Trump e Ramaphosa a confronto: terre, violenze e politica in Sudafrica
Il 21 maggio 2025 alla Casa Bianca si è tenuto un incontro a dir poco turbolento tra il presidente statunitense Donald Trump e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa. Quello che doveva essere un colloquio bilaterale sui rapporti commerciali e strategici si è trasformato in uno scontro frontale sul tema delle terre e della sicurezza rurale in Sudafrica, con Trump che ha accusato il governo di Pretoria di permettere “persecuzioni” ai danni dei contadini bianchi di etnia afrikaner.
Ramaphosa si è trovato costretto a difendere il suo governo da accuse di “genocidio bianco” cercando di riportare il confronto su binari diplomatici.
In questo approfondimento analizziamo la veridicità di quanto avvenuto nell’incontro e affrontiamo i temi al centro del dibattito: la nuova legge sudafricana sull’esproprio senza compenso e le sue implicazioni, il ruolo del partito radicale Economic Freedom Fighters (EFF) di Julius Malema e le posizioni del governo dell’African National Congress (ANC) rispetto alle rivendicazioni dell’elettorato nero, fino ai dati aggiornati su violenze e omicidi nelle campagne sudafricane, per capire se esista davvero una persecuzione sistematica a sfondo razziale.
Uno scontro diplomatico sul “genocidio bianco”
Dopo un avvio cordiale, l’incontro nello Studio Ovale ha presto assunto toni tesi e inusuali. Donald Trump ha ribadito le sue contestazioni sul trattamento della minoranza bianca in Sudafrica, dichiarando che “cose brutte stanno succedendo” nel paese africano. Ha menzionato che gli Stati Uniti di recente hanno concesso asilo ad alcuni sudafricani afrikaner che si sentivano minacciati, definendoli “persone perseguitate” e chiedendo a Ramaphosa di “dare spiegazioni” in merito. Il presidente americano ha quindi portato la discussione su un presunto “genocidio” dei boeri (i contadini di origine europea), affermando che “le loro terre vengono espropriate, [essi] vengono uccisi e il governo non fa nulla”
Trump muestra vídeos de los líderes comunistas sudafricanos cantando que “maten a granjeros blancos” en el Despacho Oval justo delante del presidente de Sudáfrica, después de que éste intentara negar que en su país se estaba produciendo un genocidio:pic.twitter.com/OcsPcLxGgq
— Emmanuel Rincón (@EmmaRincon) May 21, 2025
Per sostenere queste accuse, Trump ha orchestrato una vera e propria “imboscata” mediatica: ha fatto abbassare le luci dello Studio Ovale e ha proiettato un lungo video-documentario con immagini di violenze e omicidi di agricoltori bianchi. In una sequenza mostrava il leader dell’opposizione radicale Julius Malema intonare il coro “Kill the Boer” (“uccidi il contadino bianco”), un canto risalente all’era dell’apartheid. Un altro spezzone mostrava un campo pieno di croci bianche – che Trump ha presentato come il cimitero simbolico delle vittime afrikaner – accompagnato da articoli di giornale dai titoli allarmanti enfatizzati ad alta voce: “morte, morte, morte, orribile morte”.
Il presidente statunitense, visibilmente polemico, ha anche sventolato davanti ai media presenti alcuni ritagli di articoli su efferati delitti ai danni di agricoltori, rimproverando la stampa: “Siete tutti degli idioti, perché non vi occupate di queste violenze”. Cyril Ramaphosa, colto di sorpresa, ha atteso la fine del video per poi replicare con fermezza che “quello che avete visto… non è la politica del governo” sudafricano. Ha spiegato che le posizioni estreme, come i richiami violenti di Malema, appartengono a una piccola minoranza e non riflettono in alcun modo l’orientamento ufficiale dell’ANC al potere.
“Abbiamo una democrazia multipartitica in Sudafrica, che permette alle persone di esprimersi… [ma] la nostra linea di governo è completamente contraria a ciò che [Malema] dice”, ha sottolineato Ramaphosa, definendo l’EFF “un piccolo partito minoritario” tollerato in virtù della costituzione. Quando Trump ha incalzato chiedendo perché Malema non fosse in prigione per quei cori, Ramaphosa ha dovuto spiegare che in Sudafrica vige la libertà di espressione e che, sebbene quelle parole siano offensive, i tribunali hanno stabilito che il canto in questione – un coro storico della lotta anti-apartheid – non costituisce reato in quel contesto. In ogni caso, ha aggiunto il presidente sudafricano, “condanno il fatto stesso di cantare quella canzone”, prendendo le distanze dalle retoriche di odio razziale.
Tuttavia, Trump ha continuato nella sua denuncia mostrando altre immagini crude, tra cui foto di fattorie insanguinate e un sito con centinaia di croci bianche che egli ha descritto come “un luogo di sepoltura” di agricoltori massacrati. Ramaphosa, dubbioso, ha chiesto dettagli: “Le hanno detto dove si trova questo? Vorrei saperlo, perché non ho mai visto questi video”. Secondo i media sudafricani, infatti, quel filmato circolava sui social già da anni ed era probabilmente relativo a un memoriale privato, non a una fossa comune ufficiale.
