Donne tra democrazia e dittatura – elezioni in Iraq

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di Sami Zubaida – traduzione di Francesca Bozzano http://www.osservatorioiraq.it/donne-tra-democrazia-e-dittature

Le precedenti elezioni in Iraq, vinte dagli islamici, hanno portato a un disordinato miscuglio di politiche familiari e regole di varie autorità religiose accompagnato da coercizioni e intimidazioni.

Questo potrebbe essere il momento giusto per ripercorrere il cammino di vari paesi mediorientali circa queste tematiche in relazione ai regimi politici.

Fino alla metà del ventesimo secolo erano i dittatori che promuovevavno politiche e leggi che liberavano e rafforzavano le donne in famiglia e nella società. Ataturk in Turchia è stato il primo, seguito dallo scià Reza Palevi in Iran, modello che è stato seguito più timidamente anche da altri leader arabi.

Tutti fecero questi passi andando però contro una forte opposizione popolare, religiosa, conservatrice e patriarcale. Appare improbabile che questo tipo di riforme sarebbero riuscite a passare il ‘test’ delle elezioni democratiche.

In società basate su legami comunitari, di parentela o clientelari, la “democrazia” non è mai liberale. Oggi stiamo forse assistendo agli effetti di questo principio?

La rivoluzione iniziata dai movimenti per la libertà e la giustizia sociale dei giovani delle città ha portato ad elezioni anche coloro (la maggioranza) che erano alieni a questi concetti. Di qui il voto favorevole alle forze politiche patriarcali e conservatrici.

Non ripeteremo mai troppo che Piazza Tahrir non è l’Egitto.

Com’erano le riforme istituzionali del secolo passato? Si applicavano in due campi: famiglia e società.

Questi due aspetti non andavano spesso di pari passo: in Egitto, per esempio, dalla metà del ventesimo secolo le donne potevano lavorare anche nella politica e partecipare alla vita pubblica, mentre in famiglia avevano una posizione subordinata, come previsto dalla legge.

Questa parte della legislazione era soggetta alle maggiori controversie, avanzamenti e ritrattazioni.

Dobbiamo ricordarci che politica e giurisprudenza sono influenzate dai processi culturali e sociali legati all’ammodernamento, alla trasformazione e all’individualizzazione di molte sfere del lavoro, alla mobilità sociale e geografica e all’urbanizzazione, nonché all’aumentare del livello di scolarizzazione e al diffondersi della cultura e dei media.

Tutto ciò influenza le condizioni oggettive e soggettive che esercitano a vario livello pressioni verso una maggiore libertà.

A questi si aggiungono il capitalismo e il consumismo che premono per la “liberazione” di nuove “economie del desiderio”.

Allo stesso modo aumenta l’inquietudine delle componenti conservatrici e patriarcali che temono di perdere il potere sulle donne e i giovani.

E’ interessante notare come l’Arabia Saudita sia uno dei paesi che resiste meglio e da più tempo a queste pressioni: è quello più arretrato dal punto di vista culturale e sociale, ma i proventi della vendita del petrolio e la loro redistribuzione esentano i governanti dalle pressioni per i cambiamenti che sono presenti negli altri paesi della regione: l’ Iran islamico non ha certo la stessa ricchezza.

Alcuni elementi della sharia storica sono rimasti anche nei sistemi riformati del Medio Oriente, tranne che in Turchia.

Ataturk ne abolì tutte le disposizioni e fece diventare la difesa della sharia un reato.

Al capo opposto abbiamo l’Arabia Saudita che ha invece mantenuto interamente i provvedimenti della sharia che riguardano la famiglia e le questioni di genere, mentre la maggior parte dei paesi ha promulgato riforme che li hanno parzialmente rivisti.

I punti riformati riguardano le restrizioni della poligamia e del divorzio unilaterale da parte dell’uomo, così come alcuni diritti della donna circa il divorzio e la custodia dei figli.

La possibilità per la donna di lavorare fuori casa o viaggiare senza il marito e senza un’autorizzazione maschile è ancora una questione spinosa in molti paesi.

