Mentre l’Unione Europea si incatena alle proprie rigidità ideologiche, gli Stati Uniti — anche sotto un’amministrazione come quella di Trump, osteggiata dai media europei — dimostrano ancora una volta un pragmatismo spregiudicato ma funzionale, capace di tutelare i propri interessi strategici ed economici anche nel pieno di una crisi geopolitica.
Nei giorni in cui Estonia e Paesi baltici intensificano la guerra economica contro la Russia sequestrando petroliere “ombra” (che battono bandiere di comodo ma trasportano petrolio russo, in conformità con il diritto internazionale), il Dipartimento del Tesoro americano ha concesso una nuova licenza che consente di riattivare pienamente il coinvolgimento delle aziende USA nel commercio petrolifero collegato alla Russia.
La licenza USA: affari con la Russia, ma “intelligenti”
Il provvedimento, la Licenza Generale n. 124, autorizza tutte le operazioni precedentemente bloccate in base all’Ordine Esecutivo 14071, che proibiva la fornitura di servizi nei progetti energetici legati alla Russia. L’eccezione riguarda in particolare:
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Il Caspian Pipeline Consortium (CPC), che esporta oltre l’80% del greggio kazako attraverso un oleodotto che attraversa il territorio russo fino al Mar Nero;
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La Tengizchevroil (TCO), joint venture guidata da Chevron (50%) ed ExxonMobil (25%), che opera nel giacimento gigante di Tengiz, in Kazakistan.
La Russia possiede una quota del 24% nel consorzio tramite Transneft e beneficia del passaggio del greggio, mentre l’infrastruttura resta fondamentale per il mercato globale dell’energia. Questo spiega la scelta americana di non interrompere il flusso e anzi riattivare le attività petrolifere per evitare squilibri, anche a costo di “collaborare indirettamente” con Mosca.
Europa: sanzioni boomerang e provocazioni inutili
Al contrario, l’Unione Europea sembra determinata a danneggiare sé stessa. I Paesi baltici, spalleggiati da Bruxelles, hanno recentemente avviato sequestri di navi sospettate di trasportare petrolio russo camuffato, una pratica che — seppur aggiri le sanzioni UE — non viola alcuna legge internazionale, basandosi sull’uso legittimo di bandiere di comodo.
Questa linea oltranzista:
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Non danneggia la Russia, che riesce a dirottare comunque le sue esportazioni;
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Indebolisce la logistica energetica europea, contribuendo all’instabilità dei prezzi;
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Aumenta la tensione diplomatica e militare, rischiando un’escalation diretta con Mosca, specie dopo gli attacchi ucraini a infrastrutture CPC in territorio russo.
La contraddizione è lampante: mentre la UE sventola la bandiera dei diritti e dell’intransigenza morale, gli Stati Uniti salvaguardano i propri colossi energetici, mantengono attivo un corridoio strategico e si ritagliano una posizione di mediatore tra Russia e Kazakistan nel nome della “stabilità globale”.
Il vero volto del pragmatismo americano
Anche durante l’amministrazione Trump — spesso etichettata come “filorussa” dai media europei — non si è mai trattato di simpatie personali, ma di realpolitik pura: se un’azione serve a evitare il collasso energetico globale e rafforza le aziende americane, si compie. Punto.
Non a caso, mentre in Europa si predica l’isolamento totale, Trump e Putin avevano concordato un cessate il fuoco parziale, impegnandosi a non colpire le infrastrutture energetiche. Un approccio orientato a stabilizzare il mercato, non ad alimentare la spirale di ritorsioni e sabotaggi.
Conclusione: chi ha più da perdere?
Oggi si impone una domanda semplice ma fondamentale: a chi giova la linea europea?
L’economia tedesca è in difficoltà, la Francia affronta tensioni sociali crescenti, l’Italia paga il prezzo del gas e della dipendenza energetica. In questo scenario, alimentare uno scontro totale con Mosca — anche con gesti simbolici ma provocatori — appare più una forma di autolesionismo che di strategia.
Gli Stati Uniti, invece, non smettono mai di negoziare con chi conta, neanche con chi viene indicato come nemico. Ed è proprio questo il motivo per cui dominano ancora gli equilibri globali.