L’uso dei dazi da parte di Donald Trump come strumento per influenzare l’economia statunitense non è soltanto una politica protezionistica, ma potrebbe anche nascondere una strategia più complessa: aumentare intenzionalmente l’inflazione per ridurre il peso reale del debito pubblico. Questa ipotesi, coerente con il suo approccio “America First”, è sostenuta da diversi economisti e analisti finanziari che vedono in tale manovra una logica economica ben definita.
Perché i dazi portano inflazione?
I dazi aumentano il costo delle merci importate, dai beni di consumo ai componenti industriali essenziali. Questo fa crescere il prezzo finale per i consumatori, riducendo anche la concorrenza sul mercato nazionale. Senza la pressione dei prezzi dei beni esteri, le aziende domestiche possono liberamente aumentare i prezzi, portando così a una crescita generalizzata dell’inflazione.
Kathy Bostjancic, capo economista di Nationwide, afferma che l’imposizione di dazi può ridurre significativamente la crescita economica e incrementare i costi per le famiglie americane anche di mille dollari all’anno.
Come l’inflazione riduce il debito pubblico?
L’inflazione, se ben calibrata, può avere un effetto benefico per il debito pubblico in quanto riduce il valore reale del debito accumulato dallo Stato. Quando il livello generale dei prezzi aumenta, ogni dollaro dovuto perde parte del suo valore reale. Questo significa che un debito contratto in passato, quando il potere d’acquisto era superiore, diventa più facile da ripagare oggi, con una valuta “svalutata”.
Un’inflazione moderata può anche aumentare le entrate fiscali, perché con prezzi e salari nominali più alti, aumentano le imposte sul reddito e sui consumi. Questo contribuisce a ridurre il deficit annuale e il rapporto debito/PIL, migliorando quindi l’immagine di sostenibilità finanziaria dello Stato.
Rischi e problematiche dell’inflazione indotta
Tuttavia, questa strategia comporta rischi elevati. Una crescita incontrollata dell’inflazione può avere effetti negativi devastanti sul potere d’acquisto dei cittadini, soprattutto se i salari non crescono proporzionalmente. Inoltre, se l’inflazione supera certi livelli, le banche centrali, come la Federal Reserve, sono costrette ad aumentare i tassi d’interesse per arginarla. Questo aumento rende il costo del rifinanziamento del debito più elevato e rischia di innescare una recessione economica.
L’inflazione elevata può dunque diventare un’arma a doppio taglio, capace sì di ridurre nominalmente il debito, ma allo stesso tempo capace di provocare instabilità economica, perdita di fiducia da parte degli investitori e crisi sociali dovute all’aumento dei prezzi dei beni essenziali.
Muoversi è importante e soprattutto sapere dove andare
La politica di dazi introdotta da Donald Trump con l’intento di aumentare l’inflazione per ridurre il peso reale del debito pubblico è una strategia che presenta un equilibrio molto delicato tra benefici immediati e rischi significativi nel lungo termine. Per sfruttarne i potenziali vantaggi, evitando al tempo stesso le conseguenze più problematiche, sarebbe necessario un controllo rigoroso dell’inflazione stessa e un’accurata gestione degli effetti collaterali, un equilibrio complesso e difficile da mantenere.
Tuttavia, accanto a questa politica economica, Trump sta seguendo altre strategie parallele, come dimostrano l’interesse per l’acquisizione di nuovi territori, ad esempio il caso della Groenlandia, l’acquisto del Canale di Panama da parte di BlackRock per 32 miliardi di dollari, le dispute commerciali e territoriali con il Canada, e infine la ridefinizione complessiva dell’assetto geopolitico del Medio Oriente.
È importante sottolineare che Trump non agisce isolatamente, bensì opera seguendo il consiglio di esperti selezionati che condividono e supportano la sua visione politica, incentrata sulla sovranità e sull’interesse primario dell’America. Questa linea di azione può certamente apparire cinica e, in effetti, lo è.
A questo punto, però, la domanda cruciale riguarda l’Europa: cosa sta facendo il Vecchio Continente in risposta?
L’Europa, invece di adottare politiche che valorizzino realmente la sovranità dei suoi stati membri e tutelino gli interessi dei propri cittadini, sembra agire in senso opposto. La sua azione appare più orientata alla protezione delle élite economiche e finanziarie che non al benessere generale della popolazione, aumentando così le disparità sociali e contribuendo indirettamente a generare tensioni e conflitti interni.
Inoltre, l’Europa sembra ignorare un aspetto decisivo: mentre gli Stati Uniti possono sostenere una politica di dazi grazie alla propria indipendenza energetica, il Vecchio Continente non gode dello stesso vantaggio. Questo aspetto rende le implicazioni geopolitiche dei dazi ancora più gravi per l’UE, che potrebbe affrontare rapidamente crisi profonde sia economiche che politiche.
Nel contesto globale odierno, guardare al futuro e anticipare i cambiamenti diventa essenziale. Chi saprà reclamare la propria sovranità e aprirsi a nuove alleanze, sarà pronto ad affrontare il domani, che non sarà più fondato sui paradigmi tradizionali ma su nuovi equilibri globali, come quelli proposti dal crescente gruppo dei BRICS, che sta ridefinendo i rapporti tra le nazioni.