Controllo ideologico verso gli Stati Membri: l’Italia ancora nel mirino dell’UE

Riprendiamo una vicenda che, per la sua portata, avrebbe meritato ben altra attenzione da parte dei media nazionali, e che invece è passata quasi sotto silenzio. Colpisce un dato in particolare: nonostante l’attuale governo italiano abbia mantenuto una sostanziale continuità con l’impostazione progressista egemone nell’Unione Europea – eredità ideologica sopravvissuta alla sconfitta del blocco clintoniano negli Stati Uniti – l’Italia continua a essere trattata dalle istituzioni europee come un sorvegliato speciale.
Questo paradosso rivela un meccanismo più profondo: al di là delle dichiarazioni concilianti e degli allineamenti di facciata, l’Unione Europea sembra nutrire un pregiudizio sistemico verso qualunque forza politica che non si conformi pienamente ai dogmi del globalismo tecnocratico ancora ben radicato nei centri decisionali di Bruxelles.
Lo stesso schema si ripete in altri contesti europei, dove governi democraticamente eletti vengono delegittimati o apertamente osteggiati: basti pensare al trattamento riservato al commissario Georgescu in Romania, agli ostacoli politici in Georgia, alle ingerenze in Slovacchia, Moldavia e in altri Paesi dell’Europa centrale e orientale. Una linea d’intervento che, sotto la retorica dei “valori europei”, maschera una strategia di controllo e uniformazione culturale.

Ma cosa è accaduto esattamente?

Lo scorso 22 maggio 2025, l’organizzazione Human Rights Watch (HRW) ha diffuso un rapporto molto critico nei confronti del governo italiano, amplificando le contestazioni già sollevate da Bruxelles sullo stato di diritto. Le accuse principali riguardano l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa, le politiche migratorie e i diritti delle minoranze. Subito dopo, il Parlamento Europeo ha convocato un’audizione pubblica nel Comitato LIBE per discutere la situazione italiana. Il tono e l’impostazione generale dell’incontro hanno però sollevato interrogativi sulla reale neutralità dell’iniziativa.


Un’Audizione Politicizzata: processo al Governo sotto mentite spoglie

L’audizione, presentata formalmente come un momento di verifica tecnica sul rispetto dei valori fondanti dell’UE, è stata in realtà percepita da molti osservatori come un atto d’accusa politico. Il governo italiano ha scelto di non inviare ministri, affidando la rappresentanza a funzionari tecnici: una scelta interpretata strumentalmente come segno di disinteresse o fuga dal confronto.

Eppure, l’impostazione dell’audizione – già criticata in passato per casi simili riguardanti Polonia e Ungheria – appariva costruita per colpire simbolicamente il governo Meloni. Come ha sottolineato l’europarlamentare Nicola Procaccini (FdI), si è trattato di un “tribunale politico” che riflette un doppio standard ideologico: l’UE appare tollerante verso governi progressisti, mentre si mostra inflessibile con chi difende posizioni conservatrici, identitarie o sovraniste.


⚖️ Magistratura e Doppia Verità: l’Indipendenza che non si può toccare

Il rapporto HRW critica i progetti di riforma della giustizia promossi dal governo, in particolare la separazione delle carriere tra giudici e PM. Ma tace su un problema ben noto: la politicizzazione strutturale della magistratura italiana.

La corrente di Magistratura Democratica – come ricorda anche il libro “Magistratura e politica” di Piercamillo Davigo – ha storicamente esercitato un’influenza ideologica marcata, spesso vicina alla sinistra. Negli anni, numerosi casi giudiziari hanno avuto tempistiche sospette e hanno colpito quasi esclusivamente esponenti di centrodestra. Nonostante ciò, nessun rapporto europeo ha mai evidenziato criticamente tale squilibrio.

Il Rapporto sullo Stato di Diritto 2024 della Commissione Europea ha segnalato un calo di fiducia dei cittadini italiani nella giustizia, ma ha omesso di analizzarne le cause profonde. Il governo Meloni tenta ora di riformare un potere giudiziario che si è autonominato “custode” della legalità, mentre agisce di fatto come attore politico.


Libertà di Stampa o Monopolio dell’Opinione?

HRW denuncia anche minacce alla libertà di stampa in Italia, menzionando l’aumento delle cause legali contro giornalisti (SLAPP) e le presunte pressioni sulla RAI. Tuttavia, una simile analisi ignora la realtà italiana, in cui il pluralismo mediatico è spesso fittizio.