Alla fine, Ramaphosa ha provato a stemperare la tensione proponendo di discutere queste questioni a porte chiuse, lontano dai giornalisti. Di fronte all’ostinazione di Trump, che insisteva sulle sue tesi, il presidente sudafricano ha persino azzardato un’ironia tagliente: “Mi dispiace di non avere un aereo da regalarle” ha detto a Trump, alludendo sarcasticamente al fatto che di recente un lussuoso Boeing era stato regalato al presidente USA dagli emiri del Qatar (evento molto contestato in patria). La battuta ha sorpreso i presenti, ma Ramaphosa ha subito ricomposto il tono con una chiusura conciliativa: ha ribadito che gli Stati Uniti restano un partner importante per il Sudafrica e che le preoccupazioni sollevate da Trump “sono questioni di cui siamo disposti a parlare” in modo costruttivo.
L’incontro si è concluso dopo circa tre ore, con Ramaphosa che ha dichiarato brevemente ai media che il meeting era andato “molto bene” – nonostante l’evidente scontro – prima di lasciare la Casa . Dietro le quinte, i suoi collaboratori hanno definito quella di Trump una “messa in scena orchestrata per le telecamere”, sottolineando che il vero dialogo bilaterale è avvenuto a porte chiuse lontano dai riflettori. Resta il fatto che l’episodio ha avuto un forte eco mediatico in Sudafrica, dove molti hanno rivissuto con apprensione le immagini e la narrazione di Trump.
Per capire il contesto delle accuse lanciate dal presidente USA, occorre analizzare i temi sollevati: la controversa legge sull’esproprio agrario appena varata in Sudafrica, le tensioni razziali e politiche interne legate alla terra e i dati reali sugli attacchi nelle fattorie.
La legge sudafricana sull’esproprio senza compenso
Al centro del contendere vi è la nuova legge sudafricana di riforma agraria nota come Expropriation Bill, promulgata dal presidente Ramaphosa a fine gennaio 2025. Questa norma aggiorna la precedente legislazione del 1975 (risalente all’era dell’apartheid) in materia di espropri, autorizzando in alcuni casi lo Stato a espropriare terreni privati senza obbligo di compensazione economica per il proprietario.Questa legge ha alimentato timori nella minoranza bianca e reazioni critiche a livello internazionale – Trump in primis l’ha definita “una persecuzione dei ricchi
– ma occorre valutare con precisione cosa stabilisce il testo e quali sono le effettive intenzioni del governo sudafricano.
Cosa prevede esattamente l’Expropriation Act?
Innanzitutto, la legge si applica a qualsiasi proprietà fondiaria, indipendentemente dall’etnia del proprietario. Non è una norma concepita per “punire i bianchi” né contiene riferimenti a categorie razziali (anche se la maggior parte dei proprietari terrieri sono bianchi). Il suo obiettivo dichiarato è accelerare la riforma agraria in un paese dove, a oltre 30 anni dalla fine dell’apartheid, la distribuzione della terra resta estremamente squilibrata: circa il 70% delle terre sudafricane è ancora in mano a cittadini bianchi, che rappresentano solo il 7% della popolazione
La maggioranza nera, che costituisce circa l’80% degli abitanti, possiede collettivamente solo una piccola frazione delle terre coltivabili, e oltre la metà dei neri sudafricani vive ancora oggi sotto la soglia di povertà. È anche vero però che, anche in Italia o altrove, le distribuzioni di ricchezza sono sempre più squilibrate tra i ricchi che provengono da alcuni settori, famiglie storiche e speculatori ben lontani dalla produttività legata al lavoro, e la maggior parte della popolazione. La differenza, in questo caso, è che ciò non è visibile attraverso un colore diverso della pelle. Non per questo, però, lo Stato fa una legge sull’esproprio.
Comunque, in Sudafrica, questa eredità di disuguaglianza alimenta da anni frustrazione e pressioni politiche: secondo la Commissione per la Riforma Fondiaria, ai ritmi attuali ci vorrebbero secoli per riequilibrare la situazione, e ciò rischia di “far esplodere la rabbia sociale” nelle aree rurali se non si interviene. Ma forse, più equamente, si dovrebbe pagare la terra ai proprietari se si volesse beneficiare una parte più cospicua della popolazione, anziché eseguire espropri gratuiti.
Inoltre, lo Stato dovrebbe, indipendentemente da questo, intervenire per dare un sostegno ai cittadini africani neri che vivono nelle bidonville ai margini delle grandi città come Johannesburg. Questo non si risolve con gli espropri.
La legge stabilisce dunque le procedure e le basi legali per l’espropriazione di terreni da destinare all’interesse pubblico, in attuazione di quanto già previsto dalla Costituzione sudafricana (art. 25) in tema di “riforma agraria equa”. In generale, quando la mano pubblica avrà necessità di terreni per progetti infrastrutturali, housing sociale, espansione di servizi pubblici, correzione di passate ingiustizie territoriali o altre finalità di pubblico interesse, potrà acquisire forzosamente le proprietà private pagando un indennizzo “giusto ed equo” al proprietario.
