dal Fatto Quotidiano del 16/01/2012 di
“Sì, ero io a comandare la nave. Procedevamo in modalità manuale. La manovra dell’inchino? L’avevamo prevista sin dalla partenza da Civitavecchia. Sì, era un omaggio al comandante Mario Terenzio Palombo e alla mamma del maitre. Non è stata la prima: l’avevo già eseguita tre o quattro volte, ma il 13 gennaio ho commesso un errore, avrei dovuto virare a destra, avrei dovuto ordinare al timoniere di farlo prima, ma quello scoglio non l’ho visto. E, comunque dopo, con la mia manovra, ho salvato centinaia, se non migliaia, di vite”. Il comandante Francesco Schettino arriva in tribunale intorno alle 11.30 e quando ne esce, dopo circa tre ore d’interrogatorio, è un uomo a pezzi. È accusato d’omicidio plurimo colposo, naufragio e abbandono di nave con minori a bordo. Dopo giorni d’isolamento – nei quali non ha letto i giornali, né visto la tv – quest’interrogatorio (che riportiamo in una sintesi non letterale) è il suo primo, reale impatto con la realtà. È lui il “mostro” di cui parla tutto il mondo. Schettino, difeso dall’avvocato Bruno Leporatti, è il capitano che tragicamente sbaglia manovra e abbandona nave e passeggeri, lasciandosi alle spalle 11 morti, 28 dispersi e una settantina di feriti. Da ieri non è più in carcere: il gip gli ha concesso gli arresti domiciliari. “Non capisco”, commenta il procuratore Francesco Verusio, che aveva chiesto la conferma del carcere.
Ma forse Schettino non è l’unico “mostro” di questa tragedia. Non soltanto perché ieri la procura ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di altri cinque ufficiali presenti a bordo. Ma proprio perché ammette: “Non è stata la prima volta”. È possibile che nessuno, all’interno di Costa Crociere, sapesse di questa sua abitudine? Un ufficiale – a dimostrazione che non si trattava di una novità, di un’improvvisazione, ma d’un gesto consapevole – ha ammesso di aver tracciato la rotta dell’inchino sin dal primo momento, già alla partenza da Civitavecchia, chiedendo a Schettino di prestare attenzione agli scogli. Schettino – che nega d’aver abbandonato la nave – aggiunge che in plancia di comando, oltre a lui, c’era l’ufficiale: Ciro Ambrosio, anch’egli indagato.
E ancora: cosa accade sulla Concordia dal momento dell’impatto in poi? Schettino – dinanzi al procuratore Verusio e alla gip Valeria Montesarchio – ammette di aver parlato al telefono sia con Palombo, prima dell’impatto, sia con la Costa Crociere, ma dopo lo scontro con lo scoglio. “Non ricordo se sono stato io a chiamare l’unità di crisi della Costa Crociere, o loro a chiamare me”, spiega agli inquirenti. Gli investigatori pensano che Schettino, prima dell’impatto, stesse parlando con Palombo e che quest’ultimo gli avesse raccomandato – sebbene fosse a Grosseto – di avvicinarsi, sì, ma a non più di 150 metri dalla costa. Poi la telefonata si sarebbe interrotta bruscamente. Di lì a poco la Concordia urta lo scoglio che l’affonderà. Poi partono le comunicazioni con la Costa. Ma perché il comandante aspetta un’ora e mezza prima di dare l’allarme? Le risposte di Schettino non convincono gli inquirenti. “Ho cominciato a capire l’entità del danno quando, dalla sala macchine, mi hanno avvertito che, su quattro compartimenti, due erano già pieni d’acqua. A quel punto la Concordia non era più governabile”.
Questo però non spiega l’assenza dell’allarme. “I livelli d’allarme sono due: l’allarme generale e l’abbandono. Ho dato l’allarme generale, facendo indossare i giubbetti, in modo da essere pronti per l’evacuazione”. Agli inquirenti non risulta, però, che Schettino abbia attivato il microfono per avvertire i passeggeri. Il tempo passa, quindi, ma l’allarme non arriva. Giunge la prima telefonata della Capitaneria di Porto, ma Schettino spiega ai colleghi di avere solo un guasto tecnico, chiede l’ausilio di alcuni rimorchiatori. “Mi riferivo al blackout – si difende – intendevo dire che la nave era priva di corrente, che non riuscivo a governarla, per questo ho chiesto dei rimorchiatori”. Un’altra risposta che non convince la procura. Schettino aggiunge di aver provato un tentativo disperato: far “incagliare” la nave, in modo da adagiarla verso la costa, per agevolarne l’evacuazione. I video girati dalla Guardia di Finanza mostrano la nave ancora perpendicolare: inizia a inclinarsi ben tre quarti d’ora dopo l’incidente. Perché Schettino era fuori dalla nave prima che l’evacuazione fosse terminata? “Mentre cercavo di sbloccare una scialuppa sono scivolato e ci sono caduto sopra”. Per quanto incredibile, questa è la versione del comandante, che spiega di non essere risalito a bordo perché “non era tecnicamente possibile”, considerata l’inclinazione della nave. “Non indossavo neanche il giubbetto e se non ce l’avevo è perché la mia vita, in quel momento, non era più importante: dovevo pensare solo quella degli altri”.
Tutto sembra smentirlo ma questa è la versione di Schettino. Una versione che non spiega, però, il ritardo nel dare l’allarme. E porta a chiedersi se, durante l’attesa, si sia consultato con i vertici della flotta oppure no: è questo il vero interrogativo dell’inchiesta. Schettino ieri ha comunque ammesso un errore, una distrazione, e gli inquirenti vogliono capire perché s’è distratto: alcuni testimoni hanno raccontato che sulla plancia di comando c’era anche una donna, non dell’equipaggio, e hanno chiesto di effettuare un test per verificare se il comandante fosse sotto l’effetto di droghe. Per l’alcol nessun test è più possibile, a cinque giorni di distanza, ma Schettino ha fornito il suo assenso al prelievo: “Fate pure. Non fumo, non bevo e non mi drogo”, ha detto, mentre gli inquirenti disponevano il sequestro della cassaforte sulla nave, per controllare se vi sono tracce di cocaina. È stata una distrazione: “Avrei dovuto dire al timoniere di virare prima”. Il timoniere eseguiva gli ordini. Non poteva virare di sua spontanea volontà. E quella era la rotta stabilita in partenza, tracciata da un altro ufficiale della Costa, sin dall’inizio. La compagnia ha scaricato il “mostro”, accusandolo di “gravissimi errori di giudizio” che hanno portato a “una tragedia”, ma quell’inchino era già avvenuto altre volte, con Schettino al comando.
Da Il Fatto Quotidiano del 18 gennaio 2012