Le riforme giuridiche, a partire da quella ottomana della metà del diciannovesimo secolo hanno portato alla codifica di leggi sul modello della legislazione civile europea, con un moderno sistema di tribunali e procedure, tranne per il diritto di famiglia che continuava ad essere esercitato dai tribunali islamici e da personale esperto in questioni religiose, ma soggetto alla legislazione dello Stato riformato che è cambiata nel tempo.

E’ dagli anni ’50 che i principali paesi, come Egitto, Siria, Iraq e Marocco hanno abolito i tribunali islamici separati e hanno integrato il diritto di famiglia nei regolari tribunali civili, ma spesso viene gestito in accordo con i circoli religiosi e conservatori.

Ciò fu particolarmente evidente in Iraq, sotto Qasim che salì al potere grazie ad un colpo di Stato nel 1958 e, nel 1959 portò avanti alcune riforme molto liberali riguardo la famiglia.

Queste riforme abolivano i tribunali islamici e davano alle donne diritti molto avanzati riguardo  matrimonio, divorzio ed eredità, compiacendo la corrente di sinistra e secolare della società e facendo infuriare i conservatori religiosi.

La sanguinaria CIA ha aiutato il colpo di Stato del partito Baath nel 1963 che ha messo fine alla dittatura moderata di Qasim e portato al potere un regime sunnita panarabo e confessionale retto dai retrogradi fratelli Arif.

A quel punto una delegazione di venerabili religiosi ha prevalso sugli Arif per revocare le riforme di Qasim.

Il secondo colpo di Stato baathista, quello del 1968, ha portato al potere Saddam Hussein nel 1970. Quella è stata l’epoca d’oro della prosperità e della rifondazione culturale del paese, basata sull’aumento delle entrate legate al petrolio, che hanno anche rafforzato lo stato di polizia e la sanguinosa repressione.

Il regime ha perseguito piuttosto seriamente una riforma secolare, animato in parte dalla volontà di indebolire i legami religiosi e patriarcali in favore di quelli al regime e al partito. Negli anni ’70 e ’80 si sono fatti grandi passi sulla strada della repressione del potere religioso sul diritto di famiglia e il rafforzamento delle donne nella società, anche se all’interno del potere totalitario che prevedeva l’integrazione di tutte le organizzazioni femminili all’interno del Baath.

Tutto questo è finito negli anni ’80, gli anni della guerra contro l’Iran, e nel decennio successivo con l’invasione del Kuwait, e la conseguente distruzione dell’economia irachena e delle infrastrutture provocate dai bombardamenti americani e degli alleati, seguiti dalle disastrose sanzioni votate dalle Nazioni Unite.

Il regime sempre più debole è ricorso al tribalismo e alla religione per rafforzare il controllo sociale, aggirando le sue stesse riforme in favore di un ritorno al patriarcato, “all’onore”, alla violenza e ad ogni tipo di imposizione contro le donne.

La repressione violenta di tutte le politiche e conquiste civili ha portato a omicidi, imprigionamenti e esilio dei cittadini della classe media. Lo stesso Baath si è trasformato da partito con motivazioni ideologiche a strumento passivo di fedeltà alle famiglie più forti.

Ancora di più, le persone sono state spinte dalla violenza e dal collasso economico a cercare la sicurezza e i mezzi di sostentamento nella famiglia, nei clan, nei padrini politici o nelle strutture religiose.

L’unica opposizione era quella sciita che si rifaceva alle organizzazioni religiosi iraniane.

La frammentata democrazia “elettorale” imposta dagli americani dopo l’invasione, ha portato ha una varietà di pratiche legali e religiose che ha permesso la restaurazione di autorità patriarcali e religiose sulla famiglia e le donne.

I dittatori liberavano le donne nei giorni buoni, ma ritrattavano quando erano sotto pressione, svelavando a quel punto la loro natura di populisti mascherati da democratici.

La Tunisia è generalmente riconosciuta come uno degli Stati arabi più liberali circa il diritto di famiglia e i diritti delle donne.

Tra l’altro è l’unico paese che ha bandito la poligamia, mentre negli altri sono solo previste restrizioni al diritto dell’uomo di avere più mogli.

