La NATO sa che la coalizione ammazza i bambini? E adesso Trump nomina la Russia come minaccia

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di Marco Bottarelli

Ci siamo, la tarantella è partita. La NATO fa ufficialmente parte della coalizione anti-Isis e adesso si può giocare a carte quasi scoperte. Ma, per farlo, paradossalmente occorre rimescolare ancora un po’ il mazzo. Prima di prendere la parola al Vertice atlantico tenutosi a Bruxelles oggi pomeriggio, Donald Trump ha sparato uno dei suoi proverbiali tweet, chiedendo al Dipartimento di giustizia USA di aprire un’indagine riguardo la fuga di notizia relative all’attentato di Manchester, definite “profondamente disturbanti”.

Et voilà, si offre il culo alle lamentele inglesi, ci si dimostra inflessibile con gli alleati per quanto riguarda la segretezza delle informazioni sensibili e l’affaire sulla condivisione di intelligence con Serghei Lavrov si depotenzia. Non basta, perché l’accaduto consente al presidente di gettare una bella aura di irresponsabilità su quel “New York Times” che lo sta martellando quotidianamente riguardo al Russiagate. Ed eccoci arrivare al punto. Anzi, al primo dei punti. Prendendo poi la parola al Vertice atlantico, ecco che il presidente USA ha elencato quelle che a suo modo di vedere devono essere la priorità della NATO: terrorismo, immigrazione e “le minacce dalla Russia e verso i confini orientali e meridionali dell’Alleanza”.


Insomma, l’uomo del disgelo con Mosca e della discontinuità in politica estera si sta dimostrando perfettamente in linea non solo con le amministrazioni precedenti ma, soprattutto, con l’agenda neo-con del Deep State. E mentre su Salman Abedi, il presunto attentatore di Manchester, escono novità ogni ora – l’ultima riguarda una sua presenza a Dusseldorf quattro giorni prima dell’attentato, sembra Igor il russo -, si delinea sempre di più il quadro: l’Isis è lo straordinario alibi che verrà usato per chiudere i conti con Mosca e Teheran. O, almeno, questa sarebbe l’idea.

Da oggi, quindi, ogni giorno è buono per una bella false flag. E, state certi, che saranno molti altri i media che subiranno un’improvvisa mutazione genetica in chiave globalista-atlantista come il fu TgLa7 di Enrico Mentana, ormai diventato l’Emilio Fede del Deep State.

C’è da riflettere su quanto sta accadendo. Ma, soprattutto, su come sta accadendo. Martin Luther King disse che “un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire. E non c’era nessuno”. Il problema è che qui nessuno ha il coraggio di alzarsi e andare ad aprire la porta di menzogne che governi, agenzie di intelligence e soprattutto media stanno propinandoci senza soluzione di continuità. Cosa resterà del terremoto geopolitico di cui la strage di Manchester rischia di essere stata l’accelerante? La strage delle bambine, quei volti sorridenti che mettono angoscia dalle prime pagine dei giornali. Il riferimento ai figli, alla paura continua e costante di quanto possa accadere, l’incertezza come unico Dio: basterebbe un pochino di freddezza e prospettiva, forse non occorre nemmeno scomodare il coraggio, per essere liberi.


I dati che sto per elencarvi sono stati diffusi stamattina dal Syrian Observatory for Human Rights, quindi una fonte tutt’altro che vicina o benevola con Bashar al-Assad e il suo regime. I raid aerei condotti dalla coalizione a guida USA in Siria, quella di cui la NATO ora fa parte ufficialmente, hanno ucciso 225 civili tra il 23 aprile e il 23 maggio scorsi, tra cui 44 bambini e 36 donne: il computo più alto da quando è iniziata la campagna anti-Isis il 23 settembre 2014. Il secondo fu tra il 23 febbraio e il 23 marzo, quando furono uccisi 220 civili.

Con quest’ultima mattanza, il computo totale dei civili ammazzati dalla coalizione anti-Isis è salito a 1.481, di cui 319 bambini. E, attenzione, stiamo parlando di dati ufficiali resi noti da una ONG che opera da Coventry, nel Regno Unito e che è smaccatamente schierata a favore dei ribelli: forse, i raid alla Top Gun degli americani cominciano a disturbare persino loro. E quanti jihadisti sono stati uccisi nel medesimo lasso di tempo, tra 23 aprile e il 23 maggio? Ben 122, oltre a 8 soldati dell’esercito di Damasco.


