Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel 2022 non è stato solo un atto di guerra economica, ma un test di sovranità per la Germania, che Berlino ha fallito. Il silenzio del governo tedesco di fronte a un attacco alle proprie infrastrutture rivela molto più delle dichiarazioni ufficiali. Questo articolo di Amuse X analizza come e perché la Germania abbia scelto l’acquiescenza, sacrificando i propri interessi sull’altare dell’alleanza atlantica:
L’esplosione che ha distrutto i gasdotti Nord Stream nel settembre 2022 non è stata solo un atto di guerra economica e geopolitica: è stata una prova di sovranità per la Germania, una prova che Berlino ha clamorosamente fallito. Il silenzio del governo tedesco dopo quello che è stato inequivocabilmente un attacco a infrastrutture critiche rivela più di qualsiasi dichiarazione del cancelliere Olaf Scholz. Nonostante le prove sempre più schiaccianti che indicano un’operazione filo-ucraina e le rivelazioni sul fatto che alcuni servizi segreti occidentali fossero almeno a conoscenza dell’attacco imminente, la Germania ha scelto non solo di soffocare il dibattito, ma anche di impedire ai propri legislatori di indagare a fondo. Perché? Perché la verità, se pienamente riconosciuta e affrontata pubblicamente, potrebbe fratturare l’unità della NATO, scuotere il sostegno europeo all’Ucraina e mettere a nudo la realtà scomoda di una Germania incapace – o non disposta – a difendere i propri interessi quando questi confliggono con gli obiettivi strategici dell’alleanza transatlantica.

Sin dall’inizio, il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è apparso chiaramente come un’azione deliberata. Le esplosioni erano sofisticate, eseguite in un modo che suggeriva il coinvolgimento di uno Stato o di attori da esso sostenuti. La reazione occidentale è stata prevedibile: le prime speculazioni hanno puntato il dito contro la Russia, nonostante l’evidente contraddizione logica – perché Mosca avrebbe dovuto distruggere la propria infrastruttura da miliardi di dollari quando avrebbe potuto semplicemente chiudere i rubinetti? Con il progredire delle indagini, questa narrativa è crollata sotto il peso della propria assurdità. Al contrario, fughe di notizie, inchieste giornalistiche e analisi forensi hanno delineato un quadro ben diverso: un’operazione riconducibile a un gruppo con legami con l’Ucraina, probabilmente condotta con il tacito consenso – o almeno la preconoscenza – di potenze allineate alla NATO.
Ciò che rende straordinaria la reazione della Germania è proprio la sua assenza. Piuttosto che trattare l’attacco come un’aggressione diretta alla sua infrastruttura energetica, Berlino ha distolto lo sguardo. Quando è emerso che uno yacht, presumibilmente noleggiato da individui con legami ucraini, era stato probabilmente utilizzato nell’operazione, il governo tedesco non ha preteso spiegazioni. Quando è trapelato che l’intelligence americana era a conoscenza di un piano ucraino per sabotare il gasdotto, la Germania non ha esercitato alcuna pressione sugli alleati per ottenere chiarimenti. E quando i parlamentari tedeschi hanno cercato di sollevare la questione, non si sono scontrati con la trasparenza, ma con un muro di ostruzionismo.
Un momento emblematico si è verificato quando i deputati del Bundestag hanno chiesto aggiornamenti ufficiali sulle indagini. Invece di impegnarsi a fare luce sulla vicenda, il governo ha invocato “considerazioni di sicurezza nazionale”, segnalando di fatto che qualsiasi informazione in suo possesso era troppo politicamente sensibile per essere resa pubblica. Non è stato un episodio isolato: ogni tentativo di portare il caso Nord Stream al centro del dibattito è stato sistematicamente soffocato. Questo non suggerisce ignoranza, ma una scelta deliberata: il silenzio era meno pericoloso delle conseguenze che sarebbero derivate dall’esposizione di una verità scomoda.