Questa parte non è nuova: anche in passato lo Stato poteva espropriare, ma doveva seguire il principio del “willing seller, willing buyer” (venditore consenziente), che nella pratica ha spesso rallentato enormemente le acquisizioni di terre per la riforma.
IL PRESIDENTE TRUMP AL PRESIDENTE DEL SUDAFRICA: “Guardate! Morte. Morte. Morte. Una morte orribile. Morte.” Trump poi porge al Presidente la pila dei contadini bianchi assassinati. “Tutta questa famiglia è stata SPAZZATA… perché non arrestate coloro che invocano il… pic.twitter.com/bBv9AOgtCH
— Roberto Avventura (@RobertoAvventu2) May 21, 2025
La vera novità e parte più controversa è che in circostanze ben delimitate la legge consente l’esproprio senza alcun indennizzo monetario al proprietario (e questo non è una cosa da poco).
Secondo il testo, questa misura estrema è permessa solo quando risulta “giusta ed equa e nell’interesse pubblico”, ma ovviamente non tutela affatto i cittadini , perchè si è alla mercè delle istituzioni, al libero arbitrio delle istituzioni.
Pare però che sono contemplate nella legge circostanze specifiche. Ma quali sono queste circostanze specifiche? Sono ad esempio:
Terreni abbandonati o non utilizzati: se una proprietà è lasciata incolta e il proprietario non ha alcuna intenzione di svilupparla o sfruttarla economicamente, potrà essere espropriata senza compenso
L’idea è colpire i casi di latifondi improduttivi o speculazione fondiaria che ostacolano la redistribuzione.
Proprietà che costituiscono un rischio o pericolo per la popolazione: ad esempio edifici o terreni che minacciano la sicurezza o la salute pubblica (come edifici fatiscenti non messi in sicurezza) potranno essere requisiti senza indennizzo.
Immobili ottenuti dallo Stato con sussidi o aiuti (ad esempio abitazioni popolari mai utilizzate come tali) oppure terreni occupati solo a fini di rendita passiva potrebbero rientrare nelle casistiche di esproprio a compenso zero, sebbene su questi punti specifici il dibattito interpretativo sia aperto (la legge fornisce criteri generali, da applicare caso per caso).
È importante notare che la legge NON autorizza affatto espropri arbitrari o su base etnica. Anzi, prevede espressamente che prima di qualsiasi esproprio debba essere tentato un accordo volontario col proprietario e che ogni intervento senza compenso sia soggetto al vaglio di “equità” e pubblico interesse, potenzialmente sindacabile in tribunale.
“Lo Stato non può espropriare arbitrariamente o per scopi diversi dall’interesse pubblico”, ha chiarito il portavoce di Ramaphosa, Vincent Magwenya, ribadendo che espropriare senza indennizzo sarà una misura di ultima istanza.
Il provvedimento è il frutto di oltre cinque anni di confronti e studi, tra cui il rapporto di un’apposita commissione presidenziale sulla riforma della terra
Politicamente, però, ha causato spaccature nella stessa coalizione di governo sudafricana. Le elezioni del 2024, infatti, hanno visto per la prima volta l’ANC perdere la maggioranza assoluta: Ramaphosa guida oggi un governo di unità nazionale con alcuni partiti d’opposizione moderati
Proprio questi alleati si sono opposti alla legge: il Democratic Alliance (DA) – partito liberal-pro-business, tradizionalmente votato anche dalla comunità bianca – ha annunciato una possibile impugnazione legale, sostenendo di essere favorevole alla riforma agraria ma di contestare il metodo seguito per approvare la norma. Anche il Freedom Front Plus (VF+), piccolo partito rappresentativo della minoranza afrikaner, partecipe della coalizione, ha definito la legge una minaccia al diritto di proprietà e si è impegnato a fare “tutto il possibile” per contestarne la costituzionalità. Paradossalmente, critiche feroci sono arrivate anche dal fronte opposto: l’Economic Freedom Fighters (EFF), il partito di Julius Malema noto per le posizioni radicali sulla nazionalizzazione delle terre, ha bollato la mossa dell’ANC come un “contentino legislativo” insufficiente. Secondo l’EFF, questa legge sarebbe “un escamotage legislativo” che non risolve davvero il problema della restituzione delle terre agli espropriati neri. Malema e i suoi sostengono infatti che servirebbe una ben più drastica riforma: un emendamento costituzionale per trasferire tutte le terre allo Stato senza compensi, affidandole poi in gestione ai contadini neri. (Nel 2021 l’ANC provò a far passare un emendamento per esplicitare l’esproprio senza compenso nella Costituzione, ma l’iniziativa fallì perché l’EFF rifiutò di votarla giudicandola troppo blanda).
Nonostante queste resistenze, Ramaphosa ha difeso la legge come “strumento necessario e costituzionale per garantire un accesso equo alla terra”, negando che si tratti di confisca punitiva: “L’Expropriation Act non è un mezzo di confisca, ma un processo legale previsto dalla Costituzione per assicurare un accesso equo e giusto alla terra”, ha dichiarato in febbraio la presidenza sudafricana.
