Trump vuole direttamente la gestione dell’Aramco, ovvero tutta la gestione del petrolio saudita

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Mercoledì scorso il presidente Usa, Donald Trump, intervenendo ad un evento nel suo collegio elettorale nel West Virginia ha detto che Arabia Saudita non potrebbe durare più di due settimane “senza il sostegno militare degli Stati Uniti”.

Precisamente il  presidente statunitense si è espresso con queste testuali parole:

Proteggiamo l’Arabia Saudita. E io amo il re, il re Salman. Ma gli ho dichiarato: Ti stiamo proteggendo, non dureresti più di due settimane senza di noi.

Trump sta lanciando da tempo una serie di messaggi di disappunto via via sempre più espliciti verso gli alleati sauditi.

La precedente minaccia contro Ryad è era arrivata in occasione della  73ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite avvenuta  il 25 settembre. Anche in quell’occasione il presidente statunitense aveva additato i paesi Opec come ingrati e sleali:

Come al solito tolgono risorse al resto del mondo. Difendiamo molte di queste nazioni per niente, e loro si approfittano di noi con elevati prezzi del petrolio. Tutto ciò non è buono. Vogliamo che smettano di aumentare i prezzi, vogliamo che inizino a ridurre i prezzi.

Ma le lamentele di Trump sia nella precedente occasione sia in quella più prossima, sembrano cadute nel vuoto.

Infatti, il principe principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud in una intervista con l’agenzia Bloomberg  rilasciata il 3 ottobre ha così risposto:

In realtà noi non dobbiamo pagare niente in cambio della nostra sicurezza. Tutte le armi che riceviamo dagli Stati Uniti sono state pagate, non ci sono state inviate gratuitamente. Dall’instaurazione delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti l’Arabia Saudita ha sempre pagato tutti gli acquisti di armi. (…)

Naturalmente è ridicolo che il principe Salman si appelli oggi alla ‘ragione’ e presenti le sue rimostranze secondo un ‘filo logico’ quando non ha usato lo stesso metro per la Siria e quando sa benissimo che gli Usa  conoscono molto bene quanto lui rappresenta .

Ma di cosa parla Trump quando dice ti ‘stiamo proteggendo’? E in base a cosa reclama più profitti? Forse non tutti sanno che per capire le vicende attuali dobbiamo risalire ad un accordo USA-Arabia Saudita chiamato  “petrolio per la protezione”, fu approvato da Franklin Roosevelt e Abdul Aziz sull’incrociatore Quincy nel 1945. Gli Stati Uniti ricevettero così l’eredità britannica nel Golfo. E da allora Washington si assunse da allora il compito di proteggere la casa reale dell’Arabia Saudita dalle minacce esterne e interne .

E’ ovvio che  l’Arabia Saudita non ha consegnato mai direttamente petrolio o pozzi agli Stati Uniti ma è come se lo avesse fatto. A quel tempo l’Arabia Saudita non aveva scelta: non aveva nulla, Ryad non aveva neanche un sistema per raccogliere le immondizie e nemmeno la base dei normali servizi pubblici. In un primo tempo quindi le entrate petrolifere servirono per investire in servizi utili e per arricchire il Regno. Ma da allora in poi  è come se consegnasse  direttamente il petrolio agli USA perché l’Arabia Saudita è in un certo modo obbligata a utilizzare una grande quota di entrate petrolifere per acquisti di armi e materie prime dagli USA.

Però i sauditi sono in grande difetto: hanno  sostenuto sotto forma di servizi finanziari le correnti politiche e religiose che si oppongono all’egemonia statunitense. Ed allo stesso modo l’Arabia Saudita ha sostenuto la base di Osama bin Laden in Afghanistan e altre correnti e innumerevoli gruppi  salatiti in diverse parti del mondo.

Finora gli USA  non si sono fatti scrupolo di far finta di ignorare questo stato di cose, pur di mantenere la propria egemonia. Anzi a volte hanno approfittato di particolari ‘servigi’ dei jihadisti.

Ma va da sé che certi comportamenti possono essere usati come utile arma di ricatto.

