Trump: “Ho ereditato un disastro totale in Siria e in Afghanistan, guerre senza fine di spese illimitate e morte”

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L’Isis si “allea” con il Dipartimento di Stato Usa e sfida Trump

Mentre Trump è assediato da tutti i lati contro il ritiro dalla Siria, secondo alcune stime l’Isis potrebbe riprendere piede in 6-12 mesi

“Ho ereditato un disastro totale in Siria e in Afghanistan, guerre senza fine di spese illimitate e morte”, ha twittato il presidente Trump venerdì scorso. E a seguire, riaffermando la sua decisione di ritirare le truppe statunitensi, ha scritto: “Durante la mia campagna ho detto, molto fortemente, che queste guerre devono finalmente finire. Presto avremo distrutto il 100 per cento del califfato. È giunto il momento di iniziare a tornare a casa”, è questo l’ultimo tweet di Trump mentre Msnbc, Fox e Cnn non mancano costantemente di dire che non bisogna ritirarsi. Per contro, la maggioranza dei cittadini statunitensi si è dichiarata favorevole al ritiro.

Proprio per questi segnali contrastanti, il tweet presidenziale è alla fine il miglior segnale per verificare la direzione della politica Usa in Medio oriente, anche in considerazione dei vari messaggi contraddittori lanciati dal consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton e il segretario di Stato americano Pompeo.

Quindi non ci resta che esaminare la situazione a partire dal tweet di Trump. In proposito, è interessante notare come il presidente americano – dicendo “ho ereditato un disastro totale in Siria e in Afghanistan, guerre senza fine di spese illimitate e morte” – metta sullo stesso piano Siria e Afganistan, cercando di vendere entrambe le situazioni come vittime di sé stesse, di propri conflitti endogeni. Questo è evidentemente sbagliato. Anche se è la percezione della maggior parte degli americani, sono situazioni molto diverse tra loro: è abbastanza irritante che i talebani distruttori delle statue dei Budda del Bamiyan siano considerati alla stregua del governo siriano che ha fatto di tutto per preservare e valorizzare la propria civiltà secolare, le minoranze e la laicità dello Stato (come riconosciuto dal presidente Napolitano nel 2010 durante la sua visita di Stato in Siria).

Sono comunque cose che forse consapevolmente Trump dice per tirare un colpo al cerchio ed un colpo alla botte, ovvero non offendere troppo gli ideatori di questi disastri che, per la maggior parte, sono ancora in sella. Comunque, questo infelice passaggio è solo un corollario: l’importante è la persistenza di Trump sul ritiro, che è “oro” rispetto alla prospettiva di una permanenza di occupazione senza fine.

Il succo del messaggio è infatti che – nonostante le pressioni contrarie presenti nella sua amministrazione – Trump voglia realmente portare a termine la sua decisione di lasciare la Siria, ovvero di rinunciare alla polverizzazione di questo paese.

Per questo, affinché sia politicamente più remunerativo, sembra proprio che voglia chiudere il capitolo con lo stato islamico, in modo plateale. Infatti, la versione inglese della pubblicazione The New Arab ha appena rivelato che Trump ha dato l’ordine di catturare Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello stato islamico. La missione è stata assegnata alla Squadra 6 dei Navy Seals, la stessa che ha portato a termine il 2 maggio 2011 la cattura del leader dell’organizzazione terrorista di Al Qaeda, Osama bin Laden, ad Abbottabad, in Pakistan. 

Inoltre, è da considerare che quando nel messaggio Trump lamenta le spese illimitate, le uccisioni e descrive la missione in termini fallimentari, dice esattamente la verità. I dati parlano chiaro, Trump ha ricevuto una brutta eredità: i dati forniti dal Dipartimento di Stato americanoconfermano che dal 2001 gli Stati Uniti, ovvero da quando gli Stati Uniti e gli alleati sono intervenuti nella lotta contro il terrore, pur avendo speso 5 trilioni di dollari non sono mai riusciti ad adempiere il compito per cui hanno iniziato le campagne. Anzi, gli interventi hanno peggiorato le situazioni e reso più instabili i paesi “attenzionati”, con conseguenze tangibili sia in termini di impoverimento della popolazione, sia come conteggio degli attentati e perdite di vite umane innocenti.

In questo senso, è significativo che gli Stati Uniti abbiano appena riconosciuto che dall’agosto 2014 al dicembre 2018 la loro aviazione ha ucciso in Siria più di 1.190 civili per errore. Questa comunicazione è stata data in contemporanea alla richiesta di un tribunale statunitense che ha chiesto al governo siriano la somma di 302 milioni di dollari per l’uccisione della giornalista Marie Colvin, nonostante il governo siriano avesse giustificato la morte della giornalista attribuendole la stessa causa di morte dei 1.190 civili: danni collaterali.

Naturalmente è solo grottesco parlare di danni collaterali in una guerra che il presidente Trump stesso ha indicato come inutile. Altrimenti si dovrebbero contare come danni collaterali anche i 29 bambini morti di freddo nel campo profughi di Al-Hole, nel nord est della Siria, in una zona sotto il controllo delle forze filo-Usa curde dell’Sdf.

Quindi capite che permanendo un certo grado di ambiguità, è veramente difficile capire cosa si voglia fare della Siria. Se da un parte Trump riconosce che gli ultimi interventi hanno portato solo ‘’una scia di spese illimitate e morte’’, dall’altra le sanzioni contro il popolo siriano sono ancora in atto, anzi sono state aumentate. Nelle ultime settimane è stato impedito l’accesso nel paese di combustibile e gas, indispensabili per fornire alla popolazione il riscaldamento per l’inverno. Ma non solo: come tante volte segnalato, le sanzioni colpiscono non solo la Siria ma anche tutte le società che intendono fornire merci alla Siria o intendono partecipare alla ricostruzione.

Qualche perplessità sul ritiro Usa devono nutrirla anche i russi, visto che una delegazione ad alto livello è volata a Tel Aviv offrendo alla parte israeliana il ritiro delle truppe iraniane in cambio di pressioni per la smobilitazione della base americana di al Tanf, al confine meridionale siro-giordano. Su questo sfondo si nota molto lentamente un allentamento della tensione, ma venerdì è arrivata una valutazione del Pentagono (diffusa dal canale televisivo Nbc), secondo la quale l’Isis potrebbe riprendere piede in Siria tra 6-12 mesi. Questo nuova comunicazione arriva mentre Trump è assediato da tutti i lati: Bolton contro il ritiro, il Senato pure. Dalla parte di Trump ci sono solo lui stesso e la parola data al popolo americano. Ma potrà ancora sostenerla se il Pentagono scoprirà che il califfato vuol essere “immortale”?

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Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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