Insomma, ai fenomeni della coalizione serve accoppare due civili per centrare un obiettivo giusto. E quali dati forniscono gli americani al riguardo? All’inizio del mese, l’esercito USA ha comunicato di aver ucciso “non intenzionalmente” in Iraq e Siria 352 civili da quando è iniziata la campagna: ne hanno ammazzati poco meno solo in Siria e solo nell’ultimo mese. Civili. Donne. E bambini, proprio come quelli di Manchester, magari un po’ meno fotogenici. E, soprattutto, meno in grado di garantire capriole geopolitiche come quella che, stranamente, ha comunicato venerdì scorso – prima di tutto il delirio di questa settimana – il capo del Pentagono, Jim “Mad dog” Mattis, alla stampa: “Il presidente Trump ci ha dato istruzioni di annientare l’Isis in Siria al fine di evitare che i foreign fighters tornino a casa”. Tu guarda che culo, un presunto foreign fighters ha appena fatto uno strage di bambini a Manchester e, casualmente, tornando dalla Libia si sarebbe fermato anche in Siria, stando allo spoiler sparato dal ministro dell’Interno francese ieri. E c’è da capirlo un buon Mattis, perché queste due mappe



ci mostrano la differenza che passa tra un’operazione militare che vuole perseguire un obiettivo e una che, invece, fa il doppiogioco. La prima ci mostra gli avanzamenti delle truppe siriane nell’ultimo mese, con l’aiuto di russi, iraniani e milizie Hezbollah, mentre la seconda ci mostra il guadagno territoriale conseguito dall’Isis in cinque mesi all’inizio della campagna della coalizione a guida statunitense. Delle due, l’una: o hanno piloti miopi o invece che bombe sganciavano rifornimenti. Occorre che quell’avanzata dei lealisti si fermi, questa la parola d’ordine a Washington.

Adesso, poi, il quadro si è chiarito ulteriormente. Durante la due giorni tra Arabia Saudita e Israele, Trump ha attaccato continuamente l’Iran, mentre oggi ha citato la “minaccia della Russia” fra le tre priorità della NATO, al pari del terrorismo. E non ha citato gli hacker o i missili balistici russi ma direttamente le frontiere Est e Sud, dove da qualche mese proprio la NATO sta dispiegando una santabarbara di mezzi e uomini, tra Polonia, Germania e Baltico. Due più due, ancora per qualche giorno, dovrebbe fare quattro.

E in base a questo assunto, come interpretare il gioco delle parti intercorso tra Al-Nusra e Dipartimento di Stato USA? Hayat Tahrir Al-Sham, ultimo rebrand del fronte islamista siriano, è infatti sparita delle formazioni terroristiche individuate e sanzionate dagli Stati Uniti e dal Canada. Ed essere usciti dalla watchlist del terrore, che benefici comporta? Permette ai cittadini di questi Paesi di donare soldi ai terroristi, risorse che consentono loro di viaggiare, di combattere e di diffondere la loro propaganda senza troppi intoppi.


Capito, questo reso possibile da chi formalmente vuole evitare il ritorno a casa dei foreign fighters. Sulla vicenda è intervenuta Nicole Thompson, portavoce del Dipartimento di Stato americano: “Riteniamo che queste azioni rappresentino una strategia di Al Qaida per portare l’opposizione siriana sotto il suo controllo operativo. Stiamo ancora esaminando la questione con attenzione”. Tuttavia, come sottolinea Evan Dyer sul portale dell’emittente televisiva canadese CBC che ha condotto l’intervista, “per gli Stati Uniti inserire Tahrir Al-Sham nella lista nera delle organizzazioni terroristiche significherebbe riconoscere che lo stesso governo ha fornito ai jihadisti armi molto sofisticate, tra cui potenti missili anti-carro e richiamare l’attenzione sul fatto che gli Stati Uniti continuano ad armare le milizie islamiste in Siria”. Amen, per oggi chiudo qui. Tanto temo che questa pantomima rivoltante durerà ancora a lungo. Magari con un altro conflitto proxy fra Stati Uniti e Russia in Venezuela che nessuno si aspetta ma che sta già prendendo forma.

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Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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