Non sappiamo se opportunistici, sinceri (o entrambi), ma i primi dissidi – per le attività ‘di sostegno al radicalismo islamico’ ed ostile agli USA –  si ebbero già sotto il secondo mandato di Barack Obama, proprio mentre l’Arabia Saudita continuava a sostenere guerre per procura al di là del bisogno degli Stati Uniti, in particolare in Iraq, Siria e Yemen.

Già da allora il presidente Obama cominciava a rendersi conto che gli Stati Uniti non potevano proteggere l’Arabia Saudita dalle contraddizioni che minacciano il suo crollo dall’interno. Questo è il motivo per cui Obama aveva invitato l’Arabia Saudita a cambiare il governo ed a realizzare riforme interne.

Comunque è da allora che gli USA non proteggono più il governo saudita dalle crisi interne, non più così come era come era prima  in cambio delle entrate petrolifere.

Oggi sembra che il prezzo da pagare sia stato alzato. Trump sembra abbia trasformato ulteriormente l’accordo di protezione, ampliandolo rispetto ad Obama: egli afferma  che le armi che l’Arabia Saudita compra dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali non sono più sufficienti per proteggerla.

Significa che l‘Arabia Saudita non è al sicuro in cambio della consegna dei proventi, ma deve dare di più. Ovvero deve cedere la discrezionalità di aumentare la produzione di petrolio  , così come gli  USA richiedono. Questo allo scopo di coprire la necessità dei paesi minacciati dalla diminuita produzione petrolifera causata dalle sanzioni contro l’Iran.

In altri termini, non deve essere più l’OPEC a decidere sulle politiche petrolifere. Ne deriva che deve categoricamente ridurre i prezzi del petrolio ogni volta che se ne presenti il bisogno, per proteggere l’America e i paesi industrializzati da crisi economiche che potrebbero essere colpite dall’aumento dei prezzi del petrolio e del gas.

Seguire le direttive statunitensi però non è di per sè solo un fatto abbastanza umiliante, ma ne deriva anche un danno economico rilevante:  significa che in caso di ulteriore calo del prezzo del barile, il bilancio saudita affonderà in un deficit permanente. Infatti – per fare un esempio – mentre l’eccedenza di bilancio ha raggiunto + $ 155 miliardi nel 2008, il bilancio attuale lamenta in un deficit di oltre – $ 60 miliardi nel 2018. E’ per questo nonostante   Mohammed bin Salman – – nel tentativo di allentare il deficit – stia cercando di tagliare la spesa statale di circa $ 30 miliardi e di privatizzare parte dei propri asset .

Questo accade mentre il pericolo di instabilità interna incombe perché i poveri dell’Arabia Saudita soffrono di austerità, e i principi si rifiutano di rinunciare ai privilegi sulle proprietà petrolifere divise in seno alla famiglia reale.

Perciò in questi frangenti, Trump ricorda a King Salman che il prezzo della protezione di Washington per l’Arabia Saudita sale e supera di gran lunga quello che paga in centinaia di miliardi.

Perciò ciò che egli chide non è solo stabilire il prezzo del petrolio, ma anche di  privatizzare l’intera azienda statale saudita Aramco sulla Borsa di New York ( l’Aramco è la compagnia nazionale saudita di idrocarburi – valutata 2000 miliardi di dollari – , è posseduta al 100% dalla casa reale ).

Insomma Trump dice è come se dicesse “i sauditi non ‘fanno i bravi’, fanno ‘casini’ e non vogliono cedere a chi li protegge”. E’ per questo che Trump non solo non protegge  più l’Arabia Saudita dalle contraddizioni interne che ne minacciano i pilastri del governo, ma non lesina ad esasperarle.

Allora è plausibile che l’obiettivo finale – in prospettiva – possa essere la privatizzazione, la svendita e l’acquisto del Regno. Non possiamo dirlo con sicurezza ma è ciò che gli Stati Uniti hanno fatto decine di volte in precedenza: in fondo ciò a cui Trump aspira è quanto gli USA hanno fatto ad altri paesi per assoggettarli, ovvero spingere a poco a poco  a sottomettersi ai debiti della Banca Mondiale e alle banche statunitensi.

Vietato Parlare

 

Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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