Afghanistan – Anche una cattiva stabilità si rivelerà migliore del caos che fu …

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La domanda perchè i paesi occidentali hanno perso in Afghanistan si risponde: “per gli orrendi talebani”. Ma non un solo accenno ad una costruzione ed un approccio del tutto sbagliato che si continua costantemente a replicare moltiplicando instabilità, morte, sofferenza e distruzione in tutto il mondo.

Molti i commenti sulla fuga americana dall’Afghanistan, come avete potuto sentire sono commenti critici per la modalità nella smobilitazione delle forze statunitensi ed anche in merito all’inopportunità.  Ebbene, questa ultima questione, a mio avviso, soffre della narrativa propagata dall’informazione mainstream in merito  alla presenza statunitense in Afghanistan.

folla che attende di entrare nell'aeroporto di Kabul
folla che attende di entrare nell’aeroporto di Kabul

Cosa voglio dire? Il concetto è molto semplice e l’ha espresso chiaramente il presidente russo Putin nella conferenza congiunta che ha concluso la visita a Mosca della cancelliera Merkel:

«Non si può imporre il proprio stile di vita su altri popoli. D’ora in poi lo standard sarà il rispetto delle differenze, perché non si può esportare la democrazia. Ora la priorità è evitare il collasso dello stato afghano».

Questo è un nodo cruciale ma affrontarlo equivarrebbe a prospettare e presentare la necessità di un cambiamento. Per questo, i media non ne parlano. La cosa è fuori questione, semplicemente non se ne parla.

E’ evidente che l”asset militare – per quanto grande possa essere temporaneamente necessario in certi casi – usato per l’esportazione della ‘democrazia’ porta caos e distruzione e non porta il miglioramento della vita dei cittadini nella maggior parte del paese.

Detto più chiaramente: le truppe americane in 20 anni hanno ucciso per effetti collaterali dei loro attacchi 30.000 civili nel paese, ne hanno feriti 60.000 e trasformato 11 milioni di afgani in profughi(su circa 38 milioni di afgani che è la popolazione complessiva).  Inoltre, gli USA solo nel 2019 hanno inflitto 6.825 attacchi di droni e sganciato 7.423 bombe, 20 bombe al giorno.

Poi c’è la questione oppio. Gli Stati Uniti hanno lucrato a lungo con l’esportazione di oppio dal paese. Dire che gli USA non c’entravano nulla è ridicolo: le coltivazioni erano tutte dislocate nelle regioni di più forte presenza statunitense e Nato e il mezzo privilegiato per far uscire la droga del paese è stato il mezzo aereo. Ora gli unici aerei che uscivano dal paese erano gli aerei Nato.

Lo smistamento della droga quindi avveniva nella più grande base americana in Europa che si trova in Kosovo. Delle partite di droga il 40% andava alle case farmaceutiche e il 60% alla malavita organizzata che provvedeva a smistarla nei paesi occidentali.

Su questo argomento potete sentire la video testimonianza del documentarista Franco Fracassi – vedi qui – che è stato più volte in Afghanistan per approfondire le sue indagini giornalistiche.

In definitiva, alla luce di quanto ben evidenziato da Franco Fracassi (se non avete molto tempo vedete il video dal minuto 19 circa) allo stato attuale – per quando questo vi possa suonare ‘strano’ –  la situazione , in realtà, è più suscettibile a miglioramenti rispetto a quanto era offerto alla società civile durante la presenza statunitense.

E’ evidente che nella prima fase molto probabilmente ci sarà una resa dei conti – come purtroppo avviene in ogni conflitto anche occidentale – , ma successivamente Cina, Russia, Iran e Pakistan se collaboreranno, potranno frenare il radicalismo dei talebani che hanno annunciato aperture e cambiamenti significativi in tema di diritti umani in Afghanistan.

In questo senso si sta muovendo la Russia e specialmente Pechino che ha più merce di scambio da poter mettere sul tavolo delle trattative con i talebani.

Quindi i talebani avranno rapporti principalmente con Mosca, Pechino e alcune altre potenze regionali. Questo è visibile a Kabul: l’ambasciata russa a Kabul non è chiusa ed è sotto la protezione delle nuove autorità, lo stesso vale per la cosiddetta l’ambasciata cinese.

Pechino, tramite, si esprime così: “Si potrà discutere se la Cina stabilirà nuove relazioni diplomatiche con l’ Afghanistan solo dopo che si sarà formato un governo tollerante e aperto, che rappresenti sufficientemente gli interessi del proprio Paese”. La Cina, nello stesso tempo, ha aggiunto che all’Afghanistan sarà fornita tutta l’assistenza possibile non appena la situazione si sarà stabilizzata.

La condizione quindi è che il nuovo regime chiuda con eventuali forze terroristiche.