Come ha evidenziato un’indagine dell’Osservatorio Europeo sul Pluralismo dei Media (2024), la RAI e gran parte dei principali giornali italiani sono da anni espressione di un pensiero unico progressista. Episodi come la censura preventiva del monologo dello scrittore Antonio Scurati sono stati amplificati come segnali di oscurantismo, ma tacciono sul fatto che la stessa RAI aveva già ospitato interventi di tono ideologico opposto per anni.

Le SLAPP, inoltre, non sono una novità dell’era Meloni, ma una pratica consolidata e usata anche da esponenti della sinistra. L’accusa di voler imbavagliare la stampa sembra più un pretesto per rafforzare la narrazione di un’Italia autoritaria che una reale valutazione dello stato dell’informazione.


“Valori Europei” vs Sovranità Culturale

Il rapporto attacca anche la linea del governo su immigrazione, maternità surrogata e diritti LGBT. Si punta il dito contro l’accordo con l’Albania per la gestione dei migranti e contro la legge che punisce la maternità surrogata praticata all’estero.

In entrambi i casi, l’UE e HRW adottano un’interpretazione ideologica dei “valori europei”, considerati dogmi indiscutibili, anche se imposti contro il sentire di una larga parte dell’opinione pubblica. La difesa della famiglia naturale e la regolazione dell’immigrazione sono posizioni legittime in democrazia, ma vengono stigmatizzate come “violazioni dei diritti umani”.

L’Italia viene dunque messa sotto accusa non per violazioni concrete, ma per non aderire pienamente all’ortodossia globalista. In questo senso, il concetto stesso di “stato di diritto” si svuota di significato e diventa uno strumento ideologico.


️ Un Governo sotto Tiro, ma Eletto Democraticamente

Il governo Meloni, eletto con un mandato popolare chiaro, si trova costantemente sotto osservazione. Viene messo sul banco degli imputati per ogni scelta non conforme al paradigma dominante, mentre paesi come la Francia – dove è stata adottata una controversa legge sulla “sorveglianza cognitiva” – non subiscono alcuna pressione.

La proposta della Commissione Europea di istituire una nuova authority indipendente sui diritti umani in Italia solleva interrogativi sulla reale sovranità degli Stati membri. Una simile misura sembra voler commissariare preventivamente governi non allineati, con la scusa di “salvaguardare i valori”.


Il Ruolo Strategico delle ONG nell’Agenda UE: Un Rapporto e Uno Scandalo

È ormai un dato acquisito: l’Unione Europea si avvale di numerose ONG per rafforzare e legittimare le proprie politiche esterne e interne. Ma gli ultimi sviluppi rivelano un quadro ben più complesso.

1. Trasparenza messa in discussione

Un recente rapporto della Corte dei Conti Europea ha definito l’erogazione di fondi a ONG “opaca”, pur non avendo riscontrato violazioni dirette dei valori UE (euronews.com). Tuttavia, il semplice fatto che i flussi finanziari continuino a essere poco chiari alimenta sospetti su possibili influenze politiche e strategie orchestrate.

2. Scandalo e contro-replica

Sul fronte politico si è acceso un vero scontro: gruppi conservatori, guidati dal PPE e dall’ECR, hanno denunciato accordi segreti tra la Commissione e ONG ambientaliste, destando la reazione di Bruxelles . La Commissione ha smentito, ma la faccenda ha portato il Parlamento Europeo a istituire un organismo ufficiale per indagare sul finanziamento delle ONG .

3. Il rapporto ECLJ: una lente critica

L’European Centre for Law and Justice (ECLJ), in “The Financing of NGOs and Their Influence on European Institutions”, denuncia duramente il fenomeno. Secondo il rapporto, ONG come Human Rights Watch “plasmano l’agenda UE” e spesso operano come “attori ideologici in linea con un’agenda globalista”, finanziati da fondi che rifletterebbero interessi sovranazionali static.eclj.org+1europarl.europa.eu.

Secondo l’ECLJ, questo rapporto dimostrerebbe come le ONG – formalmente autonome – possano fungere da strumenti di soft power, orientando le istituzioni europee contro governi sovranisti o conservatori, tra cui potenzialmente anche l’Italia.


In sintesi

  • Finanziamenti UE alle ONG: la trasparenza è sotto accusa. Secondo la Corte dei Conti europea, l’erogazione dei fondi avviene con criteri opachi, anche se non sono emerse violazioni formali di legge (Fonte ECLJ), (static.eclj.org).

