Iran e Stati Uniti: perché negoziare con chi non mantiene la parola?

L’ultimo intervento della Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Khamenei, offre una chiave di lettura chiara della posizione di Teheran nei confronti dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti. Riportiamo integralmente la sua dichiarazione, per poi analizzare il contesto storico delle tensioni tra Iran e Occidente e valutare il grado di razionalità della sua posizione.


Dichiarazione dell’Ayatollah Khamenei:

“Da tempo ormai sentite sui giornali, nel cyberspazio e dalla bocca di diverse persone che si sta discutendo di negoziati con l’America.

Menzionano la parola “negoziazione” e dicono: “Signore, la negoziazione è una buona cosa”, come se qualcuno stesse mettendo in discussione la virtù della negoziazione. Oggi il Ministero degli Esteri iraniano è uno dei ministeri degli Esteri più attivi al mondo. Dopotutto è il suo lavoro. Negozia con paesi di tutto il mondo, orientali, occidentali, di ogni tipo, fa avanti e indietro, parla e firma accordi.

L’unica eccezione è l’America. Naturalmente non menziono il regime sionista perché non è un paese reale. Il regime sionista è una banda di criminali che è arrivata, ha occupato il territorio e ha commesso crimini. Questo non è un argomento di discussione. L’eccezione è l’America. Perché questa è un’eccezione? Qual è il motivo?

I negoziati con l’America non hanno alcun effetto sulla risoluzione dei problemi del Paese. Dobbiamo capirlo. Non devono dare l’impressione che sedersi al tavolo con questo governo possa risolvere questo o quel problema. No, per niente.

Nessun problema può essere risolto attraverso trattative con l’America. Causa? Esperienza. Negli anni 2010 ci siamo seduti e abbiamo negoziato con l’America per circa due anni. Con loro è stato concluso un accordo (JCPOA).

Il nostro governo si è seduto al tavolo delle trattative. Camminavano, venivano, si sedevano, stavano in piedi, negoziavano, parlavano, ridevano, si stringevano la mano, diventavano amici: facevano tutto. Un accordo è stato concluso. In questo accordo la parte iraniana si è dimostrata molto generosa. Fece molte concessioni alla controparte. Ma gli americani non rispettarono l’accordo.

Proprio l’uomo che ora è al potere [Trump] ha stracciato quell’accordo. Lui disse: “Lo farò a pezzi”, e così fece. Già prima del suo arrivo, coloro con cui era stato firmato questo accordo non lo rispettarono. L’accordo aveva lo scopo di revocare le sanzioni statunitensi. Le sanzioni statunitensi non sono state affatto revocate.

Dobbiamo imparare da questa esperienza. Abbiamo fatto concessioni, abbiamo negoziato, siamo scesi a compromessi, ma non abbiamo ottenuto alcun risultato. Ecco cosa è successo. Anche questo trattato, nonostante tutte le concessioni da noi fatte, è stato minato, violato e fatto a pezzi dalla controparte.

Non si dovrebbero condurre trattative con un simile governo. Negoziare con loro non è saggio, ragionevole o giusto. Dobbiamo risolvere i nostri problemi dall’interno, senza affidarci a fattori esterni.

Quanto agli americani, commentano su di noi, parlano, esprimono le loro opinioni, minacciano. Se ci minacciano, noi minacceremo loro. Se loro metteranno in atto la loro minaccia, anche noi metteremo in atto la nostra. Se loro violano la sicurezza del nostro Paese, sicuramente violeremo anche la loro. Questo è il nostro dovere.”


iran

L’evoluzione delle tensioni tra Iran e Occidente

L’intervento di Khamenei è radicato in una storia lunga e complessa di rapporti tra Iran e Occidente, in cui diffidenza e scontri hanno prevalso sulla cooperazione.

1. Il colpo di Stato del 1953 e la diffidenza verso l’Occidente

L’Iran moderno ha subito un’influenza occidentale diretta sin dall’inizio della Guerra Fredda. Nel 1953, un’operazione congiunta della CIA e dell’MI6 britannico (Operazione Ajax) rovesciò il governo democraticamente eletto di Mohammad Mossadeq, colpevole di aver nazionalizzato l’industria petrolifera. Il colpo di Stato installò una monarchia filo-occidentale guidata dallo Scià, che governò con il pugno di ferro fino alla rivoluzione del 1979.