L’agenzia di stampa russa RIA, in un articolo di Dmitry Kosyrev, riporta che “Pertanto la condizione per un futuro accordo è più che chiara: riconoscimento e cooperazione non solo verbale, ma con la condizione del chiaro rifiuto dei nuovi padroni del Paese a sostenere i jihadisti e assassini uiguri che agiscono al confine con l’Asia centrale, fuori dai confini dello Xinjiang, che non hanno abbandonato in alcun modo i loro piani terroristici. Nel caso della Russia, la richiesta è la stessa, vengono richiesto l’abbandono del supporto ai terroristi designati ed altri gruppi legati all’Uzbekistan e agli altri della stessa galassia”

(…) Cioè, ora anche una cattiva stabilità si rivelerà migliore del caos che fu. A proposito, i talebani hanno negoziato su questo non solo a Mosca, ma anche a Tianjin [città portuale nel Nord-est della Cina] il 28 luglio. Il ministro degli Esteri Wang Yi ha parlato, a quanto pare con il capo della squadra talebana, Abdul Ghani Baradar. È chiaro che il commercio sul formato delle future relazioni con l’ Afghanistan in questi incontri è già iniziato: bene, non interferiremo con voi nella vostra marcia verso Kabul e altre città, ma quale politica futura riceveremo da voi in cambio? Ebbene, almeno a Tianjin, i talebani hanno già detto che non incoraggeranno il terrorismo.

È chiaro che c’è ancora molta strada da fare per raggiungere accordi chiari. Ma è ancora più chiaro chi non parteciperà in alcun modo a questi accordi. Il fatto è che martedì scorso il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha chiamato Mosca e Pechino e ha condotto conversazioni, principalmente su un problema immediato e scottante, sui voli [di evacuazione] e sui dettagli tecnici ad essi associati.

In Russia, gli stessi dettagli colorati di queste conversazioni non sono ancora trapelati ai media come è successo in Cina. Apparentemente, l’essenza della posizione cinese è questa: non c’è niente di cui parlare con gli americani sull’Afghanistan. Perché probabilmente sarebbero felici se Pechino dovesse subire la rianimazione dei terroristi uiguri. Questo, ovviamente, se questi saranno amici dei vittoriosi talebani. E in tutti i negoziati immaginabili “sul problema afghano” i talebani saranno gentilmente spinti verso questo. E se Mosca avrà lo stesso problema, in generale tutto andrà bene. Per il resto gli Stati non hanno più interessi in questa regione, tutti [i paesi occidentali impegnati nell’area per 20 anni] hanno perso.

Ecco un parere strettamente privato di un esperto di Pechino: la Cina non ha alcun obbligo di aiutare l’America in questa regione in alcun modo. Gli Stati Uniti stanno costruendo relazioni con la Cina (e con la Russia) secondo la formula “competi dove necessario, coopera dove possibile e [incentiva la] faida se necessario”. Cioè, intendono cooperare solo dove conviene loro, ma la Cina non accetterà mai tale logica. L’intero ambito della cooperazione dovrebbe essere vantaggioso per entrambe le parti. E se con una mano incoraggeranno la jihad ai nostri confini, allora perché dovremmo sostenere l’altra mano in altre questioni?

La catastrofe afgana rovinerà la politica americana nelle direzioni più inaspettate per molto tempo a venire, e nell’Asia meridionale e centrale, così come in Medio Oriente, questo accadrà inevitabilmente e rapidamente. E da nessuna parte tutto ciò sarà più evidente che nella complessa storia delle relazioni con il Pakistan – un tempo il più fedele alleato di Washington nell’intera regione”.

Intanto i nostri media  approfittano dell’occasione – nel consueto  taglio umanitario  – per sostituire la pandemia con qualcos’altro che distolga la nostra attenzione. Ovviamente questo avviene proponendo solo alcuni aspetti di cosa sta succedendo in Afghanistan e più in generale una prospettiva infausta ed inesorabilmente incivile.

Dall’enfasi messa sembra che sarebbero contenti in altri 20 anni di guerra inconcludente e di sfruttamento della droga da parte occidentale.

Per quando riguarda il vecchio establishment era improponibile. Per cui da qui  la necessità di parlare  in termini mostruosi dei  talebani, ma dall’altro lato c’è la totale incapacità del regime di Ghani, che è stato completamente imposto dagli americani per perseguire i propri interessi nel paese. Sulla selvaggia corruzione sia dello stesso Ghani che del suo intero entourage credo che  sia stata emblematica la sua fuga con ben 160 milioni di dollari rubati durante la sua amministrazione.

Gli errori, l’illegalità, la violenza  e la corruzione  si nascondono sottolineando le epurazioni e l’altrui violenza barbarica.

L’Afghanistan e ciò che sta accadendo in esso sono diventati, in un certo senso, un nuovo argomento informativo di punta, che consente di cambiare l’agenda dal covid che ha piuttosto stancato tutti e dalla lotta contro di il virus. Questo è solo momentaneo, poi si ricomincerà con il virus. E’ sempre in questo modo che si preparano nuove guerre, sottraendo le domande e focalizzando tutto sull’umanitarismo. Anche la campagna pro vax è fatta in questo modo. Quindi o ci facciamo scaltri oppure continueremo a giudicare sempre aneddoticaménte, attraverso ciò che ci fanno vedere.

Il significato pratico delle attività sotto la bandiera generale della “pandemia” risiede nella dipendenza psicologica e credo anche per l’Afghanistan, gli episodi drammaticamente reali della gente sono offerti esclusivamente per questo. In un certo senso, queste sono una sorta di “finestre Overton”, per preparare l’opinione pubblica alla soluzione che sarà offerta… e la soluzione che sarà offerta non sarà la compassione.

@vietatoparlare

 

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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