Combattere in Siria: Dalla Tunisia al jihadismo

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Si calcola che 3.500 tunisini siano partiti per combattere in Siria al fianco di gruppi salafiti. Nella cittadina di Hergla, i familiari si ribellano a questa realtà.

Hergla, 28 giugno 2013, Nena News – fonte Nena News

“Dove sono i nostri figli?”, gridavano cinque famiglie tunisine per le strade della municipalità di Hergla lo scorso marzo, per poi scoprire che i giovani erano stati reclutati clandestinamente per andare a combattere in Siria. Non erano i primi e non sarebbero stati nemmeno gli ultimi. Si calcola che almeno 3.500, il 40% dei combattenti stranieri in Siria, siano tunisini che sono stati reclutati principalmente dai salafiti jihadisti del Fronte Al-Nusra.

“In seguito alla rivoluzione sono state prese le moschee di Hergla: Ennahdha (il partito islamista al potere, ndr) ne ha presa una e i salafiti l’altra. Esiste un accordo tra di loro – ci spiega Safa, una ragazza che faceva parte di un’associazione culturale della cittadina e che si è trovata costretta a porre fine alla sua attività a causa delle minacce ricevute – Nelle moschee della Tunisia arrivano sheikh da Qatar, Kuwait, Arabia Saudita”. E proprio il ministro degli Affari Religiosi, Noureddin Khadmi, ha ammesso l’anno scorso che i salafiti controllano 400 delle 5.000 moschee del Paese e che “la situazione é grave in 50 di esse”.

Mohamed, nome fittizio del padre di uno dei cinque ragazzi che sono partiti, ci spiega come avviene il reclutamento: “Iniziano nella moschea salafita e lì scelgono i giovani che andranno in un centro dove alcuni sheikh danno loro lezioni. Questo è grave perché non sappiamo che succeda lì. Sono loro che scelgono le proprie vittime: non tutti i giovani vanno in questi centri”. Enrico, un italiano residente a Hergla, spiega che “in tutti i villaggi in cui ci sono solo una caffetteria e una scuola, il salafismo prende piede molto rapidamente. È un problema di mancanza di servizi. A Hergla non c’é nulla”.

Nella cittadina negli ultimi mesi sono stati distrutti otto marabutti (mausolei della tradizione islamica sufi e patrimonio culturale del Paese), alcuni dei quali risalenti al XII secolo. Si calcola che siano 40 i santuari distrutti in tutto il Paese, in quanto considerati un’eresia dai salafiti.

“Arriva denaro, ma la sua origine rimane oscura. Si dice che provenga dal Qatar e dall’Arabia Saudita e che ogni jihadista riceva 3000 dinari – ci spiega un ex funzionario della municipalità di Hergla – I salafiti non lavorano, però vivono bene. Se il governo volesse, troverebbe delle prove, perché circolano molti soldi. Negli ultimi sei mesi hanno aperto un asilo nido, un supermercato, ristoranti e un negozio di vestiti”. E tutto questo in un Paese di poco più di 6.000 abitanti, aggiunge Safa, che afferma: “I sauditi danno il denaro. Sono contro Bashar, ma non perché sia un dittatore, a loro non importa nulla del popolo siriano”.

CAMPI IN LIBIA
“Il problema interessa tutta la Tunisia, però gli unici a ribellarsi sono stati gli abitanti di Hergla”, prosegue Mohamed. Il giorno in cui i loro figli sono scomparsi, le famiglie si sono organizzate per cercarli. Si sono recate al Ministero degli Interni, all’Assemblea Costituente, si sono rivolte ai media e infine hanno contattato i libici per trovare i loro figli prima che partissero per la Siria. “I tunisini sanno bene che se vai in Libia ad addestrarti, vai a Zaouia o a Derna. Il nostro governo non ha fatto nulla per trovare i cinque ragazzi. Sono i libici che li hanno aiutati e li hanno trovati in un campo di addestramento a Derna”, spiega Safa. Dopo che le famiglie hanno riportato a casa i loro cinque figli, “i tunisini hanno iniziato a nutrire la speranza di ritrovare i propri ragazzi”, dice Mohamed. La maggior parte dei tunisini, di fatto, non condivide il salafismo wahabita, considerandolo una corrente importata ed estranea alle proprie tradizioni. Anche numerosi imam si oppongono a questa tendenza estremista.
Tuttavia il problema persiste. Dopo una sola settimana dal ritorno dei ragazzi, altri due sono partiti da Hergla per la Siria e, alcune settimane dopo, un giovane salafita è morto in seguito a scontri con la polizia. “Loro pensano di andare a liberare la Siria da Bashar Al-Assad perché è un infedele, però non lo è. Io sono contro di lui perché reca danno al suo popolo e non deve restare al potere tutta la vita come un re”, continua Mohamed, che però aggiunge: “La guerra la fanno la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e l’Iran e a pagarne le conseguenze siano i siriani”.

Nel frattempo, il governo tunisino, che fino a poco tempo fa qualificava i salafiti come “nostri figli” e che non ha impedito attacchi a sindacalisti, militanti di sinistra e laici o eventi culturali, negli ultimi tempi ha alzato la voce, qualificando come “terrorista” il movimento di Ansar al-Sharia, diretto da Abou Ayadh. Per questo il governo non ha permesso loro di tenere il congresso previsto a Kairouan il 19 maggio scorso, provocando così scontri, il cui bilancio è stato di due morti, 18 feriti e 200 arresti. In questa situazione c’è chi teme che la questione del salafismo venga strumentalizzata per focalizzare il dibattito sulla religione e sulla sicurezza, invece che sui gravi problemi economici e sociali che continuano ad affliggere il Paese a due anni dalla rivoluzione. Nena News

*Traduzione di Michela Zaghi

Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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