Vale anche la pena sottolineare che, ad oggi, la legge non è ancora stata applicata per requisire alcun terreno: a metà maggio 2025 non risultavano espropri senza compenso già eseguiti, il che conferma che l’eventuale implementazione sarà probabilmente graduale e prudente. In definitiva, la legge di esproprio sudafricana – almeno apparentemente – rappresenta un tentativo di accelerare la redistribuzione agraria restando però entro un quadro legale. La sua semplice approvazione, tuttavia, è bastata ad irritare profondamente l’amministrazione Trump. Già a febbraio 2025 Trump aveva reagito congelando gli aiuti statunitensi al Sudafrica e firmando un ordine esecutivo ostile. In quell’ordine (datato 7 febbraio) si denunciava l’Expropriation Act come una norma volta a “sequestrare le proprietà agricole degli afrikaner, minoranza etnica, senza compensazione”, definendola “un’ingiusta discriminazione razziale”.
Sullo sfondo ci sono però una serie di analoghi tentativi di ridistribuzione della terra fallimentari, come il caso dello Zimbawe.
E’ vero e documentato che leggi simili a quella sull’esproprio senza compenso adottata in Sudafrica abbiano prodotto, in altri paesi africani, risultati deludenti o persino disastrosi, soprattutto quando l’attuazione è stata rapida, ideologica o priva di adeguato supporto tecnico ed economico. Il caso più emblematico – e più frequentemente citato come monito – è lo Zimbabwe.
Negli anni 2000, il governo di Robert Mugabe avviò una radicale riforma agraria, espropriando senza compenso migliaia di fattorie commerciali gestite da agricoltori bianchi, in nome della restituzione delle terre alla popolazione nera. Tuttavia:
– La redistribuzione fu caotica e clientelare: le terre furono spesso assegnate non a contadini poveri, ma a militari, politici o sostenitori del regime, molti dei quali non avevano alcuna competenza agricola.
– La produzione agricola crollò: lo Zimbabwe, un tempo esportatore netto di cereali e uno dei maggiori produttori di tabacco in Africa, divenne rapidamente dipendente dagli aiuti alimentari internazionali.
– L’economia collassò: l’inflazione divenne iperinflazione (con picchi del 79,6 miliardi % al mese nel 2008), la moneta perse valore, e milioni di cittadini emigrarono.
– Il settore agricolo non si è mai pienamente ripreso, e ancora oggi la fame è diffusa e la disoccupazione altissima.
Mugabe presentò la misura come “giustizia storica”, ma l’assenza di una strategia tecnica, di formazione agricola e di sostegno ai nuovi assegnatari portò a un fallimento conclamato. Lo stesso governo, anni dopo, ha iniziato a risarcire alcuni agricoltori bianchi espropriati nel tentativo di rilanciare il settore e riconquistare la fiducia degli investitori.
Altri esempi africani: riforme agrarie problematiche
Anche in Etiopia, Mozambico e Tanzania, vi sono stati tentativi di redistribuzione della terra post-coloniale o post-socialista, spesso:
– mal pianificati,
– politicizzati,
– privi di investimenti nelle infrastrutture agricole,
– e senza meccanismi trasparenti per l’assegnazione delle terre.
In molti casi, la terra è finita in mano a élite locali o a investitori stranieri (land grabbing), senza benefici reali per i contadini poveri, né miglioramento della produttività.
Lezione appresa: la riforma agraria funziona solo se…
Le esperienze negative hanno portato molti analisti, incluse organizzazioni come la FAO e la Banca Mondiale, a concludere che una riforma agraria efficace deve essere:
-
basata su criteri di trasparenza e giustizia sociale;
-
accompagnata da formazione tecnica, accesso al credito e sostegno agricolo;
-
e fondata sul rispetto dello Stato di diritto e dei diritti di proprietà, evitando arbitrarietà o conflitti etnici.
Sì, Cc’è quindi da considerare anche questo: vi sono precedenti chiari (soprattutto lo Zimbabwe) in cui leggi simili a quella sudafricana hanno portato a gravi conseguenze economiche e sociali, anziché promuovere giustizia o crescita. Il rischio di peggiorare le condizioni dei più poveri, se non si accompagna la redistribuzione con solide politiche di supporto, è concreto. È per questo che in Sudafrica anche esperti favorevoli alla riforma raccomandano prudenza, gradualità e competenza nell’attuazione.
Attrito con gli USA è dovuto anche per la denuncia di genocidio a Gaza presentata dal Sudafrica alla Corte Internazionale
Infatti, contestualmente, Trump richiamava anche un altro motivo di attrito geopolitico: il fatto che nel dicembre 2023 il Sudafrica avesse trascinato Israele dinanzi alla Corte Internazionale accusandolo di genocidio a Gaza, mossa che Washington ha giudicato un affronto ai propri alleati.