  • Tensioni politiche interne all’UE: nelle ultime sessioni parlamentari, diversi gruppi conservatori hanno denunciato la Commissione Europea per presunti favoritismi verso ONG ambientaliste e progressiste, soprattutto in occasione delle recenti consultazioni elettorali europee.

  • Il rapporto ECLJ: lo studio dell’European Centre for Law and Justice, intitolato “The Financing of NGOs and Their Influence on European Institutions”, mette in luce come numerose ONG – incluse organizzazioni come Human Rights Watch – contribuiscano attivamente a orientare l’agenda politica di Bruxelles. Secondo l’ECLJ, il sostegno finanziario a tali ONG rifletterebbe interessi globalisti e verrebbe impiegato per esercitare pressione su governi di orientamento sovranista.

  • ONG come strumenti di soft power: in definitiva, il rapporto offre una prospettiva critica sull’uso sistemico delle ONG come veicoli ideologici per promuovere valori progressisti, spesso in contrasto con le scelte democratiche dei singoli Stati. In questa logica, HRW – pur rivestendo formalmente un ruolo di advocacy per i diritti umani – potrebbe agire come un attore politico in linea con un’agenda globalista.


Controllo Ideologico sull’Unione: il Caso Italia

Il rapporto di Human Rights Watch del 22 maggio 2025, insieme all’audizione organizzata dal Comitato LIBE del Parlamento Europeo, evidenzia una tendenza ormai difficile da ignorare: l’Unione Europea esercita un controllo ideologico sempre più stringente sui suoi Stati membri. Non si giudicano più i governi sulla base dei fatti o della legittimità democratica, ma su intenzioni presunte, orientamenti culturali e linguaggi politici.

Il caso italiano è emblematico. Il governo Meloni, nonostante una sostanziale continuità con molte politiche europee, viene trattato come un’anomalia da sorvegliare. Questo atteggiamento si spiega solo alla luce di un pregiudizio strutturale verso chi non si allinea completamente all’agenda progressista dominante.

In questo quadro, il ruolo delle ONG appare tutt’altro che neutrale. Come evidenziato dal rapporto dell’ECLJ – European Centre for Law and Justice (“The Financing of NGOs and Their Influence on European Institutions”), organizzazioni come Human Rights Watch operano come veri e propri partner ideologici della Commissione europea, intervenendo sistematicamente in chiave critica contro governi sovranisti o conservatori, indipendentemente dal contenuto delle loro politiche. Il rapporto offre una chiave interpretativa netta: il coinvolgimento di ONG nell’agenda UE non rappresenta solo una forma di advocacy civile, ma un vero e proprio strumento politico e strategico di pressione.

Di conseguenza, la retorica dei cosiddetti “valori europei” assume sempre più la forma di una griglia ideologica: un criterio di esclusione verso quei governi che difendono la sovranità nazionale, la centralità della famiglia naturale, il pluralismo educativo e una visione antropologica radicata nella tradizione.

In questo clima di sospetto e delegittimazione, diventa essenziale riaffermare un principio basilare: l’Italia ha il diritto di definire autonomamente il proprio modello di società, nel rispetto della propria Costituzione e del mandato democratico ricevuto dal popolo sovrano, senza essere sottoposta a una continua sorveglianza politica mascherata da tutela dei diritti.

Lo scandalo sollevato in sede europea sul finanziamento opaco delle ONG, unito alla denuncia pubblica dell’ECLJ, riporta al centro del dibattito un nodo cruciale: il rapporto tra risorse pubbliche, potere ideologico e sovranità nazionale. Se da un lato è legittimo che l’UE sostenga organizzazioni della società civile, dall’altro è urgente garantire trasparenza e imparzialità, evitando che tali organismi si trasformino in strumenti di condizionamento politico.

Nonostante queste evidenze, l’Unione Europea continua a disporre di un articolato sistema di pressione politica e finanziaria sui Paesi membri, che include non solo strumenti formali (come fondi e procedure di infrazione), ma anche forme di soft power, e – come denunciano sempre più osservatori – modalità più sottili e opache di controllo ideologico.

In sintesi:

L’Italia è trattata (ancora!) come un’anomalia politica da correggere.

Le ONG operano come strumenti di soft power, non di semplice advocacy.

L’UE non tollera modelli alternativi di società, radicati in famiglia, identità e sovranità.

È tempo di difendere il diritto dell’Italia a scegliere il proprio cammino, senza essere sottoposta a una sorveglianza ideologica mascherata da “difesa dei diritti”.

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