Di tutti i condannati l’imputato principale è stato assolto , mentre tutti gli altri hanno avuto sospensione della pena e sconto sulle multe. In particolare, cinque ex eurodeputati del MoDem (Jean-Luc Bennahmias, Janelly Fourtou, Thierry Cornillet, Anne Laperrouze e Bernard Lehideux) sono stati condannati a pene detentive con sospensione condizionale, variabili tra 6 e 12 mesi, per il loro coinvolgimento nell’uso improprio di fondi europei destinati agli assistenti parlamentari, che in realtà lavoravano per il partito in Francia. Il MoDem stesso, come persona giuridica, è stato condannato a una multa di 150.000 euro, di cui 50.000 sospesi.
Attualmente, è pendente un appello richiesto dal Parlamento europeo, parte civile nel processo, ma al momento non è stata fissata una data per il processo di secondo grado a causa dell’ingorgo giudiziario. Pertanto, Bayrou non ha subito né carcere, né domiciliari, né una pena sospesa, essendo stato completamente scagionato in primo grado “al beneficio del dubbio”. La sua situazione potrebbe cambiare solo in caso di una sentenza diversa in appello, ma ad oggi, 1° aprile 2025, rimane assolto.
La differenza rispetto al caso Le Pen non è dunque nella natura dei fatti – l’utilizzo distorto dei fondi europei – ma nel trattamento riservato ai protagonisti. Se il nome è Marine Le Pen, la condanna arriva puntuale. Se invece ci si chiama François Bayrou, alleato storico di Emmanuel Macron, la giustizia è più indulgente e, al limite, si invoca la mancanza di prove, anche se i contorni del “sistema” risultano ampiamente documentati e sanzionati per altri imputati dello stesso partito.
Bayrou ha parlato di “fine di un incubo durato sette anni” e ora si prepara a un possibile ritorno sulla scena politica, magari in vista delle presidenziali del 2027. Una coincidenza che non può non far riflettere sul tempismo e sul peso politico delle decisioni giudiziarie.
In seguito a questi scandali, l’Unione Europea ha rafforzato le misure anti-frode, intensificando la collaborazione tra organismi come OLAF e Eurojust. Tuttavia, resta il dubbio: le regole valgono per tutti, o solo per chi non appartiene alla cerchia del potere?
La risposta è su tutti i giornali.