Come ritorsione, Trump ha ordinato il taglio dei finanziamenti USA (ad esempio quelli per la lotta all’HIV nell’ambito del programma PEPFAR) e – fatto senza precedenti – ha aperto la porta all’ammissione di rifugiati bianchi sudafricani. Nell’ordine esecutivo, si incaricano il Dipartimento di Stato e quello della Homeland Security di valutare l’ammissibilità al reinsediamento negli Stati Uniti di agricoltori afrikaner che si ritengono “vittime di ingiuste discriminazioni razziali”.
La mossa, salutata con favore da alcuni gruppi conservatori, è stata però giudicata “ironica” dal governo sudafricano, che ha replicato polemicamente: è paradossale offrire asilo negli USA a un gruppo che resta tra i più privilegiati economicamente da noi, mentre persone vulnerabili di altri paesi vengono respinte nonostante sofferenze reali.
In questo clima infuocato si inserisce l’incontro Trump-Ramaphosa alla Casa Bianca. La legge sulle terre è insomma il casus belli, ma dietro di essa vi sono dinamiche politiche interne al Sudafrica e narrazioni mediatiche contrapposte che vale la pena esaminare.
Izquierdistas: “No existe el racismo hacia los blancos”…
Sudáfrica:pic.twitter.com/KqGxmyPomI
— Una mujer cualquiera (@CualquieraMujer) May 21, 2025
La sfida politica: l’EFF di Malema e la risposta dell’ANC
Le tensioni emerse nello Studio Ovale riflettono in parte lo scontro politico interno al Sudafrica sulla questione agraria e razziale. Da un lato c’è l’Economic Freedom Fighters (EFF) di Julius Malema, movimento populista di sinistra che fa leva sul malcontento della popolazione nera più povera; dall’altro c’è l’African National Congress (ANC) di Ramaphosa, il partito storico di governo, impegnato in un difficile equilibrio tra promesse di giustizia sociale e necessità di stabilità economica. La terra e la retorica razziale sono al centro di questo braccio di ferro politico. Julius Malema, 42 anni, è una figura emblematica: un tempo astro nascente dell’ANC, è stato espulso dal partito nel 2012 per la sua indisciplina e le posizioni eccessivamente radicali
Ha quindi fondato l’EFF nel 2013, portando in Parlamento (elezioni 2014) un’agguerrita pattuglia di deputati in tuta da operaio e basco rosso, determinati a “scuotere l’establishment”. La principale bandiera dell’EFF è proprio la redistribuzione radicale delle terre e delle ricchezze: Malema chiede che “tutte le terre siano espropriate e poste sotto custodia statale” per poi ridistribuirle equamente, e invoca nazionalizzazioni di miniere e banche. Questo messaggio, unito a uno stile carismatico e provocatorio, gli ha guadagnato consensi soprattutto tra i giovani disoccupati e nelle township urbane, stanchi della lentezza dell’ANC nel mantenere le promesse di emancipazione economica post-apartheid. Nelle elezioni del 2019 l’EFF è arrivato al 10% dei voti, diventando il terzo partito. Tuttavia, alle più recenti elezioni del maggio 2024 il partito non ha sfondato come previsto, fermandosi intorno al 7%.
Ciò lo rende comunque un ago della bilancia non trascurabile, ma lontano dai numeri necessari per un vero potere decisionale. Ramaphosa stesso lo ha ridimensionato pubblicamente definendolo “una piccola minoranza” parlamentare. Malema è noto per la sua retorica infiammatoria e spregiudicata, spesso al limite dell’incitamento all’odio. In particolare, viene accusato di fomentare sentimenti anti-bianchi con gesti simbolici come il canto “Kill the Boer” in comizi e raduni. Quel coro – “uccidi il contadino [bianco]” – era uno slogan di lotta usato contro il regime segregazionista ed è considerato dai suoi difensori parte del patrimonio storico di resistenza (tant’è che un tribunale sudafricano nel 2022 ha stabilito che cantarlo non configura reato di incitamento).
Ciò non toglie che nel clima attuale tali espressioni suonino come minacce dirette ai boeri, ossia agli agricoltori afrikaner. Malema gioca volutamente su questa ambiguità: da un lato afferma “non stiamo incitando ad uccidere nessuno, è solo un canto storico”, dall’altro non smette di usarlo sapendo che infiamma i suoi sostenitori e scandalizza l’opinione pubblica moderata. L’ANC e Ramaphosa hanno adottato un atteggiamento duplice nei suoi confronti: condannano le sue esternazioni più estreme – Ramaphosa a Washington ha chiaramente detto di disapprovare quei cori – e lo tengono fuori dal governo (preferendo allearsi persino con partiti bianchi pur di non coinvolgere l’EFF). Allo stesso tempo, però, l’ANC ha fatto propri alcuni temi cari a Malema per arginare la sua presa sull’elettorato nero giovane. L’esempio lampante è proprio la questione dell’esproprio senza indennizzo: fu Malema, nel 2018, a portare in Parlamento la mozione per avviare la riforma costituzionale sulla terra, costringendo l’ANC a votarla a favore per non perdere terreno sul piano politico. Negli anni seguenti l’ANC ha provato ad andare fino in fondo su quel dossier (fino alla citata legge del 2025), nel tentativo di recuperare credibilità presso le masse impoverite e togliere spazio alla retorica incendiaria dell’EFF. Tuttavia, la strategia dell’ANC è stata quella di avanzare riforme graduali e istituzionali, cercando di non spezzare del tutto il filo con gli investitori e la comunità bianca. Ramaphosa – che viene dall’ala moderata e business-friendly dell’ANC – ha più volte ribadito l’impegno a non ripetere errori di altri paesi: il riferimento implicito è al disastro economico dello Zimbabwe, dove negli anni 2000 Robert Mugabe attuò espropri violenti delle fattorie dei bianchi, causando il collasso dell’agricoltura commerciale. Il governo sudafricano insiste che ogni trasferimento di terra avverrà nell’ordine della legge e senza compromettere la produttività agricola.