Le implicazioni di questo silenzio sono profonde. Se emergesse in modo definitivo che l’attacco è stato compiuto da un attore allineato alla NATO o dall’Ucraina – un paese che la Germania sostiene con ingenti aiuti militari e finanziari – Berlino sarebbe costretta a reagire. Dovrebbe chiamare un alleato a risponderne o rivelarsi una nazione talmente soggiogata da non poter nemmeno difendere sé stessa. Entrambe le opzioni avrebbero conseguenze disastrose: un conflitto diplomatico con Washington e la NATO sarebbe un terremoto politico; ma ignorare la questione, reprimere il dibattito, fingere che l’attacco sia un mistero irrisolvibile significa ammettere, di fatto, la subordinazione della Germania all’alleanza occidentale.
L’accettazione tedesca di difficoltà economiche in nome della disciplina geopolitica non è una novità. Il distacco dalla Russia come fornitore energetico a favore di alternative più costose non è stato un atto isolato, ma il risultato della posizione strategica della Germania nel secondo dopoguerra, in cui le esigenze economiche vengono spesso sacrificate per l’allineamento politico all’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti. Il sabotaggio del Nord Stream ha accelerato questo processo: con i gasdotti fuori uso, Berlino è stata costretta a incrementare la dipendenza dal gas naturale liquefatto americano e da altre fonti energetiche favorite dai suoi partner NATO. Il contraccolpo economico è stato pesante: il settore manifatturiero tedesco, storicamente dipendente dal gas russo a basso costo, ha subito un duro colpo mentre i prezzi dell’energia schizzavano alle stelle. Eppure, invece di considerare la distruzione del Nord Stream come un atto che meritava un risarcimento, Berlino ha semplicemente incassato il colpo senza protestare.
Questo episodio solleva una questione più ampia: la Germania è ancora una nazione veramente sovrana? Giuridicamente, lo è. Ma il comportamento del suo governo dopo il sabotaggio del Nord Stream suggerisce che Berlino opera entro limiti molto più rigidi di quelli imposti dalle normali dinamiche di alleanza. Una nazione sovrana, di fronte a un attacco alla propria infrastruttura, indagherebbe senza remore, chiederebbe conto ai responsabili e agirebbe per tutelare i propri interessi. La Germania non ha fatto nulla di tutto ciò. Ha preferito il silenzio e l’acquiescenza, privilegiando la coesione dell’alleanza occidentale rispetto alla propria integrità nazionale.
Ma il problema non è solo il Nord Stream. Si tratta di un modello di comportamento che ha definito il ruolo della Germania nel mondo per decenni. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Berlino si è inserita in istituzioni multilaterali che ne limitano la capacità di azione indipendente. La sua politica militare è dettata dalla NATO, la sua diplomazia è vincolata dall’Unione Europea, le sue operazioni di intelligence dipendono in larga parte dalla collaborazione con gli Stati Uniti. Questo assetto non è casuale, ma il risultato di una precisa strategia: la Germania doveva essere un gigante economico, ma non una potenza militare o strategicamente indipendente.
Tuttavia, il caso Nord Stream mostra il costo di questo compromesso. Quando la sovranità è subordinata alla gestione dell’alleanza, un Paese perde la capacità di difendersi persino di fronte a un’aggressione diretta. Il rifiuto del governo tedesco di trattare il sabotaggio del gasdotto come un atto che richiede una risposta concreta dimostra quanto questi vincoli siano profondi. La priorità di Berlino non è mai stata scoprire la verità, ma evitare le conseguenze che ne deriverebbero.
Finora, questa strategia ha funzionato. L’alleanza occidentale resta compatta, il sostegno all’Ucraina continua e la Germania ha evitato uno scandalo potenzialmente esplosivo. Ma il prezzo di questo silenzio è alto: ai cittadini tedeschi viene chiesto di accettare una versione incompleta, se non addirittura fuorviante, dei fatti. E più a lungo Berlino reprime il dibattito, più conferma il sospetto che non sia un attore realmente indipendente sulla scena globale, ma una nazione che opera entro vincoli che non osa nemmeno nominare.
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