Crosetto e la pace a colpi di cannone, ovvero l’arte di difendere confini a 1.600 km di distanza

Ho letto con grande sconcerto le recenti dichiarazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, riportate da Adnkronos, in cui egli sostiene non solo la necessità di prorogare il decreto per l’invio di armi a Kiev, ma anche che questa scelta rappresenti il modo migliore per avvicinare la pace. Secondo Crosetto, tale approccio si inserisce in un contesto globale in cui i rapporti tra Stati si misurano con la forza. Ciò che risulta ancora più sorprendente, se non addirittura inquietante, è la sua affermazione secondo cui l’Italia non agirebbe tanto per difendere Kiev quanto per tutelare “principi universali” o, in modo ancora più semplicistico, “un confine”. Una dichiarazione che appare paradossale se si considera che Kiev si trova a ben 1.600 chilometri da Roma, sollevando interrogativi non solo sulla coerenza logica di tale argomentazione, ma anche sulla reale visione strategica che ispira queste scelte.

In un mondo già segnato da profonde divisioni e tensioni, è lecito chiedersi se l’Italia, nell’allinearsi acriticamente a questa logica di escalation, stia realmente promuovendo quei valori universali che Crosetto invoca o se, al contrario, stia contribuendo a perpetuare un sistema basato su rapporti di forza e sull’idea che la pace possa essere imposta dalle armi.

Il discorso del ministro Crosetto si presenta come una costruzione retorica che, pur evocando il desiderio di pace, nega implicitamente la possibilità di ottenerla tramite mezzi diversi dalla guerra. L’affermazione che l’invio di armi sia necessario per evitare la “distruzione” del popolo ucraino non regge a un’analisi più complessa e storicamente informata del conflitto.

Incoerenze logiche

Crosetto dichiara di sperare che il decreto di aiuti militari sia “inutile” e che si possa arrivare alla pace, ma questa affermazione è contraddetta dall’azione concreta di inviare armi. Tale scelta rafforza una dinamica di escalation che rende i negoziati meno probabili, spingendo le parti coinvolte a perseguire obiettivi massimalisti. La leadership ucraina, sostenuta militarmente dall’Occidente, ha dimostrato una crescente intransigenza nei confronti di qualsiasi compromesso, alimentando una spirale di conflitto piuttosto che una ricerca sincera di tregua.

Narrazione unilaterale

Crosetto dipinge la Russia come esclusiva responsabile del conflitto, ignorando fattori strutturali e geopolitici che hanno contribuito alla crisi. La mancata implementazione degli accordi di Minsk da parte dell’Ucraina e dell’UE, così come il sostegno costante all’integrazione di Kiev nella NATO, sono elementi centrali che Crosetto omette di riconoscere. Tale approccio riduce la complessità del conflitto a una narrazione manichea, in cui un lato è sempre vittima e l’altro sempre carnefice, rendendo ancora più difficile costruire ponti per la pace.

La logica degli equilibri di forza

La visione del ministro si basa implicitamente sull’idea che gli equilibri di forza possano garantire stabilità e sicurezza, ma la storia recente dimostra che questo approccio è fallace. Il continuo invio di armi non solo prolunga il conflitto, ma esacerba la sofferenza di civili e soldati su entrambi i fronti. Inoltre, tale strategia ignora le richieste di sicurezza avanzate dalla Russia, che, se fossero state prese in considerazione con maggiore serietà, avrebbero potuto prevenire questa tragedia umana e geopolitica.

In definitiva, l’intervento di Crosetto appare come un esercizio di retorica volto a giustificare una politica che, lungi dal promuovere la pace, contribuisce a consolidare una logica di guerra. La sua argomentazione è in contrasto con il principio che la pace si costruisce attraverso il dialogo, la comprensione reciproca e la considerazione delle ragioni di tutte le parti coinvolte. La “verità storica” che emerge mostra un Occidente spesso miope e arrogante, incapace di anticipare le conseguenze delle sue scelte. Continuare su questa strada non porterà alla pace, ma a un prolungamento della sofferenza e all’erosione della credibilità di chi, come Crosetto, si dichiara a favore di un futuro migliore mentre agisce in modo contrario.

Per di più, al momento risulta difficile giustificare la necessità di adempiere agli impegni “occidentali” legati alle alleanze, considerando che la postura degli Stati Uniti, con l’elezione di Trump, si discosta significativamente da quella adottata dalla precedente amministrazione.