2. La Rivoluzione Islamica e la crisi degli ostaggi

La rivoluzione del 1979 portò alla nascita della Repubblica Islamica, con Khomeini come leader supremo. Uno degli eventi simbolo della rottura con l’Occidente fu la crisi degli ostaggi del 1979-81, quando studenti iraniani occuparono l’ambasciata statunitense a Teheran, prendendo in ostaggio 52 americani per 444 giorni. Questo episodio segnò il definitivo deterioramento delle relazioni con Washington.

3. L’Iran-Iraq War e il doppio gioco occidentale

Negli anni ’80, l’Occidente (in particolare gli Stati Uniti) sostenne l’Iraq di Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran (1980-1988), fornendo armi, intelligence e supporto logistico. L’Iran subì un attacco chimico devastante e si convinse sempre più che l’Occidente fosse un nemico esistenziale.

4. Il dossier nucleare e il fallimento del JCPOA

Negli anni 2000, la questione del programma nucleare iraniano ha dominato i rapporti con l’Occidente. Dopo anni di sanzioni, nel 2015 l’Iran firmò l’accordo JCPOA con Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Cina. L’accordo prevedeva il congelamento del programma nucleare iraniano in cambio della revoca delle sanzioni. Tuttavia, nel 2018 Trump ritirò unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo, reimponendo sanzioni devastanti. Da allora, l’Iran ha gradualmente ripreso l’arricchimento dell’uranio, aumentando la tensione con l’Occidente.

Razionalità della posizione iraniana

L’intervento di Khamenei non è un discorso di chiusura né privo di logica. Si basa sulla constatazione che cedere di fronte a un interlocutore inaffidabile equivale a perdere. L’esperienza storica dimostra che le amministrazioni statunitensi sono volubili e che una posizione politica non dura nemmeno una legislatura. La leadership iraniana ha ormai compreso che il pre-concetto dell’Occidente sull’Iran è consolidato e che non ha senso nutrire illusioni su un suo cambiamento. La prospettiva, dunque, è quella di mantenere un ascolto strategico, ma senza aspettarsi concessioni concrete.

Anzi, solo un atteggiamento freddo e risoluto, che eviti di trasmettere segnali di vulnerabilità e sia orientato alla crescita economica, alla difesa del Paese e all’intreccio di nuove alleanze, può garantire equilibrio e stabilità. Il leader supremo fonda la sua posizione su un’argomentazione pragmatica: l’Iran ha negoziato, ha fatto concessioni, ma non ha ottenuto nulla in cambio. Il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal JCPOA ha distrutto ogni fiducia nelle trattative con Washington, confermando un sospetto di lunga data: l’Occidente non è un interlocutore affidabile.

Dal punto di vista della realpolitik, la posizione di Teheran è comprensibile. Se un attore internazionale rompe unilateralmente un accordo, è naturale che la controparte diffidi di future trattative. La storia insegna che l’Iran ha subito interferenze, colpi di Stato, sanzioni, l’assassinio mirato del generale Qasem Soleimani il 3 gennaio 2020 a Baghdad (mentre si trovava in visita diplomatica), oltre a un’infinità di omicidi mirati da parte di Israele e guerre per procura condotte dall’Occidente.

Un aspetto paradossale di questo evento è che Soleimani, comandante della Forza Quds, aveva cooperato con gli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS, specialmente in Iraq. Durante l’offensiva dell’ISIS nel 2014, le milizie sciite irachene, sostenute dall’Iran e guidate in parte da Soleimani, si trovarono sullo stesso fronte degli americani nel contrastare l’avanzata jihadista. Tuttavia, questa collaborazione tattica non ha impedito agli Stati Uniti di eliminarlo, rafforzando la convinzione iraniana che l’Occidente non sia un interlocutore affidabile.

Ciò non significa che il dialogo sia impossibile o che l’approccio iraniano sia l’unico possibile, ma spiega perché la Repubblica Islamica consideri la via della trattativa con Washington una perdita di tempo.

L’orientamento attuale dell’Iran è sempre più rivolto verso i BRICS, con una strategia basata sulla ripresa degli investimenti interni, il rafforzamento dell’economia e una cooperazione strategica con la Russia. Teheran ha compreso che solo la dimostrazione di forza può indurre l’Occidente a una maggiore prudenza e a mitigare la sua aggressività strutturale.

In definitiva, il discorso di Khamenei non è un rifiuto della diplomazia in sé, ma della negoziazione con chi non rispetta gli accordi. Una posizione che, alla luce dell’esperienza storica, appare fondata su una logica realistica e pragmatica.

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L’intervento in inglese di Khamenei è reperibile sul suo account X: https://x.com/khamenei_ir

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