Conseguenze se vai a Mosca”: Fico risponde alla Kallas

Quando le parole pesano come proiettili

Quando un capo di governo sopravvive a un attentato politico, ogni parola che gli viene rivolta – soprattutto se pronunciata da un’altra figura istituzionale – non può essere letta come una semplice dichiarazione diplomatica. Tanto più se quel capo di governo è Robert Fico, Premier della Slovacchia, ferito gravemente nel maggio 2024 da un attentatore che gli ha sparato pubblicamente per motivi politici, in un clima esasperato da campagne mediatiche e pressioni sovranazionali.

Fico non è un capo qualsiasi: è un sopravvissuto. Un leader che ha continuato a governare con coerenza, promuovendo una linea pacifista, sovranista e orientata al benessere del suo popolo. La sua libertà fisica e politica è già stata minacciata una volta.

Ecco perché, quando la premier estone Kaja Kallas – Alto Commissario UE agli Affari Esteri – ha dichiarato che Fico avrebbe “subito conseguenze” se fosse andato a Mosca il 9 maggio, le sue parole hanno assunto un significato estremamente grave e inquietante.


Una minaccia inquietante

Il messaggio della Kallas – che ha già espresso in più occasioni una postura marcatamente ostile verso la Russia e chiunque non ne condivida la linea dura – è di una violenza dirompente. Dire a un capo di governo che ha già rischiato la vita per le sue scelte sovrane che subirà “conseguenze” se dovesse partecipare a una commemorazione a Mosca, non è un’opinione politica: è una minaccia.

Nel contesto europeo, dove il dibattito dovrebbe fondarsi sul rispetto della sovranità degli Stati membri, questo tipo di dichiarazioni travalicano i confini del confronto democratico e suonano sinistramente come un avvertimento mafioso.

E la risposta di FICO è vibrante:


Risposta completa di Robert Fico

“Mi recherò a Mosca il 9 maggio per la grande festa della liberazione.

L’avvertimento della signora Kaja Kallas è una forma di ricatto o un segnale che sarò punito al mio ritorno da Mosca. Non lo so.

Ma so che l’anno è il 2025, non il 1939.

Le parole della signora Kallas confermano che abbiamo bisogno di una discussione seria all’interno dell’Unione Europea sull’essenza della democrazia.

Vediamo cosa è successo in Romania e in Francia con Giorgia e Le Pen durante le elezioni presidenziali, i vari Maidan organizzati dall’Occidente in Georgia e in Serbia, e l’abuso del diritto penale contro l’opposizione in Slovacchia.

Signora Kallas, vorrei informarla che sono il legittimo Primo Ministro della Slovacchia, un paese sovrano.

Nessuno può impormi dove posso o non posso viaggiare.

Andrò a Mosca per rendere omaggio ai migliaia di soldati dell’Armata Rossa che sono morti per liberare la Slovacchia, così come ai milioni di altre vittime del terrore nazista, proprio come ho reso omaggio alle vittime dello sbarco in Normandia, o a quelle del Pacifico, o ai piloti della RAF.

Permettetemi di ricordarvi che sono uno dei pochi leader dell’Unione Europea che parla costantemente della necessità di pace in Ucraina, e non sostiene la continuazione di questa guerra insensata.

Le parole della signora Kallas sono irrispettose e le respingo con forza.”

Il significato politico

Le parole di Fico sono una sfida frontale alla narrativa dominante dell’Unione Europea. A differenza di altri leader che si muovono nell’ombra o in modo ambiguo, il premier slovacco ha scelto una linea trasparente, coerente e apertamente filopacifista, criticando:

  • il ricorso alle pressioni e minacce diplomatiche interne alla UE;

  • la deriva antidemocratica e tecnocratica di Bruxelles;

  • la mancanza di pluralismo nelle relazioni estere, dove ogni apertura verso la Russia è criminalizzata;

  • l’ipocrisia nel celebrare la memoria della Seconda Guerra Mondiale “a targhe alterne”.

Fico si presenta così come una delle poche voci sovrane rimaste in Europa, nel solco di leader come Viktor Orbán, Giorgia Meloni (in parte) e Donald Trump, capaci di opporsi apertamente all’egemonia della “cupola oligarchica” di Bruxelles e della City di Londra.


Il segnale alla UE

Questa dichiarazione, insieme alla sua visita a Mosca, mina la narrazione bellicista dell’Unione Europea, che si propone come portavoce unica della democrazia ma spesso reprime ogni dissenso interno. È un gesto di rottura e di indipendenza, che riapre il dibattito sulla vera natura della sovranità nazionale in Europa.

Se la Slovacchia può affermare con forza il proprio diritto di agire come Stato indipendente, quanti altri Paesi europei seguiranno?

Un’ultima riflessione: chi comanda davvero in Europa?

Tra le tante nazioni che compongono l’Unione Europea, a emergere come “rappresentante” politica e simbolica dell’intero continente sembrerebbe essere oggi l’Estonia: un paese di appena 1,37 milioni di abitanti, con un PIL paragonabile a quello di una media città italiana come Firenze o Bologna. Eppure, è proprio da qui che partono alcune delle dichiarazioni più aggressive, le minacce diplomatiche e le linee di indirizzo più bellicose dell’UE.

Dobbiamo assicurarci che capiscano che alcune decisioni hanno un costo
— ha affermato, senza giri di parole, il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri estone, un funzionario di uno Stato-microscopico, oggi però con voce da gigante nei palazzi di Bruxelles.

Sorge spontanea una domanda che meriterebbe un dibattito pubblico serio e urgente:

Perché mai gli Stati baltici, e in particolare l’Estonia, sono oggi i portabandiera dell’escalation militare e godono di un’influenza tanto sproporzionata nel processo decisionale europeo?

In realtà, la risposta è tutt’altro che misteriosa. È evidente che, per ottenere un ruolo chiave in Europa o nella NATO, oggi il primo requisito non è la visione strategica o la rappresentatività democratica, bensì:

  • una russofobia militante e ostentata,

  • e l’appartenenza o la contiguità ai circoli globalisti transnazionali che, a prescindere dai governi eletti, dettano la linea comune sulle grandi questioni: guerra, economia, energia, società.

È così che vengono selezionati i vertici europei: dall’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri fino al Segretario Generale della NATO, passando per i Commissari della Commissione e la stessa Ursula von der Leyen. Tutti aderenti, più o meno apertamente, a un’agenda ideologica che non risponde ai cittadini europei, ma agli interessi delle élite tecnofinanziarie.

La voce della pace, della prudenza diplomatica, della sovranità nazionale — come quella di Fico — non trova spazio in questa architettura, a meno che non riesca a spezzarne le fondamenta.