Diplomazia letale: come Trump ha ingannato Teheran

Trump e il conflitto Iran-Israele: ambiguità strategica o caos intenzionale?

La posizione di Donald Trump nella crisi tra Israele e Iran appare estremamente ambivalente, al punto da oltrepassare la classica “doppiezza” diplomatica. Trump adotta un approccio così contraddittorio da sembrare talvolta intenzionalmente disorientante.

La posizione di Trump nella crisi tra Iran e Israele non è solo ambivalente, ma multiforme e contraddittoria. Nello stesso discorso può:

  • Lodare come “eccellenti” le azioni israeliane contro leader iraniani, pur chiedendo esplicitamente che non venga ucciso l’Ayatollah Khamenei.

  • Minacciare un attacco “mostruoso” all’Iran, ma chiedere insieme la cessazione delle ostilità da parte di entrambi.

  • Sostenere che questi raid potrebbero favorire un accordo, quindi sperare in un loro arresto.

  • Affermare che alcuni negoziatori iraniani coinvolti nei colloqui con gli USA sono già stati “eliminati”, ma allo stesso tempo invitare gli altri a riprendere le trattative – con l’intenzione di porre un ultimatum americano.

In pratica, Trump nega ogni coinvolgimento diretto americano, ma nel frattempo potenzia la presenza militare nella regione, fornisce a Israele rifornimenti strategici (missili, velivoli da rifornimento, intelligence satellitare) e convoca in anticipo il Consiglio di Sicurezza nazionale per discutere un eventuale ingresso in guerra. A parole è per la pace, nei fatti contribuisce al fuoco.


Una trappola strategica ben congegnata

La postura di Trump, più che schizofrenica, sembra rispondere a una logica multipolare manipolativa: un disegno deliberato di ambiguità strategica che confonde, disorienta e intrappola l’interlocutore in mosse già calcolate. Secondo fonti iraniane, Teheran sarebbe caduta in pieno in questa trappola: ritenendo che il dialogo in corso con Washington escludesse la possibilità di un attacco imminente, ha allentato le misure di sicurezza proprio mentre Israele – con il pieno sostegno operativo degli Stati Uniti – lanciava un’offensiva letale, colpendo direttamente il vertice militare iraniano.

Questa narrazione trova eco in un rapporto di Responsible Statecraft, che evidenzia come l’Iran abbia abbassato la guardia dopo segnali di apertura diplomatica da parte degli Stati Uniti, solo per essere colto di sorpresa dall’attacco israeliano del 13 giugno 2025. Secondo fonti anonime citate da Al Jazeera,, Israele avrebbe sfruttato intelligence statunitense per colpire con precisione siti chiave, tra cui una fabbrica di centrifughe a Karaj, precedentemente monitorata dall’AIEA.

Ma non solo: insieme ai comandanti sono stati presi di mira anche scienziati civili, eliminati direttamente nelle loro abitazioni insieme alle loro famiglie. In almeno un caso documentato, un intero edificio residenziale è stato raso al suolo per neutralizzare un singolo obiettivo.

Un rapporto di Middle East Eye ha dettagliato un episodio specifico in cui un palazzo di cinque piani a Teheran è stato distrutto, uccidendo almeno 12 civili, tra cui donne e bambini, per eliminare un presunto scienziato nucleare. L’Iran ha denunciato l’attacco come un crimine di guerra, mentre Israele lo ha giustificato come necessario per prevenire un’imminente minaccia. La mancanza di trasparenza e l’elevato numero di vittime civili hanno suscitato preoccupazioni internazionali, tra cui quella espressa dal presidente francese Emmanuel Macron.


Oltre il nucleare: disinformazione e cambio di regime

È fondamentale sottolineare che, sebbene Israele giustifichi l’attacco con la necessità di fermare il presunto programma nucleare militare iraniano, i bersagli colpiti non risultano collegati allo sviluppo di un’arma atomica. Non esistono evidenze concrete che l’Iran stia lavorando per ottenere una bomba nucleare. A conferma di ciò, a marzo la direttrice dell’intelligence statunitense, Tulsi Gabbard, ha dichiarato durante un briefing ufficiale che non vi sono informazioni credibili che indichino l’avvio di un programma militare nucleare.

Questa posizione è stata ulteriormente avvalorata da un’analisi di The Grayzone, che cita documenti trapelati dall’AIEA secondo cui l’Iran avrebbe limitato le sue attività di arricchimento a scopi civili.

Nel frattempo, il Times of Israel ha ammesso che Trump era informato dell’attacco fin dal principio, e che Israele e Stati Uniti hanno orchestrato una campagna di disinformazione per indurre l’Iran a sottovalutare il pericolo.

Un articolo di Antiwar.com approfondisce questa dinamica, segnalando l’utilizzo di trasmissioni radiofoniche, social media e operazioni psicologiche per alimentare proteste interne. Un’inchiesta di MintPress News ha rivelato che ex agenti della CIA avrebbero coordinato questa strategia per favorire un cambio di regime in Iran, in collaborazione con Israele e con il tacito assenso dell’Arabia Saudita.


Il fronte interno si incrina

All’interno degli Stati Uniti, però, si sta creando una crescente opposizione trasversale. I Democratici sono contrari per principio, ma anche molti senatori repubblicani difendono la via diplomatica. Tra le voci più note spicca Tucker Carlson, bollato da Trump come “pazzo”, e perfino Elon Musk è finito nel mirino.

Il dissenso è più profondo di quanto appaia. Secondo Responsible Statecraft, anche esponenti del movimento MAGA, come Steve Bannon e Charlie Kirk, hanno criticato l’idea di un intervento militare. Un sondaggio del Chicago Council on Global Affairs mostra che l’80% degli americani preferisce soluzioni diplomatiche o economiche, e solo il 19% dei sostenitori di Trump appoggia un’azione diretta.

Nonostante ciò, Trump potrebbe proseguire nel sostegno indiretto a Israele, aggirando il Congresso. Ma questo mina la sua credibilità di “pacificatore globale”.


Conclusione: diplomazia come arma, pace come illusione

In conclusione, l’ambiguità strategica di Trump potrebbe essere un’arma a doppio taglio: da un lato, gli consente di mantenere flessibilità e pressione su Teheran; dall’altro, rischia di alienare la sua base e di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto dalle conseguenze imprevedibili.

È davvero tutto frutto di caos improvvisato, o è una strategia calcolata di manipolazione globale? La risposta potrebbe emergere solo nel momento in cui Trump dovrà scegliere tra premere il grilletto o sedersi al tavolo delle trattative.

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