Non a caso, dopo l’approvazione dell’Expropriation Bill, Ramaphosa ha subito lanciato segnali rassicuranti: ha nominato come Ministro dell’Agricoltura John Steenhuisen, un politico bianco (già leader dell’opposizione DA) coinvolgendolo nella delegazione in visita a Washington. Durante l’incontro con Trump, è stato proprio Steenhuisen – insieme al magnate Johann Rupert, uno degli uomini d’affari afrikaner più influenti e vicino a Ramaphosa – a provare a spiegare al presidente USA che i numeri reali non confermano affatto uno sterminio mirato dei bianchi
Si tratta di una mossa politica significativa: Ramaphosa ha voluto mostrare che nel nuovo Sudafrica c’è spazio per i bianchi al tavolo del potere e che la questione della terra può essere affrontata senza ricorrere alla violenza razziale. Del resto, l’ANC fin dai tempi di Mandela ha sostenuto una visione di “nation-building” non razzista, cercando di bilanciare la giustizia storica con la riconciliazione nazionale. Oggi quella linea è messa alla prova dalle sfide elettorali: l’ANC ha sofferto cali di consenso proprio nelle comunità nere più povere, dove l’EFF fa proseliti denunciando “il tradimento dell’ANC che ha svenduto la rivoluzione ai bianchi”. Ramaphosa e i suoi ministri cercano quindi di mostrare risultati tangibili sul fronte della riforma agraria, ma evitando derive radicali. È un delicato gioco politico: da un lato devono contenere l’EFF (e per questo adottano una retorica più assertiva sulla terra, come la legge del 2025), dall’altro devono tranquillizzare la popolazione bianca e gli investitori che non ci sarà il caos. La reazione scomposta di Trump alle vicende sudafricane – amplificando le tesi dell’estrema destra afrikaner – finisce paradossalmente per rafforzare l’ANC nella sua posizione moderata: molti osservatori notano che Ramaphosa, uscendo con calma e dignità dall’imboscata alla Casa Bianca, ha guadagnato punti in patria come statista equilibrato, mentre Malema è apparso come una figura isolata le cui sparate rischiano di danneggiare l’immagine del paese all’estero.
Attacchi nelle campagne: i numeri
Al di là della politica, resta da affrontare la questione cruciale: i fatti sul campo riguardo la violenza nelle aree rurali sudafricane. Le accuse di Trump evocano uno scenario di omicidi sistematici di agricoltori bianchi – definito addirittura “genocidio” – ma quanto c’è di vero? I dati ufficiali disponibili mostrano che gli omicidi nelle zone agricole sono una realtà, ma costituiscono una piccola frazione del drammatico quadro della criminalità in Sudafrica. Nell’anno fiscale 2022-2023 la Polizia sudafricana (SAPS) ha registrato 51 omicidi avvenuti su fattorie e aziende agricole, a fronte di un totale di ben 27.494 omicidi commessi nel paese in quel periodo. In pratica, meno dell’1% degli omicidi in Sudafrica avviene in contesti rurali agricoli
Anche guardando ai dati più recenti, il trend è simile: il gruppo di pressione AfriForum (che rappresenta gli interessi della comunità afrikaner) ha contato 49 omicidi e 296 attacchi nelle fattorie durante il 2023, cifra equivalente a circa uno alla settimana. Numeri seri e preoccupanti, ma ben lontani dall’immagine di centinaia di agricoltori massacrati su base quotidiana che certa propaganda online vorrebbe dipingere. Va poi precisato che le statistiche ufficiali NON riportano la razza delle vittime, né esiste un database pubblico che distingua gli agricoltori uccisi per etnia. Questo rende difficile quantificare con esattezza quante vittime siano bianche afrikaner e quante nere (ad esempio braccianti o guardiani di fattoria). Tuttavia, secondo fonti investigative e ricerche indipendenti, la maggior parte delle vittime degli attacchi nelle farm è effettivamente bianca, il che è logico considerando che i proprietari terrieri in Sudafrica sono in maggioranza bianchi. L’Unione Agricola del Transvaal (TAU) – un’associazione di agricoltori – ha affermato che “la maggior parte delle vittime di omicidi nelle fattorie è bianca”
IL PRESIDENTE TRUMP AL PRESIDENTE DEL SUDAFRICA: “Guardate! Morte. Morte. Morte. Una morte orribile. Morte.” Trump poi porge al Presidente la pila dei contadini bianchi assassinati. “Tutta questa famiglia è stata SPAZZATA… perché non arrestate coloro che invocano il… pic.twitter.com/bBv9AOgtCH
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Anche evidenze raccolte dai media confermano che in molti casi le persone assassinate sono i proprietari boeri; ma vi sono anche vittime nere: talora lavoratori agricoli, membri delle loro famiglie o vigilantes, colpiti durante le incursioni criminali. Ad esempio, un’analisi di casi recenti citata dall’Institute for Security Studies rileva che in alcuni attacchi sono rimasti uccisi guardiani di sicurezza o dipendenti neri, segno che la violenza non è diretta unicamente contro i bianchi. Cruciale è capire il movente di questi crimini. Le autorità e gli esperti di sicurezza concordano nel dire che la stragrande maggioranza degli attacchi rurali ha motivazioni di tipo criminale comune, principalmente rapina. Le fattorie – spesso isolate e lontane dai centri abitati – sono bersagli appetibili per bande di ladri: possono custodire contanti per pagare i salari, armi da fuoco, attrezzi, veicoli e altri beni di valore, con tempi di risposta della polizia molto dilatati. Secondo Gareth Newham, analista dell’Institute for Security Studies, “il principale movente documentato in quasi tutti gli attacchi a fattorie è la rapina”.
