Negli ultimi 45 giorni il Giappone ha vissuto un terremoto finanziario: il rendimento dei titoli di Stato a 30 anni è passato dal 2,2% al 3,2%, un balzo di 100 punti base, mentre oltre 500 miliardi di dollari in JGB a 40 anni hanno perso più del 20% del loro valore in appena sei settimane. Un dato allarmante per uno dei mercati considerati più stabili e sicuri del mondo.
Ma siamo davvero di fronte a un’implosione del mercato obbligazionario giapponese o si tratta di una transizione verso un nuovo equilibrio?
Le vere cause: inflazione, BoJ e debito pubblico
Il primo motore di questa crisi è l’inflazione: dopo anni di stagnazione dei prezzi, il Giappone ha superato stabilmente il 3% annuo, costringendo la Bank of Japan ad abbandonare politiche ultra-espansive. È finita l’epoca dei tassi negativi e del controllo della curva dei rendimenti: ora il tasso guida è allo 0,5%, e la BoJ sta progressivamente riducendo gli acquisti di titoli di Stato.
Senza il sostegno della banca centrale, il mercato ha iniziato a riprezzare il rischio e a chiedere rendimenti più alti per continuare a finanziare un debito pubblico che ha superato il 260% del PIL.
L’offerta crescente di nuove emissioni, unita a un’asta deludente di titoli a 20 anni, ha scatenato un’ondata di vendite sui bond a lunga scadenza, con un impatto particolarmente forte sui titoli a 30 e 40 anni, che sono più sensibili ai movimenti dei tassi.
La variabile yen: fine del carry trade e rientro dei capitali
Negli anni precedenti, lo yen debole e i tassi giapponesi quasi a zero avevano favorito un gigantesco carry trade: investitori prendevano a prestito in yen e acquistavano obbligazioni estere più redditizie.
Oggi, con i rendimenti dei JGB in salita, molti fondi pensione e assicurazioni giapponesi stanno vendendo bond esteri e ultralong giapponesi, preferendo titoli a media scadenza più sicuri e finalmente remunerativi.
Il risultato? Flussi di capitale di ritorno verso il Giappone, una minore pressione al ribasso sullo yen e un nuovo equilibrio nei portafogli istituzionali. Questo cambiamento potrebbe incidere anche sui mercati globali, poiché il Giappone è tra i maggiori detentori di debito pubblico estero, inclusi i Treasury USA.
Implosione o correzione fisiologica?
Parlare di “implosione” è forse eccessivo. La maggior parte degli analisti – da Nikko AM a Sumitomo Mitsui – parla piuttosto di correzione severa ma necessaria, dovuta alla normalizzazione monetaria e al rientro del sostegno artificiale della BoJ.
Il problema, semmai, è la rapidità del movimento in un mercato con bassa liquidità, dove bastano poche operazioni per generare forti oscillazioni.
Le banche regionali e le assicurazioni giapponesi stanno subendo pesanti perdite latenti, ma non si osserva un’ondata di panico. La Bank of Japan, dal canto suo, osserva attentamente ma non è ancora intervenuta, segnalando che considera questo repricing come parte del ritorno alla normalità.
Cosa aspettarsi: stabilizzazione o nuovi shock?
Molto dipenderà dalle prossime aste, dalla tenuta dell’economia reale e dalla gestione della spesa pubblica. Se l’inflazione si stabilizzerà e la BoJ manterrà prudenza, i rendimenti potrebbero trovare un nuovo punto di equilibrio.
Altrimenti, il mercato potrebbe continuare a testare livelli più alti, mettendo in discussione la sostenibilità del debito nel lungo periodo. Alcuni analisti, come quelli di JPMorgan, non escludono che la BoJ sia costretta a interventi mirati o a rallentare il “quantitative tightening” per evitare ulteriori shock.
Il terremoto dei bond giapponesi non è un crollo improvviso, ma piuttosto il doloroso adattamento a una nuova era dei tassi. Dopo anni di tassi zero e debito a costo quasi nullo, i mercati obbligazionari stanno chiedendo rendimenti più realistici.
Il Giappone è il primo grande laboratorio di questo cambiamento globale. Come gestirà la transizione potrà offrire una lezione anche all’Europa e agli Stati Uniti. Non si può sfuggire per sempre alla legge della fiducia dei mercati.