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Cina: quale punto di partenza per una maggiore libertà religiosa in Cina?

by Patrizio Ricci
20 Maggio 2020
Reading Time: 3min read
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Cina: quale punto di partenza per una maggiore libertà religiosa in Cina?
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Una delle aree in cui la nuova politica di Pechino è particolarmente acuta è la religione. In Cina sono presenti   cattolici , protestanti , evangelici , e un piccolo numero di cristiani ortodossi. Le comunità cristiane si sono molto diffuse negli 70” ed oggi i fedeli sono più di 100 milioni. Ciononostante oggi nel paese le religioni abramitiche stanno passando anni di oggettiva difficoltà.

Il governo cinese è ossessionato dal fatto che le religioni possano essere  veicoli tramite i quali vengano introdotte credenze contrarie alla cultura cinese ed al comunismo. I funzionari cinesi sostengono che il loro obiettivo principale sia una leggera “sinizzazione”, in modo che le influenze straniere all’interno del paese diventino più compatibili con la cultura cinese, ma in realtà questo processo in molti casi si è spinto oltre ( come ad esempio nella città cinese di Guangzhou, dove l’amministrazione comunale eroga ricompense in denaro per chi denuncia appartenenti alla chiesa ‘illegale’ e non patriottica).

Precisamente, il controllo statale sulle attività religiose si è fatto più stringente da quando governa il presidente Xi Jinping che è al potere da sei anni. Questi anni passeranno ai libri di storia come un periodo di totale “ripristino dell’ordine” in tutte le aree: dalla lotta alla corruzione e dal declino della morale al controllo degli stranieri che soggiornano nel paese. Tuttavia, spesso questo sistema è sempre più simile ad una vera e propria persecuzione , toccando il normale e pacifico esercizio della fede.
Si potrebbe obiettare che diffidenza cinese ha avuto motivi oggettivi nella storia (e non per ultimo il nuovo clima di scontro in atto) ma ciò che sta accadendo attualmente non può più essere giustificato in questo modo: sarebbe come dire che per il problema della criminalità in uno stato si può risolvere con il fare arresti di massa, colpendo anche gli innocenti.

In realtà l’articolo 36 della Costituzione della RPC garantisce ai cittadini la libertà di religione, ma chiarisce che “gli affari religiosi dovrebbero essere liberi dal controllo straniero”. Pertanto, le attività delle organizzazioni religiose straniere e dei sacerdoti stranieri sono ufficialmente vietate in Cina. Per questo motivo, i sacerdoti cristiani operano sotto l’egida della Chiesa patriottica cinese e come altre istituzioni religiose ufficiali, sono completamente sotto il controllo dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi della RPC, creata negli anni ’50.

L’unica religione che ha una discreta libertà è il buddismo. Tuttavia, anche in questo caso, le comunità buddiste sono state organicamente integrate nella struttura verticale di potere statale. In ogni monastero, la bandiera con la stella cinese è appesa in un posto di rilievo, e i sacerdoti partecipano alle elezioni dei consigli consultivi politici del popolo e si uniscono al partito. Anche il massimo responsabile buddista Shaolin Shi Yongxin è stato più volte eletto deputato dell’Assemblea cinese dei rappresentanti del popolo (il parlamento del paese).

A mio avviso l’unica soluzione a questo problema è la preghiera, la reciproca conoscenza, l’approfondimento culturale ed il miglioramento dei rapporti con lo stato cinese. Dubito fortemente che stimolare un sentimento anti-cinese diffuso possa essere efficace. In questo senso non credo che posizioni pregiudiziali possano migliorare la situazione. Specialmente quando queste scaturiscono da una base di partenza che non fa minimamente autocritica su sé stessa e che prende come buono l’ordo-liberismo occidentale. Per contro, è assolutamente vero che ai cristiani è chiesto anche di disobbedire al loro governo terreno e allo stato di diritto quando vengono redatte leggi o regolamenti contrari alle Scritture.

Ma da questo e auspicare l’aiuto di Trump o il gemellaggio con i musulmani uiguri, ce ne vuole. Certamente non è il caso dei cattolici cinesi ma le critiche alle decisione del Papa di ‘cedimento’ esistono (come pure il plauso incondizionato alle manifestazioni di Hong Kong): bene, non è difficile immaginare come queste posizioni (non marginali nel mondo cattolico),  non che siano lette positivamente da parte delle autorità cinesi. D’altra parte direi che è veramente troppo presto per vedere risultati della nuova politica vaticana, anche considerando le dinamiche cinesi.

Sono fiducioso che il governo cinese muterà l’approccio con le comunità locali cristiane, visto che il patriottismo per il proprio paese non è assolutamente in contrasto con la fede: la fede valorizza ogni aspetto del reale e non è un pericolo per gli stati ma un elemento di coesione interna. E’ così e perciò ho fiducia che lo capiranno anche in Cina. A patto naturalmente che qui non prevalga una mentalità che non avvalori le fobie dei vertici cinesi e vanifichi ogni sforzo di riconciliazione.

Per ora leggendo Bloomberg del 12 maggio queste le prospettive sul fronte geopolitico “La guerra fredda ha mostrato il valore – e le insidie ​​- dell’azione segreta”:

La concorrenza degli Stati Uniti con la Cina (e, in misura minore, la Russia) si sta intensificando e dilagando geograficamente. Tra qualche anno, Washington potrebbe ritrovarsi alla disperata ricerca di opzioni segrete per impedire ad alcuni importanti paesi dell’Africa sub-sahariana, del Medio Oriente o del Sud-est asiatico di allinearsi con Pechino.

In questo clima le chiese sono su un territorio minato, occorre quindi agire con fede e prudenza. Solo la fede potrà cambiare realmente i paradigmi attuali da cui di per sé scaturiscono i conflitti, le rivalità, aumentando le fobie, le chiusure.

@vietatoparlare

Tags: CINAPatrizio Ricci

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Associato alla Freelance International Press (FLIP), Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Cultura Cattolica, Samizdatonline, Coofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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