Eritrea : paese prigione , nel mirino anche la chiesa

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Nella parte settentrionale del Corno d’Africa, stretta tra l’Etiopia, il Sudan e il Mar Rosso, c’è uno degli stati africani più piccoli, l’Eritrea. Paese multilingue e multiculturale che ha espresso per secoli la sua complessità anche attraverso una cultura profonda che affonda le sue radici all’VIII secolo sviluppando successivamente il regno di Axum e poi la Chiesa ortodossa eritrea. Nove i gruppi etnici, nessuna lingua ufficiale ma quattro: il tigrino, l’arabo, l’italiano e l’inglese. L’Eritrea è legata alla storia del nostro Paese in maniera indissolubile (per saperne di più clicca qui), da quando, verso la seconda metà dell’ottocento (1879) la società di navigazione Rubattino di Genova acquistò la Baia di Assab. Il Governo italiano acquisì poi la Baia nel 1882 e successivamente la città portuale di Massaua. Nel 1890 l’Eritrea venne dichiarata ufficialmente colonia italiana.

Oggi l’eritrea è da 17 anni sotto un regime militare  con cui tranquillamente continuiamo ad avere relazioni commerciali  e trasformata in una gigantesca prigione, esauriente è il seguente articolo di avvenire:

fonte: avvenire del 26 maggio 2011

Giorni di festa per l’Eritrea, che celebra in diverse capitali occidentali il ventennale dell’indipendenza dall’Etiopia. Festa che stride con il dolore dei giovani rifugiati eritrei, generazione fuggita con un esodo cominciato nel 2001 per non sottostare alla coscrizione illimitata e alla dittatura del regime guidato da Isaias Afewerki.

Domattina i giovani rifugiati eritrei in Italia organizzeranno a Roma un sit in davanti alla rappresentanza del Paese africano. Oggi si protesta a Londra, capitale della dissidenza democratica. Dicono che dopo le tragedie del mare – basta ricordare i 330 profughi diretti a Lampedusa morti nel naufragio di un barcone il 22 marzo davanti alla Libia e i rapimenti di centinaia di persone da parte dei beduini nel Sinai – l’Eritrea è indipendente sì, ma non libera. La festa, per loro, offende la memoria dei morti durante la fuga.

Che cosa sta succedendo in Eritrea, paragonata dai rapporti internazionali sui diritti umani alla Corea del Nord? Da quando nel 2000 vige la “guerra fredda” con l’Etiopia, la Costituzione e le libertà civili sono state sospese dal governo, in carica dal 1993 senza essere stato eletto. Inoltre, dal 2003 molte ong sono state costrette a lasciare il Paese per non avere testimoni scomodi, mentre tutti i cittadini maggiorenni sono costretti alla leva a tempo indeterminato, che comincia con un duro addestramento in centri famigerati per soprusi e violenze, soprattutto contro le ragazze.

Le università sono state chiuse, chi non si arruola viene imprigionato, per chi diserta c’è la pena di morte. I militari sono impiegati per anni come manodopera a bassissimo costo in lavori forzati dal regime. Un incubo che riguarda 400mila persone, il 10% della popolazione e che ha portato decine di migliaia di giovani a migrare illegalmente in tutto il mondo. Unici a scampare la chiamata alle armi, i beduini Rashaida, minoranza che vive al confine col Sudan e fedele alleata del governo, coinvolta nei traffici di esseri umani.

L’Eritrea, poverissima e agli ultimi posti nelle classifiche Onu dello sviluppo, sta vivendo un dramma dimenticato e ignorato, che ricorda le dittature anni 70. Ma le urla del silenzio non riescono a raggiungere l’opinione pubblica occidentale. La cartina di tornasole dell’oppressione, oltre all’esodo dei giovani, è la situazione difficile delle Chiese cristiane. Il regime ha infatti imposto la leva forzata agli ortodossi, dopo aver imprigionato nel 2007 il Patriarca, e ora vorrebbe ampliarla ai religiosi cattolici con i quali, ha scritto il mensile dei gesuiti Popoli è in corso un braccio di ferro.

Da inizio anno il governo vuole arruolare nell’esercito i seminaristi e le suore appena ordinate. Ora la pretesa si è estesa ai ministri di culto. Poiché il clero copto va sotto le armi – è la motivazione addotta dal regime a partito unico dell’Asmara –, anche i presbiteri cattolici non possono esimersi. Ma nell’esercito i sacerdoti non vanno in cura d’anime, dato che possedere una Bibbia può causare l’arresto, così come pregare in pubblico. Inoltre, non vi sono garanzie sulla durata della leva.

Intanto ai preti sotto i 50 anni e alle suore sotto i 45 è vietato lasciare il Paese. ll disegno della dittatura è chiaro, svuotare i seminari e controllare una comunità che rappresenta il 5% della popolazione, ma che è molto autorevole e svolge un ruolo educativo autonomo, oltre ad essere l’unica realtà di caratura internazionale.

continua su Avvenire

 

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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