Gli assalitori puntano al bottino e approfittano della vulnerabilità delle aree rurali. Casi in cui emergono elementi di odio etnico o politico (ad esempio insulti razzisti pronunciati dagli aggressori o slogan lasciati sulla scena del crimine) sono rari, stimati in pochi punti percentuali degli episodi.. In altre parole, non c’è alcuna evidenza di un complotto organizzato per eliminare i boeri: se vi fosse anche solo un accenno di “pulizia etnica” in atto, sottolineano i ricercatori, si manifesterebbe in modalità e numeri ben diversi. Come ha dichiarato Newham, “se vi fossero prove di un genocidio o di violenze mirate contro un gruppo etnico, saremmo i primi a lanciare l’allarme e a portare evidenze al mondo”. Il dato più eloquente, spesso dimenticato nei dibattiti internazionali, è che le principali vittime della violenza in Sudafrica sono i cittadini neri poveri. Circa l’80% della popolazione è nera, e proprio all’interno di questa comunità si concentra la gran parte degli omicidi e dei crimini gravi: “La vittimizzazione da omicidio è molto più correlata a classe sociale, genere e contesto geografico che non alla razza”, spiega Newham.
Oltre metà degli omicidi nazionali avviene in pochi distretti degradati (township e aree rurali povere) abitati quasi esclusivamente da neri. Le statistiche indicano che il profilo più comune dell’ucciso in Sudafrica è un giovane maschio nero disoccupato di un quartiere povero, ben lontano dall’essere un agricoltore afrikaner. Ciò non minimizza affatto la tragedia di ogni singolo agricoltore assassinato, ma serve a inquadrare il fenomeno nel contesto reale della criminalità diffusa. Ogni giorno in Sudafrica vengono uccise in media circa 75 persone; nel 2023, ad esempio, più di 80 omicidi al giorno hanno funestato il paese.
In questo scenario, i circa 50 omicidi annui nelle fattorie – sebbene spesso accompagnati da efferatezze che destano orrore – non indicano statisticamente una “guerra contro i bianchi”, bensì rispecchiano (in misura minore) la generale ondata di criminalità violenta che colpisce tutti. Anche il governo sudafricano insiste su questo punto: “Le morti dei contadini fanno parte di un più ampio problema di criminalità”, ha dichiarato la ministra della Sicurezza, rimarcando che sia agricoltori bianchi che neri sono stati vittime di assalti, rapine e omicidi nelle zone rurali, e che il colore della pelle non li rende immuni dalla piaga della delinquenza.
Non esiste alcun riscontro ufficiale di un movente razzista nella maggioranza di questi crimini, e le indagini di polizia spesso portano alla luce bande criminali comuni, talvolta composte da ex-dipendenti scontenti o semplici ladri attirati dal potenziale bottino delle fattorie. Organizzazioni della società civile come Africa Check e vari fact-checker internazionali hanno smontato ripetutamente la tesi di un genocidio in atto, definendola priva di basi concrete.
VIRGINIA : U.S. OFFICIALS GREET WHITE SOUTH AFRICAN REFUGEES
to whom the Trump administration has granted refugee status for being deemed victims of racial discrimination in their home country.#SouthAFRICA #Sudáfrica pic.twitter.com/HHBzuYrUcP
— LW World News (@LoveWorld_Peopl) May 12, 2025
Persino alcuni leader della comunità afrikaner riconoscono in privato che parlare di “pulizia etnica” è eccessivo, anche se lamentano (comprensibilmente) il clima di insicurezza nelle campagne. C’è però da comprendere la dimensione emotiva e psicologica del fenomeno: le aggressioni nelle fattorie spesso sono caratterizzate da una violenza brutale, con casi di torture e sevizie sulle vittime che finiscono in prima pagina e alimentano la paura. Tra la comunità afrikaner circola la percezione di essere sotto assedio, “bersagli facili di criminali che ci odiano”. Alcuni gruppi di destra sfruttano tali paure diffondendo dati distorti (ad esempio c’è chi ha falsamente sostenuto vi fossero “30-50 omicidi di bianchi al giorno” in Sudafrica, numeri completamente inventati.