Queste misure erano parte del progetto di modernizzazione di un altro dittatore, Bourghiba. Dobbiamo anche dire che la Tunisia era il paese arabo che aveva la società civile più attiva e con una gran ricchezza di associazioni, in accordo con le riforme di Bourghiba.

Il partito islamico Ennahda, che ha vinto le recenti elezioni, ha promesso di non toccare le riforme, ma resisterà alle richieste che si alzano da varie parti, di un progetto islamico più forte?

In Egitto la riforma più significativa fu promulgata da Sadat nel 1979 ed è nota come la “legge Jihan”, dal nome di sua moglie, che pare ne fu l’ispiratrice.

La legge, promulgata con decreto presidenziale durante lo stato di emergenza non è passata per il Parlamento che al tempo era sospeso, e questo spiega il suo annullamento nel 1985.

Essa dava maggiori diritti alle donne nell’ambito famigliare, regolava la poligamia, sottometteva il divorzio a procedure giuridiche, dava maggiori poteri alle donne in caso di divorzio e circa la custodia dei figli, dava loro la possibilità di lavorare e viaggiare, nonché alcuni diritti sulla casa.

Sadat mise insieme una commissione di ulema che approvarono le riforme, anche se molti le rinnegarono dopo la sua morte.

Questa riforma andava contro la politica di Sadat che mirava a placare gli islamici e l’emendamento alla Costituzione da lui voluto che dichiarava i principi della Sharia il fondamento della legislazione.

Queste contraddizioni portarono a controversie e dispute dopo l’assassinio di Sadat (per mano dei Jihadisti) nel 1981.

Avvocati di ispirazione islamica presentarono una petizione alla Corte Suprema che, nel 1985,  dichiarò la legge incostituzionale, non perché non conforme alla sharia come volevano i richiedenti, ma perché frutto di un decreto presidenziale.

Molti dei provvedimenti furono comunque nuovamente emanati poco dopo, nonostante le resistenze degli islamici.

Nel 2000 nuove controversie riguardarono un altro decreto che dava alle donne la possibilità di iniziare la procedura di divorzio se rinunciavano a tutti i loro diritti circa gli alimenti e le proprietà.

Il decreto era basato su un controverso provvedimento del canone islamico chiamato khul.

Ora rimane da vedere cosa ha in programma nell’ambito del diritto famigliare il nuovo Parlamento dominato da i Fratelli Musulmani fiancheggiati dai salafiti.

Molte delle forze che si sono opposte alle riforme in passato sono ora in Parlamento ma rappresentate dai membri più rispettabili che cercano di essere concilianti e liberali.

Cosa ne è stato dei “musulmani femministi” che sono stati così importanti nel panorama ideologico, soprattutto in Occidente?

La loro lettura revisionista dei canoni religiosi ha portato a qualche risultato a livello politico o legislativo? Niente di tangibile, tranne forse un’eccezione.

Paradossalmente il successo più grande, anche se modesto, è stato l’Islam moderato dell’interregno “liberale” che si è avuto tra la morte di Khomeini nel 1989 e l’arrivo di Ahmadinejad al potere nel 2005.

In questo periodo vennero approvate una serie di misure legislative e politiche liberiste sotto la pressione di vari elementi, incluse le donne, che facevano parte del variegato establishment musulmano, come delle opposizioni relativamente libere.

Tutto ciò sembra essere finito sotto l’attacco congiunto sempre più repressivo e arbitrario dell’alleanza tra potere esecutivo e giudiziario. In Iran il potere giudiziario sembra essere veramente indipendente, ma dalla legge!

Le donne sono state spesso in primo piano nelle recenti drammatiche ed esaltanti rivoluzioni del mondo arabo.

Sono una componente fondamentale della generazione di “cittadini” che rivendica i valori universali della giustizia e della libertà.

Dove si sono introdotte riforme democratiche, comunque, le elezioni sembrano aver portato al potere elementi che sono quantomeno ambivalenti circa questi valori.

I dittatori, che siano sopravvissuti o aspiranti tali, potrebbero giudicare più saggio compiacere i sentimenti più retrogradi piuttosto che impegnarsi nell’opera di modernizzazione dei loro predecessori.

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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