Educazione affettiva e gender nelle scuole: il compromesso italiano è sufficiente?

Una proposta di legge per coinvolgere i genitori

Recentemente, il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha presentato un disegno di legge che prevede l’obbligo del consenso scritto dei genitori per la partecipazione degli studenti ai corsi di educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane.

In caso di mancato consenso, la scuola sarà tenuta a offrire agli studenti un’attività didattica alternativa. (vedi Virgilio.it e Il Post)  Questa misura si fonda sul principio costituzionale (art. 30) che riconosce e tutela il diritto-dovere dei genitori di educare i figli.

gender scuola

Il confronto con gli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, la situazione varia notevolmente da stato a stato. Alcuni hanno introdotto leggi che vietano esplicitamente l’insegnamento di tematiche legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale nelle scuole pubbliche. È il caso della Florida, dove la legge denominata “Parental Rights in Education” (nota al pubblico come “Don’t Say Gay”) proibisce questi argomenti nelle classi dalla materna alla terza elementare (Wikipedia).

A livello federale, l’amministrazione Trump ha adottato nel 2025 una serie di ordini esecutivi che vietano alle agenzie federali di riconoscere identità di genere diverse da “maschio” e “femmina” secondo il sesso biologico assegnato alla nascita. Tali misure hanno avuto un impatto diretto anche sull’ambito educativo, richiedendo al Dipartimento dell’Istruzione di interrompere programmi e politiche che promuovono una visione non binaria dell’identità (La Nuova Bussola Quotidiana).

Una misura utile, ma insufficiente

La proposta italiana rappresenta senza dubbio un passo verso una maggiore partecipazione dei genitori nella gestione di contenuti scolastici sensibili. Tuttavia, rispetto ad alcune legislazioni statunitensi che escludono del tutto certe ideologie dai programmi scolastici, l’approccio italiano appare più cauto e limitato.

L’educazione sessuale e affettiva proposta nelle scuole italiane viene spesso presentata come strumento per promuovere il rispetto delle diversità e per superare gli stereotipi sessisti, in linea con i principi costituzionali di pari dignità e non discriminazione (come sostenuto da fonti come Pro\Versi). Tuttavia, in questa impostazione si compie una pericolosa assimilazione: si tende infatti a includere tra gli “stereotipi da superare” anche la differenza sessuale reale tra uomo e donna, aprendo così la porta all’introduzione delle teorie gender.
Queste ultime, anziché essere sottoposte a un serio confronto culturale e scientifico, vengono spesso promosse come se rappresentassero un’evoluzione obbligata del pensiero educativo e un segno di progresso collettivo. Il risultato è che una visione ideologica dell’identità personale – fluida, autodeterminata e slegata dal dato biologico – rischia di essere imposta come riferimento normativo, senza reale possibilità di confronto o dissenso.

La proposta ha possibilità di diventare legge?

Sì, ci sono concrete possibilità che la proposta venga approvata, almeno nella sua forma attuale. La misura è sostenuta dalla maggioranza parlamentare (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia) e si inserisce in un quadro politico più ampio che vuole rafforzare il ruolo della famiglia nell’educazione. Tuttavia:

  • il testo potrebbe subire modifiche in Parlamento per attenuare le critiche, già espresse da ambienti progressisti e associazioni LGBTQ+, che parlano di “ritorno al Medioevo” e censura;

  • la battaglia sarà più culturale che legislativa, poiché il mondo della scuola, delle associazioni e dei media mainstream è in gran parte orientato su posizioni ideologicamente contrarie.

In sintesi, la maggioranza ha i numeri, ma il dibattito sarà acceso e decisivo sarà il consenso dell’opinione pubblica.

È una misura sufficiente per un cattolico?

Dal punto di vista cattolico, si tratta di un passo utile ma del tutto insufficiente.
Ecco i motivi:

  • Non si modifica il contenuto dei programmi, ma si introduce solo il diritto di rifiuto: le teorie gender restano comunque nelle scuole.

  • Non viene bloccata la produzione di materiali educativi ispirati ad agende internazionali (come UNESCO, UE, OMS) che promuovono la fluidità di genere come principio pedagogico.

  • Non si afferma la realtà antropologica dell’essere umano come uomo e donna, né si valorizza una visione dell’affettività coerente con l’insegnamento cristiano.

  • Non si vieta l’indottrinamento ideologico, ma lo si accetta, purché vi sia la possibilità di esonero.

Per una visione cristiana dell’educazione servirebbe invece una legge che:

  • riconosca e protegga la famiglia come primo soggetto educativo;

  • affermi chiaramente che la scuola non può promuovere teorie contrarie al dato biologico e alla realtà dell’essere umano;

  • bandisca l’ideologia gender, non in quanto “diversa”, ma in quanto antiscientifica, divisiva e dannosa per lo sviluppo armonico della persona;

  • promuova un’educazione affettiva fondata sulla verità dell’amore, sulla differenza sessuale e sulla vocazione relazionale e generativa dell’essere umano.

Passo utile ma non sufficiente

La proposta potrebbe diventare legge, ma non risolve il problema culturale e antropologico che l’ideologia gender porta con sé. Per un cattolico, e più in generale per chi difende una visione umana radicata nella realtà, si tratta di un compromesso minimo, non di una vittoria piena.

Il problema non è solo il diritto di dissenso, ma la direzione educativa che si vuole imprimere alla società. Serve un cambio di paradigma, non un semplice permesso per sottrarsi a un modello che rimane dominante.