In questo clima, non stupisce che diverse famiglie bianche abbiano deciso di emigrare, cercando rifugio in paesi ritenuti più sicuri. Negli ultimi mesi, complice l’apertura di Trump, un primo gruppo di afrikaner ha effettivamente ottenuto lo status di rifugiato ed è volato negli Stati Uniti.
Si tratta di vicende umanamente drammatiche, ma che rimangono casi isolati rispetto ai flussi migratori globali. Il governo di Pretoria ha criticato la scelta americana di accogliere queste famiglie, definendola “propaganda politica” e negando che esista una persecuzione mirata: “È assurdo presentare l’unico gruppo etnico economicamente privilegiato del Sudafrica come vittima di discriminazione”, ha dichiarato un portavoce, sottolineando come la maggior parte degli afrikaner continui a vivere in condizioni agiate e sicure in Sudafrica, partecipando alla vita economica del paese.
In conclusione, l’incontro del 21 maggio 2025 tra Trump e Ramaphosa ha portato in scena, di fronte al mondo, due narrative opposte sulla realtà sudafricana. Da un lato, Trump – influenzato anche da figure come Elon Musk, miliardario sudafricano emigrato e critico del governo di Pretoria – ha abbracciato la realtà di una minoranza bianca sotto attacco, dipingendo il Sudafrica come un paese sull’orlo della guerra razziale. Dall’altro lato, Ramaphosa e la stampa mainstream hanno ribattuto con i dati e i fatti: nessun “genocidio bianco” è in corso, la legge sulle terre mira a correggere ingiustizie storiche senza colpire specificamente i bianchi, e la violenza nelle campagne – sebbene reale e da combattere – rientra purtroppo nel più ampio problema endemico della criminalità che affligge tutti i sudafricani.
La vicenda mette in luce come le tensioni razziali sudafricane possano essere strumentalizzate a fini politici su scala globale, diventando terreno di scontro ideologico. Nello stesso tempo ciò che viene descritto non è un fenomeno da trascurare, come l’eccessiva violenza in genere, dato che è noto a tutti come la maggior parte delle abitazioni in Sudafrica sono recintate e le azinde hanno quasi sempre vigilantes per prevenire crimini. Questa infatti apre ad un’altra domanda: senza le vigilanze e le misure di protezione, le cifre della criminalità sarebbero sempre le stesse , oppure crescerebbero esponenzialmente?
Dentro il Sudafrica, intanto, la sfida resta quella di trovare un equilibrio fra equità e riconciliazione, tenendo conto anche dell’esperienza negativa dello Zimbabwe nella riforma agraria. Il dare risposte alla maggioranza nera impoverita, è certamente urgente ma è anche importante non alimentare nuove divisioni razziali. Ramaphosa, stretto tra l’incudine Malema e il martello , dovrà dimostrare a Trump che esiste una terza via: quella di un paese che fa i conti col proprio passato iniquo senza cedere né all’odio contro coloro che, a tutti gli effetti, sono legittimi cittadini sudafricani che hanno fatto grande il paese.
Fonti:
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Agenzia Reuters, Associated Press, NPR e altri media internazionali hanno descritto nel dettaglio l’andamento del meeting Trump-Ramaphosa e le accuse sollevate nello Studio Ovale (npr.org– tg.la7.it).
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Testate come BBC News e PBS NewsHour hanno verificato i fatti citati da Trump, smentendo la tesi di un “genocidio” e fornendo il contesto sulla nuova legge sudafricana e sulle statistiche dei crimini rurali (bbc.com – pbs.org).
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Fonti sudafricane (es. SAPS, AfriForum, TAU) e analisi indipendenti (Institute for Security Studies, Africa Check) contribuiscono a quantificare gli attacchi nelle campagne e a chiarirne la natura principalmente criminale, non etnica (pbs.org – bbc.com).
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Dichiarazioni ufficiali del governo sudafricano, riprese da ANSA e media locali, chiariscono i contenuti dell’Expropriation Bill e respingono la “diplomazia del megafono” di Trump, riaffermando l’impegno di Pretoria per una riforma fondiaria ordinata e costituzionale (ansa.it).
In definitiva, i dati e i fatti dipingono un quadro più complesso e meno sensazionalistico di quello emerso nello scontro alla Casa Bianca: il Sudafrica resta un paese dalle profonde disuguaglianze e tensioni, ma non è teatro di un complotto genocida contro i bianchi (pbs.org)g. La sfida per la leadership sudafricana sarà continuare su questa linea di verità fattuale e riconciliazione, isolando sia chi canta alla violenza, sia chi – dentro e fuori dal paese – la evoca in modo strumentale. (pbs.org – aljazeera.com).