ONU, la nuova regia è tedesca (e ideologica): Baerbock in cattedra, la diplomazia in esilio
L’elezione di Annalena Baerbock, ex ministra degli Esteri tedesca, a Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, avvenuta il 2 giugno 2025 con 167 voti, rappresenta un ulteriore passo verso la consacrazione di una linea politica apertamente ostile alla Russia e, in misura minore, alla Cina, in un’organizzazione che dovrebbe incarnare i principi di neutralità e multilateralismo. La nomina di Baerbock, figura nota per la sua russofobia e per un approccio diplomatico spesso criticato come dilettantesco, non solo mina la credibilità dell’ONU, ma evidenzia il progressivo svuotamento del suo ruolo come piattaforma di dialogo globale. Lungi dall’essere un’elezione orientata al merito, questa scelta sembra rispondere a logiche di potere occidentale, con l’Europa che si assicura un ruolo di prestigio senza badare alle implicazioni per l’equilibrio internazionale.
Teatro ONU: l’Assemblea diventa pulpito occidentale, con Baerbock regista
Baerbock, 44 anni, esponente di spicco dei Verdi tedeschi, si è distinta durante il suo mandato come ministra degli Esteri (2021-2025) per posizioni fortemente anti-russe, spesso espresse con toni che hanno sacrificato la diplomazia in favore di una retorica ideologica. La sua elezione non è passata inosservata: la Russia, insieme ad alcuni Paesi vicini al Cremlino, ha chiesto un voto segreto, una procedura rara per una candidatura unica, denunciando le sue posizioni pregiudiziali. Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha attaccato duramente la nomina, definendo “strano, 80 anni dopo la vittoria della Seconda Guerra Mondiale, vedere la nipote di un nazista” alla guida dell’Assemblea Generale, un riferimento al nonno di Baerbock, ufficiale della Wehrmacht, usato strumentalmente per screditarla. Sebbene tali accuse possano essere considerate un attacco politico, esse riflettono un malcontento reale verso una figura percepita come divisiva.
Le critiche, tuttavia, non si limitano a Mosca. In Germania, la scelta di Baerbock al posto della diplomatica di lungo corso Helga Schmid ha scatenato polemiche. Christoph Heusgen, ex presidente della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, ha definito la decisione “un’impudenza”, accusando il governo tedesco di sostituire “la migliore e più esperta diplomatica tedesca con un modello di fine serie”. Anche Sigmar Gabriel, ex ministro degli Esteri, ha espresso perplessità, sottolineando come Baerbock abbia molto da imparare da Schmid in termini di competenza e esperienza internazionale. Il portavoce del Ministero degli Esteri russo, in un post su X, ha rincarato la dose, accusando Baerbock di “incompetenza, pregiudizio e mancanza di maturità diplomatica”. Questi giudizi, provenienti da prospettive diverse, convergono su un punto: Baerbock è una figura polarizzante, lontana dall’immagine di mediatrice imparziale che il ruolo di Presidente dell’Assemblea Generale richiederebbe.
ONU in ostaggio: Baerbock alla guida dell’Assemblea Generale, la neutralità è morta
L’elezione di Baerbock si inserisce in un contesto in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, organo che riunisce tutti i 193 Stati membri, appare sempre più svuotata di reale influenza. Le sue risoluzioni, prive di forza vincolante, sono spesso ridotte a mere dichiarazioni di intenti, mentre il vero potere decisionale resta confinato al Consiglio di Sicurezza, paralizzato dai veti delle grandi potenze. In questo scenario, l’Assemblea si sta trasformando in un palcoscenico per la propaganda occidentale, dove le agende di Washington, Bruxelles e Berlino dettano il ritmo, mentre le voci dei Paesi del Sud globale sono marginalizzate.
Baerbock stessa ha dichiarato di voler essere una “costruttrice di ponti” e una “mediatrice onesta”, ma le sue posizioni passate – come il sostegno a politiche sanzionatorie contro la Russia e la difesa di azioni militari israeliane a Gaza, criticate come violazioni del diritto internazionale – sollevano dubbi sulla sua capacità di incarnare tale ruolo. Un utente su X ha definito la sua elezione “un pugno in faccia alla Palestina”, accusandola di avallare il “sionismo” e di ignorare il principio di proporzionalità in guerra. Queste critiche, per quanto aspre, riflettono una percezione diffusa: Baerbock non è vista come una figura neutrale, ma come un’esponente di un blocco occidentale che utilizza l’ONU per consolidare la propria egemonia.
La russofobia va in scena all’ONU: Baerbock eletta a pilotare l’irrilevanza
La nomina di Baerbock non è un episodio isolato, ma un sintomo del degrado dell’architettura decisionale internazionale. L’ONU, nata per promuovere la cooperazione globale, si trova oggi in una crisi esistenziale, come la stessa Baerbock ha riconosciuto, parlando di “sfide esistenziali” e della necessità di riforme. Tuttavia, la sua visione sembra limitarsi a un rafforzamento del multilateralismo in chiave occidentale, ignorando le tensioni con potenze come Russia e Cina, che vedono nell’ONU uno strumento sempre più asservito agli interessi di pochi. L’uscita degli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, da organismi come l’OMS, l’Accordo di Parigi e l’UNRWA, sottolinea ulteriormente il disimpegno delle grandi potenze e il progressivo svuotamento dell’organizzazione.
In questo contesto, la Presidenza di Baerbock rischia di essere poco più che un esercizio simbolico. L’Assemblea Generale, con i suoi riti di rotazione regionale e le sue decisioni preconfezionate, non è più un luogo di vero dialogo, ma un’arena dove si recitano copioni scritti altrove. La domanda non è quale politica Baerbock perseguirà – il suo approccio anti-russo e filo-occidentale è prevedibile – ma se l’ONU, con figure come lei al timone, abbia ancora spazio per una politica autentica, capace di rappresentare gli interessi di tutti i 193 Stati membri. La risposta, alla luce di questa elezione, appare sempre più negativa.
In conclusione, l’ascesa di Annalena Baerbock alla Presidenza dell’Assemblea Generale non segna un rinnovamento, ma un’ulteriore erosione della credibilità dell’ONU. La sua nomina, accolta con critiche da più fronti – da Heusgen a Gabriel, dalla Russia a voci indipendenti sui social – evidenzia un’organizzazione sempre più lontana dai suoi ideali fondativi. Con Baerbock al timone, l’ONU rischia di consolidarsi come uno strumento di un ordine internazionale dominato dall’Occidente, mentre il multilateralismo, già fragile, si avvita in una crisi senza ritorno. La vera sfida non è costruire ponti, come Baerbock promette, ma riconoscere che molti di questi ponti sono già crollati.